http://www.connessioniprecarie.org/2014/04/30/noi-siamo-la-zanussi-lotte-operaie-e-strategie-sindacali/
Noi siamo la Zanussi. Lotte operaie e strategie sindacali
di Devi Sacchetto
La situazione all’Electrolux diventa sempre più complicata. La
multinazionale svedese che occupa 6500 dipendenti diretti e garantisce il
lavoro indiretto ad altri 4000, non arretra di un centimetro dalle sue
posizioni volte a incrementare i livelli di profittabilità degli
stabilimenti italiani (Forlì, Porcia, Solarolo e Susegana). Fin da
novembre le condizioni poste dall’Electrolux erano chiare: occorre
tagliare il costo del lavoro di 3 euro per ora di lavoro, per allineare i
profitti che sgorgano dalle fabbriche italiane a quelle polacche. Quando è
scoppiata la vicenda Electrolux, l’ineffabile Debora Serracchiani,
governatrice del Friuli Venezia Giulia, aveva persino chiesto le
dimissioni di un ministro del suo partito accusandolo di scarso impegno.
Ora è evidentemente felice e soddisfatta del modo in cui il governo dei
ministri Poletti e Guidi sta programmaticamente distruggendo ogni
possibile intermediazione che ostacoli le richieste delle imprese. La
mediazione del Ministro Guidi, infatti, ha garantito all’azienda per i
prossimi tre anni la defiscalizzazione dei salari per 1,20 euro all’ora, i
rimanenti dovrebbero venire da una maggiore efficienza degli stabilimenti.
Vale a dire incremento dell’intensità del lavoro, taglio delle pause e dei
permessi sindacali, fruizione delle ferie sulla base delle esigenze
produttive. Una vita subordinata al profitto. Degli altri.
A Susegana il taglio dei tempi significa passare da un frigorifero ogni 45
secondi a uno ogni 39 secondi, sperando che nel frattempo da qualche parte
nel mondo una carta di credito venga usata per l’acquisto di una così
importante merce. La maggior produttività richiesta si scontra con una
forza lavoro non più giovane e con una quota di lavoratori a «ridotte
capacità» a causa della ripetitività del lavoro svolto nelle catene di
montaggio dell’Electrolux. L’incremento di quella che, con un eufemismo
tecnico, chiamano efficienza dovrebbe portare anche al licenziamento di
1200 persone; il sacrificio più consistente di ben 450 lavoratori sarebbe
nello stabilimento di Porcia, ma l’azienda, magnanima, potrebbe proporre a
una parte di questi di trasferirsi a Forlì per cogliere le opportunità di
ricominciare una nuova avventura 300 chilometri più a sud con 1200 euro al
mese. Non a caso l’azienda è disponibile a discutere sulle «modalità di
gestione delle eccedenze e su come migliorare l’impatto occupazionale»,
vale a dire su come scaricare i costi dell’usura dei corpi dei lavoratori
sullo Stato e sulla società. La strategia aziendale è piuttosto chiara:
mantenere elevati livelli di profitto finché si può, riducendo
progressivamente la forza lavoro, per poi fra qualche anno, quando il
numero di dipendenti sarà ridotto, chiudere gli stabilimenti.
«Questa è la madre di tutte le battaglie, una vicenda che farà scuola», ha
recentemente affermato Luca Zaia, governatore leghista del Veneto,
destandosi improvvisamente dal torpore con cui ha seguito la vicenda. La
battuta, buona per le prossime elezioni europee, nasconde qualcosa di
profondo che le vicende indipendentiste, schernite come pagliacciate
lontano dal Nord, hanno già evidenziato. Per chi vuole vedere. La
progressiva discesa negli inferi dei bassi salari e dei ricatti padronali
sta spostando ulteriormente l’asse politico. Peccato che le confederazioni
sindacali nazionali giunte a Mestre non l’abbiano compreso e si siano
dette disponibili alla discussione sui modi per coniugare le prestazioni
lavorative con i fabbisogni produttivi. D’altra parte una volta accettato
di discutere del costo del lavoro la strada è in discesa. Una discesa che
può essere senza fine perché l’azienda, dopo aver comparato il costo del
lavoro italiano con quello polacco, potrà presto far uscire dal cappello
qualche altro stabilimento in Ucraina o in Egitto con cui gli operai
italiani si dovranno misurare.
L’arroganza con cui l’azienda sta conducendo la trattativa per abbassare
il costo del lavoro ha fatto arrabbiare perfino i delegati sindacali della
Uilm che hanno sottolineato che quanto richiesto dall’azienda è un
«massacro delle persone». Non che in questa fase i rapporti tra i
lavoratori e le centrali sindacali siano privi di tensione. All’uscita dal
tavolo di trattativa del 28 aprile a Mestre, mentre le Rsu rigettavano le
proposte di un’ulteriore intensificazione dei ritmi, i funzionari
sindacali nazionali rimanevano possibilisti. D’altro canto la stessa
candidatura alle elezioni europee di una delle delegate storiche della
Fiom di Susegana, Paola Morandin, è diventato il pretesto per un becero
regolamento dei conti all’interno del sindacato. Il ricorso a qualche
norma, trovata nelle pieghe degli Statuti del sindacato, ha infatti
indotto i funzionari sindacali della Fiom nazionale a delegittimare la
presenza della delegata addirittura durante il tavolo di trattativa con
l’azienda, la quale, immaginiamo, si è fatta più di qualche risata. Una
strategia sindacale quanto meno incomprensibile in questa fase e che
indebolisce principalmente le Rsu dei quattro stabilimenti provate da sei
mesi di lotta. Che le regole siano uguali per tutti sarebbe bene prima di
tutto ricordarlo all’Electrolux più che ai propri iscritti, perché i
dettati aziendali continuano imperterriti a demolire la contrattazione
collettiva, mirando a produrre aree speciali di contenimento dei salari a
ritmi lavorativi robotizzati.
Intanto a Porcia (Pn) stamani i lavoratori, dopo l’assemblea per discutere
dell’incontro di ieri a Mestre, sono usciti dallo stabilimento e hanno
sfilato in corteo sulla strada statale Pontebbana al grido: «noi siamo la
Zanussi». In ricordo dei vecchi padroni, Zanussi, che nel 1984 hanno
lasciato il campo all’Electrolux. Forse uno scherzo della memoria perché
quelli di un tempo paiono sempre migliori di quelli attuali. Il primo
maggio tutti i lavoratori del gruppo saranno a Porcia per una
manifestazione davanti ai cancelli della fabbrica. Un primo maggio di
lotta, lontano, forse, dalle retoriche parate sindacali.