[autorgstudbo] Strage di Brescia: le memorie di carta

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Strage di Brescia: le memorie di carta

di Felice Mometti

Puntuali come orologi svizzeri sono arrivati i libri sulla strage di
piazza della Loggia di Brescia in occasione del quarantennale. C’era da
aspettarselo. Le ricorrenze e le commemorazioni sono da sempre occasioni
che il marketing editoriale non si lascia sfuggire. Ma l’impressione è
che più passa il tempo meno si rifletta e sempre più si abbia a che fare
con rimasticature e assemblaggi di tesi preconfezionate. Il nobile
intento, dichiarato da tutti, di mantenere ‘viva e attiva’ la memoria
del 28 maggio 1974 si tramuta, spesso, nell’ennesima ricostruzione dei
fatti sulla base delle carte processuali. La questione di come la
memoria del passato si attualizzi nel presente, argomento che non
attiene a istruttorie né a processi, non viene mai affrontata. Viene
rimossa, dimenticata. Il motivo è semplice: si dovrebbe definire di
quale memoria si parla e che cosa sia, oggi, il presente. Meglio
stracciarsi le vesti per la mancanza di colpevoli materiali, per gli
ostacoli frapposti alla ‘giustizia’ dai cosiddetti poteri occulti, per
una ‘verità’ quasi a portata di mano e mai afferrata. Poco o nulla viene
detto sulla reale posta in gioco del conflitto sociale di quegli anni,
sulla natura dello Stato in quanto detentore del ‘monopolio della
violenza legittima’, sull’azione concertata messa in campo – già nelle
ore successive la strage – dai grandi partiti e dalle organizzazioni
sindacali per incanalare istituzionalmente la protesta e quindi
«circoscrivere la pressione dei contestatori», come ebbe a scrivere un
po’ di anni dopo Adelio Terraroli che, al tempo della strage, era
parlamentare e dirigente di primo piano del Pci bresciano.

La storia come reality

Il libro di Benedetta Tobagi, Una stella incoronata di buio. Storia di
una strage impunita, ha il taglio e il tono di un reality. La storia e i
conflitti politici sono derubricati a intrecci psicologici di un insieme
di vicende personali, pur nella loro tragicità. Una narrazione in cui
l’autrice attribuisce ruoli e simula contesti subordinandoli in gran
parte al suo esercizio di stile letterario. Tra l’altro, en passant, non
perde occasione di informarci delle sue frequentazioni culturali a
Parigi, Londra e New York. La durezza dello scontro sociale di quegli
anni è ogni tanto evocata per poi essere subito, implicitamente,
incasellata nel solito teorema che postula un’evoluzione lineare dello
scontro di classe in terrorismo. Certo Tobagi parla anche di apparati
dello Stato che hanno depistato le indagini, ma con un certo stupore che
deriva dal non capacitarsi di come la cosiddetta ragion di Stato sia
stata usata come una clava contro i cittadini «di cui lo Stato è fatto».
Non si rifugia, come spesso è accaduto e troppi hanno fatto, nell’
immagine dei servizi segreti ‘deviati’, ormai improponibile, ma in
quella di «uno Stato tradito da chi avrebbe dovuto servirlo». Nella
«disattenzione interessata» del Servizio Informazioni della Difesa. La
Nato più che una struttura politico-militare, dalle cui basi italiane
sono uscite grandi quantità di esplosivo, pare una categoria dello
spirito che aleggia ogni tanto tra le pagine del libro. E fin qui siamo
ancora alle parole già sentite molte volte con lo scopo di non fare i
conti fino in fondo e quindi prendere sul serio il termine ‘strage di
Stato’. Dove invece si registra una vera e propria caduta di stile,
diciamo così, è quando si descrive un’iniziativa politica promossa il 13
luglio del 1974 in piazza della Loggia da alcuni settori della sinistra
radicale, denominata «Processo popolare contro gli assassini fascisti e
i loro mandanti». Un’iniziativa discutibile fin che si vuole,
condivisibile o meno, ma che Tobagi – pur definendola «una curiosa
pantomima» in cui «i manifestanti, per fortuna, si limitano
all’invettiva» – usa per dimostrare una sorta di contiguità tra quel
‘processo popolare’ e quelli dal «volto orrendo e deforme» messi in
scena dalle Brigate Rosse. Tra le righe si insinua che anche gli
oppositori al «compromesso storico» abbiano, in modo inconsapevole,
fatto il gioco di chi voleva il «blocco d’ordine». Insomma, per Tobagi,
la cornice è quella dell’album di famiglia della lotta armata. Non ci
sono state scelte politiche, analisi dello scontro con lo Stato,
dinamiche sociali che hanno operato, in un senso o nell’altro, drastiche
soluzioni di continuità. Come se tutto fosse già stato scritto in un
lento scivolare verso la ‘barbarie di sinistra’. Una convinzione, se non
un’ossessione, anche di Martinazzoli – ultimo segretario della
Democrazia Cristiana, più volte ministro e sindaco di Brescia – che in
più occasioni ha sostenuto che ai funerali delle vittime della strage
erano sicuramente presenti «quelli che diventeranno il cervello delle
Brigate Rosse». E quindi, con queste premesse, la memoria che cos’è?
Come si trasmette? Tobagi ha pochi dubbi. La memoria per «cementare
l’intesa tra le generazioni» consiste nel «saper sentire il peso
dell’ingiustizia che preme sulle pareti del cuore e accettare di
sostenerlo anziché scrollarlo via» perché «è un marchio di umanità».
Troppo poco anche per un reality. Come se l’umanità avesse e avesse
avuto dei valori condivisi e il concetto di giustizia non risentisse del
posto che si occupa in una gerarchia sociale.

Il polpettone ideologico

Bisogna sempre diffidare dei decostruttori dell’ideologia altrui che in
passato è stata anche la loro. Gli strumenti che usano non sono mai
neutri, sono più carichi di ideologia delle ideologie che vogliono
criticare. È il caso del libro di Pino Casamassima Piazza Loggia.
Brescia, 28 maggio 1974. Inchiesta su una strage, attraversato da una
ricostruzione ideologica della memoria con l’intento, a dir poco
pretenzioso, di consegnarla al futuro «con parole precise. Nero su
bianco». In un accavallarsi di citazioni di Gramsci, Arendt, Hegel,
Benjamin, la Scuola di Francoforte – che in gran parte contraddicono le
tesi dell’autore – ed evocando ogni tanto anche Severino, viene
confezionato un vero e proprio polpettone in modo che risulti complicato
risalire agli ingredienti di base. Lasciando da parte l’abusata retorica
di Casamassima che dice di svestirsi «di ogni giudizio e pregiudizio» e
di porsi come un alieno che chiede «Cos’è successo a Brescia il 28
maggio 1974?», come se negli ultimi quarant’anni fosse vissuto su un
altro pianeta, il nocciolo duro della sua ideologia è un altro. Ciò che
dà la vera cifra al suo «metodo laico» è il richiamo al periodo di De
Gasperi «con le sue estensioni politiche arrivate alle soglie del nuovo
decennio dei Sessanta» in cui «l’equilibrio del sistema era garantito da
una democrazia parlamentare di stampo liberale». Infatti la
legge-truffa, i morti causati dalla polizia di Scelba, i protocolli
segreti sulla Nato firmati da De Gasperi, il feroce autoritarismo sui
luoghi lavoro negli anni ’50 a quanto pare, per l’autore, sono state
solo delle costruzioni ideologiche (di altri) dalle quali emanciparsi. E
l’emancipazione avviene dando «voce anche a loro, ai fascisti. A quelli
che sentivo innocenti, ma anche – soprattutto – a quelli che sapevo
colpevoli». Nulla di scandaloso in questo se si mettono i panni dello
storico. Banalmente ideologico se viene usato per giustificare una tesi
precostituita che accomuna ‘estremisti’ di destra e sinistra
prigionieri, in maniera speculare, dello stesso immaginario politico,
elevando a paradigma il proprio microcosmo personale e territoriale, la
Salò dei primi anni ’70, a paesaggio politico nazionale. Il tutto viene
poi collocato solo all’interno di una ‘scena eversiva’ neofascista, con
qualche aggancio con servizi segreti, che aveva come obiettivo abbattere
la democrazia parlamentare e instaurare un regime militare. I servizi
segreti vengono descritti, a seconda delle situazioni, come entità
onnipotenti oppure come luoghi popolati da personaggi da fumetto. E
della memoria cosa rimane? Per Casamassima sembra più coincidere con una
«voce sommessa della coscienza» confinata in un’etica astratta, cioè con
uno degli elementi costitutivi dell’ideologia che giustifica l’assetto
dell’attuale società. Che poi fa il paio con la memoria
istituzionalizzata oggetto delle commemorazioni ufficiali.

Il potere incompatibile

Di tutt’altro valore la raccolta degli scritti, che coprono il periodo
tra gli anni ’80 e ’90, di Norberto Bobbio La strage di piazza della
Loggia. Il filosofo torinese, nei saggi e negli articoli contenuti del
libro, ci dà un breve sunto della sua teoria politica applicata alla
strage di Brescia. La mano degli esecutori e la mente dei mandanti sono
state mosse «dall’indifferenza al male» e la strage tra le possibili
forme di violenza è quella che più si avvicina alla «violenza assoluta».
Ma perché ciò è stato possibile? La risposta di Bobbio è piuttosto
debole, costringendolo a chiedere soccorso alla teoria degli arcana
imperii che risale all’Impero romano, poi ripresa dai fautori dello
Stato assoluto. La democrazia italiana è stata caratterizzata per
decenni dalla compresenza di tre livelli di governo: il governo
politico, il sottogoverno e il cripto-governo. Quest’ultimo come parte
invisibile e segreta del potere ha funzionato come un «principe» che
prende «decisioni nella più assoluta segretezza perché il volgo
disprezzato» non deve conoscere e avere accesso ai reali strumenti del
potere. E la strage in quanto sconfitta della democrazia, intesa da
Bobbio come il regime in cui il potere viene controllato e limitato
dalla costituzione, è stata possibile per mancanza di trasparenza e, in
ultima analisi, per la mancata applicazione integrale della
costituzione. Da una situazione del genere, secondo Bobbio, si può
uscire dichiarando il potere invisibile del cripto-governo incompatibile
con la democrazia. Il ragionamento di Bobbio sembra svolgersi in un
vuoto pneumatico in cui non esistono rapporti di forza tra classi e
settori sociali, scontri di potere e lotte per l’egemonia. Infatti non
arriva mai ad affrontare realmente la natura di quel potere che descrive
su tre livelli e il motivo della sua continua riproduzione. Un pensiero,
quello di Bobbio, che viene messo sotto scacco dalla concreta dinamica
dei rapporti politici, sociali e di produzione che possono essere molte
cose e assumere molte forme ma non possono essere «costituzionalizzati»
e ridotti a una procedura definita.

La memoria del futuro

Dopo quarant’anni, cinque istruttorie e una decina di fasi di giudizio
bisogna ancora aspettare che la verità emerga da un’aula giudiziaria? La
verità storica e politica si conosce da decenni. Non sono stati i
complotti o le ‘deviazioni’, che pure ci furono, le cause della strage.
È stato il funzionamento ‘normale’ di uno Stato, dei suoi apparati, dei
suoi alleati internazionali politici e militari, che di fronte al
pericolo di un conflitto sociale che li metteva radicalmente in
discussione hanno reagito con le bombe per stabilizzare una situazione,
giudicata dal loro punto di vista, fuori controllo. Contano
relativamente ormai il ruolo di chi concretamente ha messo la bomba e
l’uso strumentale di formazioni neofasciste che non aspettavano altro
per passare all’azione. Il ciclo di lotte apertosi alla fine degli anni
’60 del secolo scorso andava fermato, bloccato, anche perché poteva
assumere forme e dimensioni, come in parte è stato, che andavano oltre
la capacità e la possibilità di mediazione dei partiti e dei sindacati
della sinistra. In questo senso anche la strage di Brescia è una strage
di Stato com’è stata quella di piazza Fontana.

La memoria, quindi, non è il ricordo di un passato congelato e immobile.
La memoria vive nel presente e nel futuro altrimenti è solo pratica
nostalgica e imbalsamazione liturgica. La memoria non è la ripetizione
di un racconto oppure l’indignazione retroattiva, la memoria si declina
al presente che ne determina le modalità, la selezione degli eventi, la
loro interpretazione, le loro ‘lezioni’. Per Benjamin è pura illusione
considerare «l’accaduto» come una sorta di punto fisso al quale ci si
potrebbe avvicinare attraverso una ricostruzione mentale a posteriori.

Ma la memoria si «attiva» anche al futuro. Avere memoria del futuro a
prima vista può apparire solo un ossimoro. Se invece la si guarda come
possibilità di una nuova soggettivazione politica che fa i conti con le
recenti trasformazioni delle classi, dei poteri e degli Stati, anche la
strage di Brescia sarà liberata dalle ossessioni commemorative.