[Nogelminispbo] Inchiesta «Mafia Capitale»: Roma è l’Italia

Delete this message

Reply to this message
Autore: seancasey
Data:  
To: Autorganizzazione Studentesca
CC: No Gelmini SciPol Bologna, Collettivo SPA
Oggetto: [Nogelminispbo] Inchiesta «Mafia Capitale»: Roma è l’Italia
http://www.connessioniprecarie.org/2014/12/04/roma-e-litalia/

Roma è l’Italia

L’inchiesta «Mafia Capitale» ha finalmente scoperchiato agli occhi
dell’opinione pubblica e della stampa una realtà che i movimenti dei
migranti denunciano da tempo: il razzismo istituzionale è un grande
affare. Lo è per molti motivi. Nelle ultime settimane, una città che
sembrava in preda al disagio delle periferie si è scoperta ostaggio di
assemblaggi di potere tanto sofisticati quanto evidentemente più attenti
alle politiche sull’immigrazione di tanti fautori dell’integrazione. Il
sistema era perfetto: prima di tutto c’è l’emergenza immigrazione, che
nasce da un nuovo modo di utilizzare la classificazione internazionale
dei migranti che distingue tra quelli che si muovono per lavoro e i
rifugiati e prevede percorsi specifici per i minori non accompagnati.
Grazie a questa distinzione, ai rifugiati e ai minori è dovuta una
minima assistenza da parte dello Stato «ospitante», con lo scopo
dichiarato di favorirne l’integrazione. Siccome è impossibile entrare in
Italia in modo regolare, ora i migranti in ingresso sono in gran parte
considerati «rifugiati». Sentiamo quotidianamente ripetere questo
mantra: «qui non si tratta di immigrati clandestini, ma di rifugiati».
Una volta stabilito questo, ai numeri fanno seguito i soldi. Sì perché
lo Stato e le amministrazioni locali devono a questi uomini e donne
percorsi di accoglienza. Il sistema ha dunque prima bisogno
dell’emergenza e poi che ci siano tanti rifugiati. Una volta ottenuto
ciò, non rimane che far arrivare i rifugiati dove si ha un maggiore
controllo del tessuto economico e organizzare l’accoglienza attraverso
la gestione dei centri e delle attività previste dai protocolli
internazionali. I soldi al sistema arrivano grazie al meccanismo europeo
di tutela legato agli accordi di Dublino: più l’Italia rispetta gli
impegni internazionali, più il sistema guadagna. Dalle indagini emerge
come il sistema conoscesse molto bene il loro funzionamento, e avesse
tutto l’interesse a dirottare i gruppi di rifugiati. Lo strumento per
investire questo denaro sono le cooperative sociali, ormai divenute una
figura di riferimento delle forme imprenditoriali da Nord a Sud:
strumenti agili e flessibili, trasversali alle diverse categorie e
settori economici, dove vige come regola aurea il lavoro precario e nei
fatti l’articolo 18 è da sempre una lontana chimera (non sorprende
dunque che l’ex capo di Legacoop Poletti sia il promotore della riforma
del mercato del lavoro e compagno, se non di merende, quanto meno di
cena del sistema).

Gli uomini e le donne che hanno deciso di muoversi per cambiare la
propria vita si trovano così catalogati, gestiti, spostati in situazioni
paradossali, ‘integrati’, come prevede il sistema, in una sorta di limbo
e di attesa dentro centri di accoglienza circondati dall’ostilità quasi
mai spontanea, molto più spesso organizzata, del vicinato. A Roma,
peraltro, il paradosso si somma al paradosso, perché a coordinare questa
speculazione sul governo dei rifugiati sono fascisti più o meno come
quelli che poi si presentano davanti ai centri di accoglienza o ai campi
rom per contestarne la presenza: fascismo di governo e di lotta. Non si
tratta dunque di un’ostilità totale e nemmeno incondizionata. Non siamo
di fronte a una lotta senza quartiere e nemmeno con il quartiere, si
tratta piuttosto di una più prosaica e famelica lotta nel quartiere,
cioè sulle possibilità di sfruttarne al meglio le potenzialità. E chi
vive nei centri di accoglienza o nei campi fa parte integrante di questa
economia politica dello sfruttamento del quartiere, che non a caso è
sempre un quartiere proletario. La definizione di «rifugiato» o di
«minore non accompagnato» funziona infatti come un codice a barre, che
la logistica del sistema controlla e gestisce in base al funzionamento
della catena dello sfruttamento. Anche non facendo niente, i rifugiati
fruttano. Ma se fanno qualcosa, possono fruttare ancora di più. C’è lo
sfruttamento umanitario nelle campagne e quello in luoghi meno remoti
delle campagne, seppur a esse collegati. Nelle ultime settimane, ad
esempio, è emerso come vi sia un sistema integrato tra case famiglia e
il centro Agroalimentare di Guidonia: i minori non accompagnati lavorano
nel centro per pochi euro l’ora. Tutti si stupiscono, anche di come
saltino agilmente reti alte diversi metri. Senza considerare che questi
ragazzi, che hanno attraversato confini e frontiere per arrivare in
Italia, difficilmente si fanno intimidire dalle reti e difficilmente
possono trovare soddisfacente questa integrazione nello sfruttamento,
mascherata dalla promessa di percorsi inserimento che vivono di frasi
fatte e schemi tanto fallimentari per loro quanto proficui per il
sistema e per gli ‘eroici’ padroncini che possono così ottenere
manodopera a bassissimo costo.

Dietro tutto questo non c’è niente di speciale, ma solo l’evidenza di
una situazione di normale eccezione che caratterizza la condizione
migrante. Per questo diciamo, riprendendo quanto disse il Coordinamento
per lo sciopero del lavoro migrante dopo i riots di Rosarno, che Roma è
l’Italia. Va però aggiunto qualcosa in più: alla base di tutto questo
c’è la perfetta sintonia funzionale tra regolamenti che hanno il
presunto scopo di aiutare le ‘vittime’ di guerre e persecuzioni o minori
‘indifesi’ e la legge Bossi-Fini, che da quasi quindici anni governa la
mobilità del lavoro migrante in sintonia con i regolamenti europei.
Poiché è impossibile ottenere documenti che non dipendano dalla volontà
di un datore di lavoro, il ricatto politico del permesso di soggiorno
getta la sua ombra su tutti i migranti e le migranti, spingendo a
chiedere l’asilo umanitario pur di ottenere il diritto di restare,
innescando così il business del sistema e fornendo manodopera a basso
costo. Contro tutto questo non serve scandalizzarsi, non è sufficiente
indignarsi alimentando la sterile retorica della legalità: gridare allo
scandalo copre ciò che rende possibile i fatti di cui parliamo. Per
quanto schifo faccia il sistema, questa è la legge del razzismo
istituzionale contro cui è necessario organizzarsi e lottare. Come è
stato fatto la scorsa settimana a Brescia, come faremo il prossimo 13
dicembre a Modena in occasione del presidio indetto dal Coordinamento
Migranti e come andrà fatto all’interno del percorso dello sciopero
sociale, creando lo spazio per un protagonismo dei migranti
nell’organizzazione del rifiuto della precarietà e dello sfruttamento.