In questi giorni, in molti si stracciano le vesti a proposito del
nuovo ospedale san luca, mettendono in evidenza le "criticità".
Nel 2005, però, ci fu una sola persona che in consiglio comunale votò
contro la realizzazione di quel presidio: la consigliera di
Rifondazione comunista Roberta Bianchi.
A distanza di 9 anni, penso sia utile (e molto istruttivo) rileggere
l'intervento con cui R. Bianchi motivò il suo no a quel progetto.
Lucca 20.12.2005
Roberta Bianchi, Consigliere comunale P.R.C
Come Rifondazione riteniamo che vi siano diversi motivi per dire di no
a questo accordo.
Innanzitutto contestiamo il metodo seguito. La Regione di fatto ha
imposto un sistema per cui o si costruiscono tutti e quattro gli
ospedali o non se ne fa alcuno, mettendo in questo modo i soggetti
coinvolti, in situazione di oggettiva difficoltà perché con le proprie
scelte condizionano l’esito anche altrove, e magari in un’altra città
l’ospedale serve davvero.
Il secondo punto di contrasto è relativo alla necessità di un nuovo
ospedale a Lucca. Sicuramente l’attuale struttura presenta molte
criticità che rendono necessari interventi seri, ma ci chiediamo
perché non si è presa in considerazione l’ipotesi di intervenire su
questa struttura anziché pensare di costruirne ex novo un’altra,
cementificando altro territorio e creando ulteriori necessità di
collegamenti adeguati e di infrastrutture. Non siamo i soli a dire che
potevano essere individuate soluzioni alternative.
Ma soprattutto come Rifondazione contestiamo l’idea di sanità che il
nuovo ospedale presuppone. Si parla infatti di ospedale per acuti. Ciò
significa che il ricovero ospedaliero sarà limitato a tre, quattro
giorni; la fase acuta della malattia, appunto, o dell’intervento. Già
ora i tempi di degenza si sono ridotti notevolmente, alcuni reparti
sono stati accorpati e c’è stata una diminuzione di posti letto, ma
con la costruzione del nuovo ospedale questo sistema verrà
definitivamente sancito; sono previsti infatti 200 posti in meno. La
diminuzione di posti letto è conseguente alla concezione di ospedale
che emerge con chiarezza dalla lettura delle linee d’indirizzo della
sanità regionale, ma che ci è stata ribadita anche stasera, e cioè che
l’ospedale deve servire per coprire l’emergenza, la fase acuta,
dopodiché il paziente, (meglio definito come cliente/utente) potrà
tornare a casa o trovare accoglienza in altre strutture presenti sul
territorio. Noi non siamo contrari al fatto che l’ammalato rimanga in
ospedale il meno possibile, (e chi sta bene in ospedale!), il problema
è che di strutture di supporto sul territorio non ve ne sono e non
sono previsti finanziamenti. La legge regionale parla di ospedali di
comunità riservati ai lungodegenti, ai malati oncologici e a malati
con non autosufficienza temporanea ma non vi è riferimento alcuno a
progetti in tal senso né a fondi destinati a questo tipo di
investimento.
L’alternativa dunque è la cura presso il proprio domicilio. Ma anche
in questo caso non vi sono servizi sul territorio in grado di
soddisfare le esigenze degli ammalati.
Attualmente nella nostra USL la spesa sanitaria è così ripartita: 5%
per la prevenzione, 43% per l’ospedale, 52% per le spese sul
territorio. I finanziamenti sono già oggi insufficienti a garantire
servizi minimi. Per avere garantito un adeguato servizio sul
territorio sarebbe necessario un aumento consistente della quota
destinata alla spesa sanitaria. Non ci pare che gli interventi del
Governo vadano in questa direzione.
Stando così le cose è evidente che i pazienti precocemente dimessi
saranno a totale carico delle famiglie, sia nel caso di dimissioni
precoci dopo un intervento chirurgico, sia per la riabilitazione o
l’assistenza dopo il periodo acuto di una malattia, anche quando si
tratti di malati cronici. La situazione rischia dunque di diventare
drammatica per molte famiglie. Questo pericolo, già oggi presente, è
chiaro ai più, tant’è che in molti, oltre noi di Rifondazione, hanno
preso posizione sulla necessità di avere strutture adeguate sul
territorio, il che ha indotto i soggetti coinvolti nell’operazione,
dall’Assessore regionale, al direttore dell’Asl 2, finanche al
Presidente della Provincia a cominciare a parlare di Cittadella della
Salute da collocarsi in una parte dell’attuale presidio ospedaliero di
Campo di Marte. Sarebbe però importante che chi fa delle affermazioni
fosse in grado di supportarle con dati certi di cui al momento nessuno
dispone, e sinceramente mi sento molto presa in giro, come cittadina e
come consigliera comunale. Questa sera abbiamo l’onore di avere tra
noi i massimi vertici della Regione in materia di Sanità, ad imbonire
e blandire questo Consiglio con promesse che non abbiamo alcuna
certezza che verranno mantenute. Lo stesso Sindaco che ha condotto le
trattative nel più assoluto isolamento, nel senso che non ha ritenuto
di dover informare mai il Consiglio di come stavano procedendo le
trattative, che non ha mai ritenuto prima di questo momento di dover
vincolare la propria firma a impegni precisi in merito alla
realizzazione di strutture sul territorio, ora ci propone un atto di
indirizzo che vincola l’area di Campo di Marte a utilizzo pubblico,
con priorità per la Cittadella della Salute. Lo stesso Presidente
della Provincia che ha sottoscritto l’accordo e che interviene sul
giornale per dire che a Campo di Marte va realizzata la Cittadella
della Salute e addirittura ci dice come dovrebbe essere, ma non
chiarisce come si farà a realizzarla, perché non ha preteso che tutto
quello che propone fosse messo nero su bianco con garanzie precise in
merito ai finanziamenti. Perché è bene che si sappia che negli accordi
ufficiali non vi è alcun riferimento a quanto ultimamente e,
tardivamente, si va ripetendo che deve essere garantito. Tant’è che
l’Accordo di Programma prevede solo la massima valorizzazione di Campo
di Marte il che non significa proprio nulla, anzi dal momento che
dalla vendita di Campo di Marte si debbono ricavare 23 milioni di euro
per poter costruire il nuovo ospedale, il termine potrebbe significare
semplicemente: cerchiamo di ricavarne il massimo utile possibile.
Vorrei che si dicesse ai cittadini con quali soldi si pensa di
realizzare queste strutture di supporto e soprattutto se una volta
realizzate saranno gratuite per tutti. Dove sta scritto quanto si va
dicendo a gran voce. Anche quando si è costruito l’ospedale della
Versilia si è parlato di potenziamento delle strutture sul territorio,
ma ad oggi non se ne vede nemmeno l’ombra.
Temiamo molto che una volta incassato il voto di questo Consiglio
accada la stessa cosa anche da noi.
Tornando al monoblocco: il direttore generale, ma anche l’Assessore
hanno detto che l’evoluzione tecnologica e tecnica e di approccio ai
servizi pubblici richiede un ospedale con le seguenti caratteristiche:
compatto per ridurre i tempi di trasferimento e flessibile, vale a
dire con elevato grado di adattabilità e che la realizzazione del
nuovo ospedale consentirà di risparmiare il 20% delle risorse. La qual
cosa è assolutamente contraddetta dai costi di gestione di ospedali
già realizzati. Basta andare a parlare con gli operatori della
Versilia o del Valdarno, per rimanere solo nella nostra Regione. Va
inoltre detto che la struttura compatta è oggi considerata superata,
perché al contrario di quello che si dice non è assolutamente
flessibile né adattabile, nel caso cambino le condizioni e le
necessità. Oggi da più parti si parla di una struttura più piccola, un
piccolo monoblocco, contornata e collegata ad altre strutture, una
struttura del genere è considerata più funzionale rispetto alle
condizioni che cambiano in continuazione. E questo è sicuramente
realizzabile a Campo di Marte, e sicuramente con minore spesa. Se
queste sono opinioni non dimostrabili in questa sede, ci chiediamo
però perché se è così importante e funzionale una struttura monoblocco
non si sia pensato di modificare in tal senso i due ospedali di Pisa,
che sono ambedue a padiglioni e l’ospedale di Careggi, a Firenze,
quello sì vecchio e fatiscente e anch’esso a padiglioni. Queste
strutture ospedaliere, ben più importanti della nostra, in che modo
potranno garantire tempi veloci di trasferimento dei pazienti da un
reparto all’altro, come potranno intervenire con appropriatezza e
sicurezza visto che per loro non si parla di creare una nuova
struttura a monoblocco? Scusate ma a noi questa operazione sa tanto di
speculazione.
E poiché di questo siamo convinti vorrei fare una breve cronistoria dei fatti.
Tutto sembra nascere da un “regalo” del Governo Berlusconi: un
finanziamento di 169 milioni di euro per realizzare 4 nuovi ospedali
nei primi mesi del 2003. In realtà qualche segnale dovremmo già
cercarlo nella decisione della Regione Toscana della metà del 2002 di
cambiare i 4 direttori generali delle quattro Asl dove saranno
realizzati i quattro nuovi ospedali, perché saranno loro a decidere,
ma al momento ancora non lo si sapeva, chi vincerà la gara per
progetto e realizzazione.
La Finanziaria 2004 eliminò questo stanziamento. Nonostante questo il
presidente Martini e l’assessore Rossi andarono avanti, senza
precisare chi avrebbe tirato fuori i soldi.
Si fecero avanti due cordate per aggiudicarsi l’appalto. Il secondo
gruppo edile italiano, l’Astaldi già impegnata con i progetti della
Legge Obiettivo berlusconiana, con problemi di indebitamento
finanziario (187,5 milioni di euro nel 2002 rispetto ai 73 milioni del
2001, anche a causa di un prestito obbligazionario di 150 milioni
emesso in quell’anno dalla controllata lussemburghese Astaldi Finance,
molto maggiore del capitale sociale che è poco più di 98 milioni di
euro, operazione che ricorda molto Parmalat) ed una cordata toscana di
cui fanno parte anche la lega rossa delle cooperative, l’ex
municipalizzata pratese Consiag ed altri soggetti locali. Abbastanza
imprevedibilmente vinse, ossia venne scelta dai quattro direttori
generali, nominati l’anno prima dall’assessore regionale Rossi,
Astaldi, nonostante che dal punto di vista architettonico e
sicuramente del costo, il progetto toscano fosse migliore (a detta di
esperti). La cordata toscana fece ricorso al Tar e rese pubblici
particolari che rendono sconcertante l’operazione, e che chiunque può
leggere nella sentenza del Tar toscano che dette ragione alla cordata
toscana. In seguito il gruppo Astaldi fece ricorso al Consiglio di
Stato che modificò la sentenza del Tar e riavviò la procedura. Nel
frattempo il governo Berlusconi sbloccò i fondi. Questi i fatti. Ed
allora, e mi avvio a conclusione, come Rifondazione non possiamo che
ribadire la nostra contrarietà a questo accordo. Vorrei solo per
ultimo mettere in evidenza il momento particolare che il nostro Comune
sta vivendo. Abbiamo un Sindaco che non ha più una maggioranza in
questo Consiglio come dimostrano le divergenze su tutte le questioni
importanti di cui andiamo discutendo; un Sindaco che ha mostrato
chiaramente che gli affari della città in questi anni sono stati
gestiti altrove, al di fuori delle Istituzioni legittimamente elette
dai cittadini. E se il Consiglio voterà l’accordo affiderà proprio a
lui la responsabilità di questa operazione, perché questo prevede
l’accordo di programma. Il Consiglio comunale, la stessa Conferenza
dei Sindaci che pure ha il massimo di competenze in materia di sanità
locale non potranno né controllare né indirizzare, non avranno alcuna
voce in capitolo. Solo per questo noi dell’opposizione dovremmo
rifiutarci di sottoscrivere questo accordo. Certo ci dispiace per le
altre città che dell’ospedale hanno bisogno, ma non possiamo né
dobbiamo subire questi ricatti. La Regione ha sbagliato tutto fin
dall’inizio e noi non possiamo avallare questo sbaglio, permettendo
che vi sia spreco di denaro pubblico, di territorio, e che i cittadini
non abbiano garanzie sul futuro della sanità a Lucca.
Lucca 20.12.2005
Roberta Bianchi, Consigliere comunale P.R.C.