[autorgstudbo] Il regime del salario 1: Voucher, ovvero del…

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Autor: News AutOrg.anizzazione Stud.entesca BO
Data:  
A: Autorganizzazione Studentesca
CC: No Gelmini SciPol Bologna, Collettivo SPA
Assumpte: [autorgstudbo] Il regime del salario 1: Voucher, ovvero del lavoro accessorio ma non occasionale
http://www.connessioniprecarie.org/2014/04/18/il-regime-del-salario-1-voucher-ovvero-del-lavoro-accessorio-ma-non-occasionale/

Il regime del salario 1: Voucher, ovvero del lavoro accessorio ma non
occasionale

di LAVORO INSUBORDINATO

In una situazione in cui la precarietà è ormai la condizione generale di
tutto il lavoro, è urgente vedere quali sono le nuove forme in cui essa si
dà come regola e non più come eccezione. Il sistema dei voucher o «lavoro
occasionale accessorio», un fenomeno in grandissima crescita negli ultimi
anni, si caratterizza per un lavoro ormai compiutamente mobile e
intermittente. Il voucher è un’espressione tutt’altro che accessoria del
regime del salario che si sta imponendo su scala europea e globale. Il
voucher è un metodo di pagamento delle ore lavorate attraverso un
«assegno» di 10 euro lordi che può essere riscosso all’Inps e acquistato
in varie sedi, tra cui tabacchini e poste. In qualsiasi momento il padrone
abbia bisogno di lavoro, non importa se solo per una o due ore, lo può
acquistare comprando uno, due o più voucher. La pagina informativa INPS
dedicata al lavoro accessorio non lascia dubbi sui vantaggi per il datore
di lavoro che ne fa uso: «il committente può beneficiare di prestazioni
nella completa legalità, con copertura assicurativa INAIL per eventuali
incidenti sul lavoro, senza rischiare vertenze sulla natura della
prestazione e senza dover stipulare alcun tipo di contratto». Va da sé che
i committenti, una volta assaporati i vantaggi che l’utilizzo dei buoni
comporta, non ne possano più fare a meno! A che serve sottoscrivere
contratti dispendiosi quando si può usufruire di forza lavoro a basso
costo e intermittente? Perché rischiare di assumere dipendenti quando la
crisi ha insegnato che il domani è un incognita? In sintesi, il
«lavoratore-voucher» non deve sottoscrivere nessun contratto di lavoro
perché il voucher svolge anche questa funzione, di conseguenza non c’è il
problema di licenziarlo, perché di fatto non è mai stato assunto.

Inizialmente, i voucher sono stati introdotti come fenomeno marginale,
limitato a certi tipi di attività di natura occasionale, spesso con
committenza pubblica, riservata a particolari soggetti (ad esempio, i
pensionati e gli studenti) ed erano pensati per favorire l’emersione del
lavoro nero. Secondo uno schema ormai classico – si pensi al contratto di
apprendistato e ai contratti a termine previsti dal pacchetto Treu – da
questa iniziale marginalità, grazie a politiche che progressivamente hanno
eliminato limiti e restrizioni, i voucher sono stati estesi a ogni tipo di
attività, settore produttivo e soggetto. Rimangono i limiti di 5000 euro
annuali, sia per i committenti, sia per i lavoratori, ma nel DDL del 3
aprile scorso presentato al Senato è contenuta la proposta di eliminare
questa restrizione. La progressiva liberalizzazione del lavoro occasionale
accessorio ha portato a una sua espansione esponenziale, poiché, oltre
alla totale flessibilità, i costi per il padrone sono nettamente inferiori
anche solo rispetto ai contratti a chiamata. Se, secondo la rilevazione
INPS dell’aprile 2012, i voucher emessi sono poco più di 30 milioni, nel
2013 questo numero è salito fino a 92 milioni, di cui la metà venduti
nello stesso 2013, anche grazie alla telematizzazione del servizio.

Si dice che i voucher siano vantaggiosi anche per i lavoratori perché
consentirebbero di avere un salario esente da imposizione fiscale e con
copertura contributiva e assicurativa. Dei 10 euro di cui è composto il
voucher, infatti, 7,5 sono netti e 2,5 da dividere tra INAIL e Gestione
separata INPS più un 5% che viene trattenuto dal concessionario di turno
(Poste, Tabacchi, Banche, la stessa INPS) per il rimborso del servizio. La
contribuzione previdenziale versata all’INPS è utile, però, solo per la
pensione. In altre parole, viste le previsioni incerte circa le pensioni
dei lavoratori precari e viste le difficoltà di accumulare una cifra
decente attraverso una contribuzione così bassa, i benefici di questi
contributi per i lavoratori sono nei fatti inesistenti
(http://www.connessioniprecarie.org/2013/12/11/inps-previdenti-ma-non-per-noi/).
Non è così per le casse dell’INPS
(http://www.connessioniprecarie.org/2014/02/10/inps-2014-dal-vorace-poltronista-al-papa-della-precarieta-e-poi/),
che proprio grazie ai fondi della Gestione Separata copre altri buchi del
proprio bilancio. Il «lavoratore-voucher» non ha diritto a ferie,
malattie, maternità, tredicesima, quattordicesima e a indennità di
disoccupazione e inoltre i costi di servizio ricadono in qualche modo sul
lavoratore che si trova a dover pagare un 5% come compenso al
concessionario per la gestione del servizio. Non solo, se l’accredito dei
voucher viene effettuato tramite la postepay INPS-Card, l’attivazione
costa 5 euro.

La corrispondenza tra voucher e ore di lavoro vale esclusivamente come
parametro di accredito contributivo minimo e non viene in alcun modo
specificato la corrispondenza tra salario e ore effettivamente lavorate.
Dal momento in cui la possibilità di utilizzare il lavoro occasionale
accessorio è stata estesa a tutti i settori produttivi e a tutti i tipi di
mansione si è pensato di non poter stabilire per legge una corrispondenza
univoca tra tempo e denaro. Una volta che il committente comunica
telematicamente l’attivazione di una prestazione di lavoro accessoria
prima dell’erogazione di questa prestazione, il numero di voucher poi
dovuto viene deciso solo successivamente e non è in alcun modo tracciabile
o sottoponibile a controlli, non essendoci nessun obbligo contrattuale. È
evidente che questa incertezza si gioca tutta sul terreno del rapporto di
forza tra il singolo lavoratore e il padrone. Al di là del massimale di
reddito annuo, non esiste nessun contratto che determini un numero di ore
minime mensili, l’accordo tra padrone e «lavoratore-voucher» è verbale e
quindi l’abuso dei voucher non è nemmeno impugnabile in una causa di
lavoro, perché, di fatto, esso è previsto dalla legge.

La legislazione in materia, infatti, non solo assegna con poca indecisione
gli onori e gli oneri, ma lascia tutto lo spazio nella prassi per un
utilizzo indiscriminato dei voucher. L’utilizzo dei voucher non riguarda
solo alcune prestazioni, ma stabilisce un regime del salario e
dell’occupabilità
(http://www.connessioniprecarie.org/2013/10/15/la-crisi-come-problema-politico/)
che va bene oltre la specifica retribuzione che esso garantisce. Ciò che
succede abitualmente è che una parte della retribuzione avvenga in nero,
al di fuori del voucher. In altri casi il lavoratore cosiddetto «extra»,
che dovrebbe essere chiamato saltuariamente, viene chiamato con regolarità
e pagato con voucher alternati a ritenute d’acconto fino al tetto massimo,
il tutto combinato a una parte di salario in nero. In questo modo, com’è
evidente, si è lavoratori occasionali o accessori solo nominalmente. In
pratica, si lavora quasi quotidianamente senza orari e senza garanzie.
Inoltre, il pagamento con i voucher si sta sempre più affermando per
pagare le ore di straordinario e, anche in questo caso, si combina
chiaramente con forme di lavoro non occasionale. Il fatto che per legge
esso sia cumulabile con qualsiasi altra forma di reddito facilita le
possibilità di combinazione. Un’azienda può sfruttare un bacino di
lavoratori occasionali usa e getta per determinate mansioni che in passato
venivano per lo più svolte dalle ore straordinarie degli assunti: si
lavora meno, ma si lavora tutti, attraverso la rotazione di un numero
vastissimo di lavoratori-voucher. In questo modo vengono stabilite
gerarchie informali e violente tra chi ha più voglia di lavorare e chi
talvolta osa dire no. I «lavoratori voucher» non timbrano alcun
cartellino, le ore da loro lavorate non vengono registrate, consegnando i
lavoratori al potere decisionale del committente. Il carattere aleatorio
degli accordi verbali mette anche a rischio la retribuzione: spesso non si
viene pagati subito ma dopo uno o due mesi come se si trattasse di un
salario mensile, ma con la variante che l’accordo verbale non dà nessuna
garanzia per quanto riguarda il pagamento.

Il lavoro domestico e quello di cura sono i casi in cui più spesso vengono
utilizzati i voucher, ma accompagnati da una diffusa condizione di
irregolarità a causa dell’indisponibilità del datore di lavoro a
regolarizzare le posizioni. Queste tipologie di lavoro trovano nei voucher
un concreto supporto dal momento che acquistando un voucher al giorno si
può coprire a livello assicurativo e contributivo un’intera giornata di
lavoro. Molte lavoratrici domestiche migranti hanno così anche il problema
che le retribuzioni dei voucher, pur essendo cumulabili con altri redditi
per raggiungere il reddito necessario previsto dalla legge Bossi-Fini per
il rinnovo del permesso di soggiorno, non sono di per sé sufficienti a
ottenerlo.

I voucher sono dunque un elemento fondamentale nel regime del salario che
si sta affermando. Sarebbe assolutamente sbagliato interpretarli come il
prezzo che alcune fasce di lavoratori devono pagare, perché servono a
ridefinire una modalità complessiva di sfruttamento. Da un certo punto di
vista essi sono la forma cartacea del turco meccanico di Amazon
(http://www.connessioniprecarie.org/2014/02/28/come-gli-operai-folla-sono-diventati-i-fantasmi-della-macchina-digitale/)
e delle altre agenzie di crowdsourcing, raggiungendo lo stesso scopo di
sfruttare capillarmente e senza diritti la disponibilità al lavoro. Il
«lavoratore-voucher» condivide la medesima condizione politica
dell’«operaio folla». Si tratta di una condizione fatta di
individualizzazione, espropriazione e sfruttamento capillare e intensivo.
Si tratta di un regime del salario che vuole fare del lavoro una coazione
completamente dipendente dai tempi, dai metodi, dalle necessità del
capitale in tutte le sue espressioni sociali. I voucher hanno perciò molto
in comune con i mini-jobs che stanno dilagando in Germania negli ultimi
anni. Entrambi erano prima ristretti a tipologie specifiche di lavoro e a
soggetti particolari e sono stati poi interamente liberalizzati. Entrambi
sono cumulabili con altre forme di sostegno al reddito. Ciò dovrebbe fare
riflettere sulla combinazione perversa che si stabilisce inevitabilmente
tra l’erogazione di un reddito, persino se incondizionato, e la necessità
altrettanto incondizionata di forme di lavoro intermittente. L’effetto,
infatti, rischia di essere l’istituzionalizzazione compiuta del lavoro
nella sua forma più precaria. Tanto i voucher quanto i mini-jobs
confermano un trend complessivo secondo cui il rapporto di lavoro viene
ridotto al nudo salario, denaro contro tempo senza alcun diritto che sia
possibile contrattare. Il rapporto di lavoro viene completamente
individualizzato, impedendo che la forza lavoro si presenti in massa a far
valere la sua forza.

Arrivati a questo punto è forse il caso di ragionare su alcune forme di
autotutela che lavoratori e lavoratrici possono mettere in atto per non
essere ridotti a dei voucher.

- Anzitutto, lavoratori e lavoratrici devono trovare modi per dialogare
senza lasciarsi scoraggiare dal fatto che è molto difficile incontrarsi
sul luogo di lavoro. Anche se non si ha un contratto non è preclusa
l’opzione di avanzare delle richieste in modo collettivo verso il datore
di lavoro.

- È bene tenere un’agenda dove riportare tutte le ore effettuate con data
e ora di inizio e fine turno e soldi presi.

- Usare produttivamente i selfie è possibile. Fotografatevi mentre siete
di turno, perché così potrete dimostrare l’effettiva presenza sul posto di
lavoro.

- Non fidatevi del padrone, anche se ha problemi tanto simili ai vostri…
Monitorate la vostra situazione previdenziale per controllare se i
contributi sono stati effettivamente versati.

Questi suggerimenti saranno utili soprattutto nel caso in cui riusciate a
iniziare una vertenza collettiva per la quale è prioritaria la costruzione
di un rapporto tra colleghi per contrastare l’individualizzazione imposta
sul luogo di lavoro. La prima regola è quella di non farsi ridurre a dei
voucher.