[autorgstudbo] La sostanza della pena: osservazioni non uman…

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Autore: News AutOrg.anizzazione Stud.entesca BO
Data:  
To: Autorganizzazione Studentesca
CC: No Gelmini SciPol Bologna, Assemblea Antifascista Permanente, Collettivo SPA, Circolo Anarchico Camillo Berneri
Oggetto: [autorgstudbo] La sostanza della pena: osservazioni non umanitarie sulla cosiddetta abolizione del reato di clandestinità
http://coordinamentomigranti.org/2014/04/04/la-sostanza-della-pena-osservazioni-non-umanitarie-sulla-cosiddetta-abolizione-del-reato-di-clandestinita/

La sostanza della pena: osservazioni non umanitarie sulla cosiddetta
abolizione del reato di clandestinità

Dopo tanti annunci, ecco che il reato di clandestinità è stato
(finalmente) abolito. In realtà, il Parlamento ha dato mandato al governo
di abolirlo. Si tratta apparentemente di una buona notizia per decine di
migliaia di migranti, considerati dei criminali solo perché i documenti
non sono in regola, a causa di leggi italiane ed Europee che rendono
impossibile muoversi liberamente e mantenere stabilmente un permesso di
soggiorno. Eppure, dietro la ‘buona’ notizia, come spesso accade quando si
tratta di migranti, si nasconde una trappola politica: il reato, infatti,
non è abolito, ma è di fatto “spostato” a dopo l’aver ricevuto un decreto
di espulsione. La nuova legge prevede l’arresto per chi rientra in Italia
dopo aver ricevuto un “provvedimento di espulsione”. La vera domanda è
dunque: adesso che finalmente è stato abolito il reato, inizieranno a
finire in carcere i migranti che lottano contro l’espulsione, cosa che
prima raramente accadeva?

Grazie all’abolizione si libererà un po’ di lavoro per magistrati e
tribunali. Ma cosa cambia davvero? Di fatto, chi entra in condizione
d’irregolarità e non può richiedere l’asilo politico, riceverà prima o poi
un decreto di espulsione. E se non adempie, o se “ritorna”, sarà passibile
di arresto. E allora? Sappiamo che un provvedimento di espulsione non
significa automaticamente l’allontanamento reale dal territorio, ma si
tratta di un provvedimento la cui applicazione può variare a seconda dei
casi. Sappiamo anche che chi migra per cambiare la propria vita non si fa
dettare le regole da governi in cerca di legittimità. Spesso chi riceve un
decreto di espulsione rimane sul territorio, dove magari vive da anni, ha
pagato le tasse e i contributi e ha una famiglia e gli amici. L’abolizione
del reato, ma il mantenimento dell’arresto per l’espulsione, significa
dunque che saranno tanti i migranti denunciati (e questa volta a rischiare
davvero l’arresto) per il solo motivo di non avere i documenti in regola,
magari perché hanno perso il lavoro, o perché il loro datore di lavoro li
ha truffati per anni senza pagare i contributi. L’espulsione fa
semplicemente parte della legge Bossi-Fini, contro la quale i migranti si
scontrano ogni giorno.

È allora necessario chiarire ancora una volta che le leggi
sull’immigrazione, sul piano materiale, non regolano gli “ingressi” sul
territorio nazionale ed Europeo, ma regolano lo status giuridico e la
condizione sociale di uomini e donne che vivono qui, ma provengono da
altri paesi. Le leggi sull’immigrazione producono effetti reali,
catastrofi politiche e sfruttamento, si basano però sulle finzioni: basti
pensare alla logica dei flussi, secondo la quale ogni anno si deve
stabilire di quanti ingressi regolari c’è bisogno. Tutti sanno che, in
assenza di altri modi per ottenere i documenti, in gran parte si tratta di
una sanatoria mascherata, e che i decreti flussi (e le stesse sanatorie)
servono soprattutto ai datori di lavoro per non rischiare. A cosa serve
allora l’abolizione del reato di clandestinità? Serve soprattutto a
risolvere un grosso problema per i tribunali e le forze di polizia
italiane, costrette dopo la sua introduzione a non poterlo applicare, ma a
dover gestire migliaia di denunce e procedimenti che ne intasano gli
uffici. Come ha ben spiegato l’umanitarianissima presidente della Camera
Boldrini, se “si volta pagina” è soprattutto per questo.

C’è di più. Il reato di clandestinità è stato introdotto con il cosiddetto
pacchetto sicurezza. Cancellarlo, dunque, lascia assolutamente intatta la
legge Bossi-Fini e il suo fondamento: il legame tra il permesso di
soggiorno e il contratto di lavoro. Rimangono anche i CIE e rimangono le
espulsioni, la cui forza viene anzi rafforzata: fatto salvo l’elemento
umanitario, infatti, abolire il reato di clandestinità in questo modo
aiuta a separare i migranti buoni da quelli cattivi. Quelli ‘buoni’
lavorano e quando glielo si dice se ne vanno in silenzio, oppure arrivano
con i barconi scappando dalle guerre, sono indifesi e sarebbe meglio non
denunciarli. Quelli ‘cattivi’, invece, decidono dove cercare di migliorare
la loro vita e pretendono di continuare a farlo anche contro una legge
fatta apposta per sfruttarli, magari alzano la voce, manifestano e
scioperano: quelli vanno espulsi e, se ci riprovano, vanno arrestati. La
Bossi-Fini esce politicamente rafforzata dalla cancellazione del reato e
si capisce bene che chi oggi festeggia o lo fa in malafede, difendendo
l’apartheid democratico
(http://www.connessioniprecarie.org/2013/03/28/silenzi-apartheid-democratico-e-futuro-delle-lotte/),
oppure non ha capito come funziona la cosiddetta regolazione
dell’immigrazione.

Il PD di governo, anziché rincorrere le bandiere leghiste, dovrebbe
piuttosto pensare alle sue, come l’esistenza dei CIE (i CPT introdotti
dalla Turco Napolitano) e la logica dei flussi. A scanso di equivoci:
nemmeno chi ha votato contro l’abolizione del reato lo ha fatto perché è
dalla parte dei migranti, ma solo per aggiungere anche le sue stelle nel
firmamento del razzismo
(http://www.connessioniprecarie.org/2013/05/10/geografie-del-razzismo-grillo-e-il-suolo-a-cinque-stelle/).
Sono tutti d’accordo, infatti, sul modello d’integrazione da perseguire
(http://coordinamentomigranti.org/2014/03/28/reato-di-soggiorno-per-punti/),
che ha dei risvolti penosi anche nella sbandierata soluzione “svuota
carceri” di far scontare ai migranti la pena nel paese d’origine. Un
recente accordo con il Marocco prevede infatti il trasferimento dei
detenuti marocchini dalle carceri italiane a quelle del Marocco, in nome
del “reintegro” in quella che viene definita la società di “appartenzenza”
di questi migranti. Si decide dunque per legge a quale società devono
appartenere uomini e donne che, al contrario, mostrano con il loro
movimento di voler scegliere liberamente il loro futuro.

Noi siamo ben contenti se si abolisce il reato di clandestinità, del resto
già fortemente depotenziato da diversi provvedimenti di tribunali italiani
ed Europei. Abbiamo però imparato a conoscere
(http://coordinamentomigranti.org/2013/03/25/e-il-momento-della-lotta-che-libera-e-il-momento-di-cancellare-la-legge-bossi-fini-bastabossifini/)
come funzionano il razzismo istituzionale, le gerarchie e lo sfruttamento
che produce, e a non fidarci di chi continua a proporre miglioramenti di
facciata per mantenere la sostanza del legame tra permesso di soggiorno e
rapporto di lavoro. Per questo non fermeremo la nostra lotta
(https://www.youtube.com/watch?v=ZfM1lGlnWYQ).

Coordinamento Migranti