[Forumlucca] Elezioni Europee

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Autor: Aldo Zanchetta
Data:  
Para: forumlucca
Asunto: [Forumlucca] Elezioni Europee
Se hai dei dubbi su come funziona il governo (i raffinati dicono “la
governance”) dell’Unione Europea, ecco un articolo utile. E’ un po’ lungo,
ma la democrazia ha un prezzo.



Aldo






URGENTI PROBLEMI DI GOVERNANCE ECONOMICA DELL’UNIONE EUROPEA



di
<http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=758&Item
id=159> Sebastiano Fadda


12 maggio 2014




È sconsolante vedere come la stampa italiana (peraltro giustamente e
vergognosamente classificata dagli organismi internazionali nelle posizioni
più basse per quanto riguarda il suo grado di libertà) spinga l‘opinione
pubblica verso una crescente banalizzazione dei temi della politica
economica italiana ed europea e verso una diligente ignoranza delle opinioni
non conformiste.



Così, anche alle elezioni europee si giunge senza un confronto sui reali
problemi dell’Unione, mettendo invece in scena uno scontro ipersemplificato
tra “chi è favorevole e chi è contrario all’Europa”. Se il giudizio sulle
misure adottate dall’Unione Europea per il superamento della crisi non può
certo essere positivo, ancor più negativa e sicuramente più preoccupante è
l’architettura di governance da cui tali misure scaturiscono, nonché
l’ulteriore allarmante evoluzione (anzi involuzione) prospettata con
l’ipotesi dell’istituzione del Fondo di Redenzione del Debito. Ipotesi del
tutto assente dal dibattito, ignorata dalla stampa, ma sulla quale mi sembra
necessario e urgente richiamare la massima attenzione.



1. A fronte delle inadeguate (o addirittura erronee) misure sta la gravità
dei processi decisionali con cui esse vengono adottate, ossia la struttura
della governance. La prima osservazione da fare è che la fondamentale
istituzione democratica dell’Unione Europea, e cioè il Parlamento Europeo,
non svolge praticamente alcun ruolo nei processi decisionali, né costituisce
l’organo al quale devono essere rendicontate le politiche. Stando così le
cose, l’Unione Europea non può essere considerata propriamente uno Stato
federale. Il processo decisionale vigente nell’Unione sembra piuttosto
appartenere alla categoria della cooperazione internazionale e dei trattati
internazionali. Infatti i principali organismi più coinvolti nel processo
decisionale sono il Consiglio Europeo e l’Eurogruppo. Il primo è composto
dai capi di Stato o di Governo dei paesi membri più il suo presidente
eletto, mentre ha diritto a partecipare agli incontri anche il presidente
della Commissione Europea. Il secondo è composto dai ministri delle finanze
degli Stati membri che hanno adottato l’Euro; di solito si incontra il
giorno precedente la riunione del Consiglio degli affari economici e
finanziari (Ecofin), che a sua volta è la configurazione assunta dal
Consiglio dell’Unione Europea quando sono all’ordine del giorno questioni di
bilancio e di finanza pubblica.



Ma nel processo decisionale entrano anche con peso determinante da un
lato la Banca Centrale Europea, e dall’altro le intese informali tra un
ristretto numero di paesi (generalmente la Germania più qualche partner
temporaneo in funzione ancillare). Esercitano inoltre una forte influenza la
cosiddetta “Troika” (cioè la BCE, il FMI e il Presidente della Commissione
Europea) e un’altra struttura informale che pur avendo una dimensione super
europea è molto influente nel campo della politica economica dell’U.E.: si
tratta del Financial Stability Forum: una sorta di club di Governatori di
Banche Centrali, regolatori e altre organizzazioni internazionali, nato nel
1998 dopo la CRISI Russa in supporto del G7, che ha visto crescere la sua
influenza nei successivi G8 e G10.

Ciò che va sottolineato è il carattere prevalentemente informale di
questa struttura di governance, non nel senso che i loro componenti (per
esempio, Angela Merkel o Mario Draghi) siano “informali”; ma nel senso che
non è formalmente definito il ruolo, il potere, l’influenza che essi di
fatto esercitano nel processo decisionale dell’Unione Europea. Le decisioni,
si può dire, maturano in sedi informali dove un peso preponderante è
esercitato dai paesi (o dal paese) più forti e poi vengono “passate” alle
istituzioni comunitarie per la loro formalizzazione; ma non sempre è così.
Talvolta trattati e accordi fra gli Stati (come per esempio il “Fiscal
Compact”) non raggiungono gli organi legislativi dell’Unione; ma, essendo
espressione della cooperazione inter-nazionale interna all’Unione, vengono
direttamente passate agli organismi tecnici, burocratici, per la loro
implementazione. Nascono così quei meccanismi sanzionatori automatici che in
base all’art. 7 del TSCG possono essere bloccati soltanto da un voto
contrario del Consiglio Europeo a maggioranza qualificata (“the rule of
reverse qualified majority”) senza che il paese in questione possa prendere
parte al voto. Si deve sottolineare in questi trattati la chiara
consapevolezza dell’obiettivo di ridurre nel processo decisionale il peso
degli organi democratici dell’Unione: infatti si specifica negli art. 12 e
13 del TSCG che “i capi di Stato e di Governo delle parti contraenti si
incontreranno informalmente in riunioni dell’ Euro Summit”, “almeno due
volte all’anno”. Peraltro, il presidente della Commissione Europea “può
partecipare” a tali incontri; “il Presidente della BCE è invitato a
partecipare” e il presidente del Parlamento Europeo può essere invitato per
essere sentito”. La Governance dell’Unione Europea è uno strano ibrido: non
si tratta né di un vero Stato Federale né di una vera organizzazione di
cooperazione intergovernativa. E ciò è causa di molti guai.

2. Se le cose non sono quindi messe bene al giorno d’oggi, un ulteriore
peggioramento si intravvede nella prospettata istituzione del “Fondo di
Redenzione del Debito”. L’istituzione di questo fondo è stata suggerita dal
“Consiglio Tedesco degli Esperti Economici”, e il Presidente Barroso ha
affidato il compito di studiarne i dettagli applicativi ad un “Gruppo di
Esperti” di sua nomina (nessun italiano ne fa parte). Tale gruppo ha
presentato le sue conclusioni entro il termine previsto, esattamente il 31
di marzo. Ho lanciato altrove l’allarme sugli aspetti economici di questo
progetto già qualche mese fa (“Sovrumani silenzi e profondissima quiete”,
Conquiste del Lavoro, 10 gennaio 2014). Il Rapporto Finale del Gruppo di
Esperti sul Fondo di Redenzione rafforza le caratteristiche originali della
proposta e conferma la pesantezza delle conseguenze per l’economia italiana;
in particolare, l’onere di ripagare annualmente un ventesimo dell’eccedenza
del debito rispetto al 60% del Pil, e ribadisce che i paesi fortemente
indebitati non possono sottrarsi allo “sforzo irrinunciabile che essi sono
chiamati a compiere per ridurre il debito” e che “tale sforzo deve tradursi
in una severa disciplina di bilancio che generi in particolare gli avanzi
primari necessari per ridurre il debito”. Vale la pena notare
incidentalmente che l’ammontare dell’avanzo primario da conseguire nel
corrente anno nel nostro paese per ottenere un bilancio strutturale in
pareggio, come richiesto dal “fiscal compact” e come improvvidamente
recepito dalla modifica costituzionale apportata all’art. 81 della nostra
Costituzione, assumerebbe un valore praticamente insostenibile per la nostra
economia. Si tratterebbe di una eccedenza del gettito fiscale sulle uscite
tale da coprire le spese per il pagamento degli interessi sul debito
pubblico; cioè, secondo le stime del Documento di Economia e Finanza del
Governo, pari a quasi 80 miliardi (contro i 30 miliardi circa di avanzo
primario del 2013). E in effetti a quei valori dovrebbe gradualmente tendere
l’avanzo primario per raggiungere intorno agli anni 2020 il pareggio
strutturale del bilancio pubblico. D’altra parte, il margine di flessibilità
collegato all’andamento del ciclo economico è talmente ambiguo a causa delle
difficoltà nella interpretazione e nella misurazione del ciclo da essere da
un lato estremamente labile e dall’altro fortemente soggetto a valutazioni
arbitrarie.



Se i contenuti economici del Rapporto sono preoccupanti, molto più
preoccupanti sono gli aspetti di governance. Infatti, per attenuare il
rischio di “azzardo morale” gli esperti suggeriscono che contestualmente
alla istituzione del Fondo venga siglato un patto che comprenda una vasta
gamma di misure, e precisamente: a) la definizione di precondizioni per
l’accesso al fondo: al superamento di un test di “sostenibilità del debito”,
di dubbia praticabilità, viene preferita l’esclusione degli Stati sotto
assistenza finanziaria; si richiede inoltre la previa ratifica e il rispetto
del Trattato di Stabilità, Coordinamento e Governance (TSCG) del 2012 e si
suggerisce anche un “periodo di prova”; b) un limite alla “possibilità per
gli Stati membri di condurre politiche imprudenti, mediante l’imposizione di
vincoli alla loro autonomia decisionale e lo spostamento di decisioni chiave
a livello europeo”. Gli esperti lamentano che, nonostante l’obbligatorietà
del parere della commissione sullo schema di bilancio introdotta dal “two
pact”, “tutte le decisioni finali in materia di bilancio continuano ad
essere prese a livello nazionale e al momento non esistono strumenti legali
per impedire ex ante che uno stato membro le prenda o per imporre
emendamenti”. Si auspicano quindi regole più forti, come l’imposizione di un
deposito nel caso che la bozza di bilancio non rispetti le richieste della
Commissione o addirittura un potere di veto sul bilancio dei singoli Stati.
Si avverte però che l’introduzione di queste misure richiederebbe una
revisione dei Trattati; c) la stipulazione con le autorità Europee di
“accordi di consolidamento fiscale” contenenti programmi di rientro e di
riforme strutturali; d) il deposito di collaterali per il 20% del valore del
debito trasferito al fondo, pur nella consapevolezza che la normativa
europea proibisce agli Stati membri di usare gli strumenti finanziari
generalmente utilizzati come collaterali; e) il trasferimento diretto come
pagamenti al Fondo dei proventi di specifiche voci fiscali; f) l’erogazione
di sanzioni automatiche in caso di mancata “compliance”, che vadano dal già
esistente deposito infruttifero, fino alla sospensione del trasferimento dei
Fondi europei, fino anche alla sospensione del diritto di voto nelle
istituzioni europee.

E’ chiaro che innovazioni di tal fatta pongono gravi problemi sul piano
giuridico-istituzionale. Gli esperti sottolineano infatti come “i vigenti
trattati UE non riconoscono all’UE competenze sufficienti per creare un
Fondo di Redenzione del Debito, dati gli obblighi giuridici di ampia portata
che esso comporterebbe per gli Stati membri”, e quindi bisognerebbe
procedere ad una revisione dei trattati, tanto più che molti di tali
obblighi “esulano manifestamente dalle competenze dell’UE”. Ciò potrebbe
creare complicazioni; ma, d’altro lato, si fa notare che se si procedesse a
creare il Fondo di Redenzione unicamente su base intergovernativa, “le
istituzioni politiche dell’Unione Europea non potrebbero esercitare alcun
potere decisionale”.



Può un sistema così rigido di espropriazione del diritto/dovere delle scelte
di politica economica dei singoli Stati essere accettato senza una attenta
riflessione? Può essere accettato come sostitutivo di una vera politica di
bilancio di una Unione Europea che tenda a configurarsi come Stato Federale?
In ogni caso si porrebbero seri problemi di legittimità e di responsabilità
democratiche, da inquadrare nel più complesso problema di revisione di un
intero sistema di governance dell’Unione profondamente fallato. È
accettabile che non si prenda posizione su questi problemi? È accettabile
che si vada alle elezioni europee ignorando tali questioni, da cui dipendono
anche le politiche economiche e quindi la crescita e l’occupazione, e
cercando invece voti principalmente con trovate pubblicitarie?