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Io, poliziotto, chiedo scusa alla famiglia di Stefano Cucchi per l'oltraggio infinito"

Ecco la lettera aperta con cui un agente della questura di Bologna si
rivolge ai parenti del ragazzo morto a Roma, dopo la sentenza d'appello
che ha assolto tutti gli imputati e dopo la querela del Sappe alla
sorella Ilaria
04 novembre 2014
Io, poliziotto, chiedo scusa alla famiglia di Stefano Cucchi per l'oltraggio infinito

Servo lo Stato da 26 anni soltanto grazie a un prudente disincanto che
mi permette ancora di sopravvivere tra le pieghe di quel medesimo nulla
costituito per lo più da ingiustizie, bugie, miserie umane, silenzi,
paure, sofferenze.
Oggi intendo rompere quel silenzio cui si è
condannati quasi contrattualmente da regolamenti di servizio che
impongono e mitizzano l’obbedire tacendo, perché le parole pronunciate
dal Segretario nazionale del Sap all’esito della pronuncia di
assoluzione non restino consegnate anch’esse al fenomeno di cui sopra.

Il diritto di parola consentito al Segretario nazionale del Sap gli ha
permesso di esprimere ”La piena soddisfazione per l’assoluzione di tutti
gli imputati ” con una disinvoltura che abitualmente può trovare
applicazione esclusivamente in uno stadio dove l’unica forma di dolore
può derivare abitualmente da un goal mancato e non già dalla morte
violenta di un giovane celebrata in un’aula di Giustizia.
"Sono
convinto che potrebbe ricapitare altre volte, se questo clima perdura".
Così Giovanni Cucchi, padre di Stefano, entrando nel tribunale di Roma
per incontrare il procuratore capo della Capitale Giuseppe Pignatone.
"Le parole del Sap? Sono sempre le stesse. Per tutti i ragazzi morti
sono sempre le stesse frasi" ha detto invece Rita, la madre del geometra
romano, in merito alle polemiche scatenate dal segretario del sindacato
di polizia Sap
“Bisogna finirla in questo Paese di scaricare sui
servitori dello Stato la responsabilità dei singoli, di chi abusa di
alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha
disprezzo della condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta,
ne paga le conseguenze” .
Queste parole, in un contesto
democratico che ne apprezzasse il loro peso, sortirebbero reazioni,
conseguenze, interrogativi e dibattiti sul loro senso, sull’utilità e
gli effetti di questa allegra scampagnata lessicale sul dolore di una
famiglia nonché una minima inchiesta semantica sul concetto di vita
dissoluta e al limite della legalità. Sarebbe da attendersi dal
Segretario la spiegazione su quanto realmente produca paura in questo
Paese e se l’abuso di alcol e droghe sia causa di morte per lesioni e se
vi sia qualcosa di più dissoluto di un diritto calpestato.

Andrebbe preteso che ci chiarisse se quelle parole siano rappresentative
di tutto l’universo della Polizia o invece siano la personale
interpretazione di un dramma o la recensione di un abominio. E ancora
gli andrebbe richiesto se il silenzio seguito alle sue parole sia
l’indicatore di un Paese dove domina sul diritto l’incertezza, sulla
complessità della vita l’omologazione, sui drammi umani l’assenza di
indignazione e l’ignavia.
Per questo chiedo scusa alla famiglia
Cucchi per questo oltraggio infinito, per questa deriva che non può
rappresentare la totalità degli appartenenti alle forze di polizia
neppure quelli a cui per regolamento è precluso il diritto di indignarsi
e di affrancarsi dalla convivenza col divieto di opinione .
Nel dubbio, semplicemente nel dubbio.
Francesco Nicito, agente della Questura di Bologna
fonte :L'Espresso