Ciao lista,
il tema di quest’anno, per come é stato delineato da gine[1], apre un
dibattito secondo me molto interessante. Avrei voluto partecipare a HM
con un qualcosa con il titolo di qesta mail, banalmente commentare
assieme a chi stava una serie di suggestioni e banalitá. Non saró
presente purtroppo, quindi lancio queste riflessioni qui, con la
speranza che magari con calma ne nasca una discussione a più voci.
Hack the zombi: schiavo, ribelle e hacker.
Usare la metafora dello zombi per indicare un corpo sociale idiotizato,
in questo caso dalle tecnologie, è a mio parere pericoloso e inesatto.
Inesatto perchè elimina il portato conflittuale, rivoluzionario e
ribelle che storicamente possiede questa narrazione. Pericoloso perchè
si cade in una banalità che ha poco a che vedere con la realtà e molto
con un racconto di buoni e cattivi.
Innanzitutto c'è un problema di definizione. Cos'é lo zombie? quali sono
i suoi contorni? Dalle sue origini nella tradizione haitiana passando
per l'appropiazione USA nelle sue varie forme e sfaccettature la figura
del zombie é sfocata, difficile da mettere propriamente a fuoco.
Senza dubbio lo zombie é collegato in modo diretto con l'ansietá
sociale, le paure e i timori. In modo tale da convertirlo in un mostro
da ritualizzare, per appropiarsene e così smontarne la forza
distruttrice. In questo senso i ritual studies sono uno strumento
interessante per analizzare questo tipo di fenomeno culturale.
Lo zombi delle origini è, nel foclore dell’isola di Haiti, letteralmente
uno schiavo, rianimato post-mortem dal sacerdote Vodoo per tornare a
lavorare nei campi. Rivela la relazione dialettica padrone/schiavo alla
base del capitalismo e ne moltiplica la carica conflittuale: se per una
persona privo della propria libertà e costretta a lavorare per
l’arricchimiento altrui (le piantagioni di zucchero) la morte è un
orizonte di liberazione dal lavoro e dalla schiavitù, ritornare a
camminare dalla morte, solo per essere un lavoratore teleguidato (come
nella tradizione haitiana) significa non avere proprio nessuna uscita se
non la ribellione. Ed ecco che in modo imprevisto la ribellione, come
processo rivoluzionario di liberazione avviene e per la prima (e unica)
volta nella storia, una rivolta di schiavi si converte in un processo
costituente di uno stato moderno [2].
Lo zombi, in questa sua prima incarnazione, è inteso simultaneamente
come senza potere e al contempo potente, schiavo e ribelle. Questa paura
per il potenziale rivoluzionario, nella sua chiave colonialista e
razzista, e incarnata come timore del diverso e delle culture ancestrali
delle americhe, è quella che muove i primi passi nella grande macchina
di creazione di immaginari moderni: hollywood.
Lo zombi arriva in occidente fra gli anni 30 e 40, durante l’occupazione
nord americana di Haiti, e inmediatamente si fa voce xenofoba
dell’occupazione. L’interpretazione apocalittica, da Romero in avanti, è
postuma e definisce lo zombi come mostro simbolo della società dei
consumi. In realtà fino a quel momento, lo zombi non è intimammente
cattivo, come i vampiri, ma semplicemente un servitore. Le varie
rappresentazioni dello zombi come mutante, come patologia dentro della
società, tipiche delle narrazioni anni 90 e 00 - da resident evil a 28
giorni dopo - continuano a definire lo zombi come minaccia esterna alla
società e come mostro da combattere. Questa volta peró aggiungono la
catarsi, il rinnovamento. Il primo elemento narrativo essenzialie della
narrazione zombi apocalittica infatti è la successiva transizione ad un
nuovo mondo, dopo la tragedia, il dolore, la morte, c’è la resurezione.
In questo caso della società. Discorso cripto-cristiano storicamente
condiviso da molte utopie.
Bisogna arrivare a The Walking Dead - tanto il fumetto come il serial
televisivo - per ritrovare parte della conflittualità intrinseca nel
mito dello zombi. In TWD la patologia si contagia non solo attraverso il
morso del morto vivente ma basta la “semplice” morte naturale per
convertirsi nel mostro.La patologia, ovvero la condizione zombi, la
portiamo dentro tutte, non importa essere morsi o no.
Il messaggio è chiaro: in un’America post 9/11 siamo tutti potenziali
terroristi. Ma chi è il terrorista se non un rivoluzionario? Ecco
tornare il nodo conflittuale insito in questa narrazione. Siamo tutti
(potenziali) ribelli, rivoluzionari, schiavi.
Non a caso il centro della narrazione di Kirkman sta sulla funzione del
leader, il bisogno di una guida politica in una comunità e nel percorso
di coscienza dell’eroe (Rick Jones) nell’accettare questa realtà. Ma
mentre tutto sembra dirci che non esiste atro al di fuori di questo,
rappresentandolo come l’unica realtà possibile di fronte al caos, lì,
fuori le sbarre, liberi di circolare ecco la comunità zombi. Gli zombi
non hanno leader, non hanno gerarchia, si organizzano sul principio di
individualismo altruista. Non importa quale zombi ammazzi: l’orda è
un’organo collettivo, che all’unisono si muove verso l’obiettivo
(politico): mangiarti.
Come non riconoscere la marcia zapatista in un’orda zombi? Chi è il
sub-comandante se non un corpo senza anima e un’anima presente in tutti
i corpi allo stesso tempo, ognuno con la stessa necessità, spinto dallo
stesso desiderio.
Gli zombi, insomma, siamo noi hackers, noi zapatisti, noi rivoluzionari.
Non la gente lobotomizata dal turbo-capitalismo interconnesso. Noi siamo
i morti viventi che in modo individualisticamente collettivo marciamo
assieme verso i nostri sogni e le nostre lotte. Quasiasi cosa accada non
ci fermiamo, cerchiamo di arrivare alla preda. E non per fede. Ma
semplicemente per natura. Come gli zombi non possiamo farne a meno.
Aprire e smontare le cose, capire come funzionano, ribellarci all’ordine
schiavista della relazione produzione/consumo.
D’altronde, già Stallman aveva intutito la nostra natura: che cosè la
GPL se non un dispositivo zombificante?
detto ciò, ma anche STI CAZZI!
buon HM a voi!
husk / suki
[1] qui:
http://www.hackmeeting.org/wiki/scenanonmorta
[2] guerra di indipendenza di haiti dalla francia 1791-1804