[Forumlucca] Di due porcate una ha fatto scandaloe una no : …

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Autore: Aldo Zanchetta
Data:  
To: forumlucca
Oggetto: [Forumlucca] Di due porcate una ha fatto scandaloe una no : l'affare Bankitalia per chi è interessato a capire un affare degli italiani
I 5 Stelle sono da distruggere, per non disturbare l’attuale spartizione dei
poteri fra maggioranza e opposizione classica. E loro qualche spunto lo
offrono, è vero.

Dell’affare Bankitalia l’italiano medio sa che è stato l’occasione di una
bagarre grillina certo disdicevole, anche se non più di altre di cui è piena
la storia del nostro parlamento.

Qualche raro commentatore ammise che un affare di tale portata avrebbe
meritato un dibattito che, non concesso, fece appunto scattare l’ira dei
grillini. Ora a bocce quasi ferme sono molti a dirlo, tacendo dell’impegno
mostrato dai grillini sul fatto.

Ma fra le due, la porcata più grossa, mi pare, è stato il voto ossequioso
dei vari partiti che hanno avallato il pasticcio (si fa per dire, per
restare nell’educato) cucinato dal governo, eccezion fatta, oltre ai
grillini, di Fratelli d’Italia, che però si era limitato a chiedere che il
governo dichiarasse che l’oro custodito da Bankitalia non è di Bankitalia
(che per legge non lo possiede, infatti, ma lo ha in custodia) bensì del
popolo italiano. Il quale popolo farebbe bene a chiedere quanto è in realtà
questo oro –tutto quello dichiarato oppure un “po’ di meno”- e dove è
custodito. Come forse avete letto ho scritto un po’ di cose sull’argomento,
e il tema è una miniera inesauribile di dubbi, come nuovi autorevoli
analisti scrivono in questi giorni, e non solo sull’oro italiano.

Forse è sfuggito il nuovo maxi scandalo bancario sulla manipolazione del
prezzo dell’oro a livello mondiale, scoppiato tre o quattro giorni fa. Avete
visto la notizia a caratteri cubitali sulla troika della stampa italiana
(Corsera, Repubblica e Stampa) (ovvero i giornali del “salotto buono del
capitalismo italiano, di De Benedetti e della famiglia Agnelli)? Io no.
Infatti non c’era.

Che la Bankitaliata di Letta/Saccomanni, Renzi tacente, non sia andata giù a
me o ai grillini è poca cosa. Il fatto è che sembra sia rimasta di traverso
anche all’Unione Europea, per cui il problema potrebbe riservare qualche
sorpresa, come suppone la lettera sottostante.

Ma a noi italiani le nostre cose sembrano interessare meno delle disdicevoli
modalità con cui i grillini hanno ritenuto di affrontare, unici in
parlamento, il problema.

Come non pagare pegno a Bruxelles

Quote di Banca d'Italia - La lettera di Massimo Mucchetti, Presidente della
Commissione Industria di Palazzo Madama, al direttore del Corriere della
Sera

Caro direttore, al pari di ogni nuovo ministro dell'Industria anche Pier
Carlo Padoan eredita dal predecessore qualche onore e parecchi oneri. Tra
questi ultimi spicca la risposta da dare alla Commissione Ue sui presunti
aiuti di Stato che la Banca d'Italia elargirebbe alle banche detentrici del
suo capitale.


Si tratta di un onere improprio non avendo Padoan partecipato alla
privatizzazione volontaria della banca centrale secondo lo schema disegnato
dalla banca centrale medesima e fatto proprio dal suo predecessore, già
direttore generale a palazzo Koch. Un onere improprio e pure imbarazzante
perché sulla carta l'Europa potrebbe aver ragione. E se poi i fatti gliela
confermassero, rischieremmo di avere le banche, a cominciare da Intesa
Sanpaolo e Unicredit, che scrivono plusvalenze inesistenti sulle loro quote
della Banca d'Italia. Plusvalenze inesistenti che renderebbero falsi i
bilanci.


I1 nodo gordiano di fronte al quale si trova il governo è presto detto. Le
banche quotiste devono vendere a investitori italiani tutte le quote
eccedenti il 3%. Balla obbligatoriamente più o meno il 70% del capitale
appena rivalutato a 7,5 miliardi attingendo alle riserve. Ma potrebbe
ballare anche tutto il capitale ove i quotisti minori non avessero voglia di
tenersi le quote. Questo valore contabile di 7,5 miliardi diventerà reale, e
non passibile dei sospetti di Bruxelles, se i venditori troveranno
compratori di mercato. E qui si apre il problema. Quanto rendono le quote?
Lo statuto fissa un tetto del 6% del capitale, dunque non più di 450 milioni
l'anno. Ma quel tetto non sarà mai raggiunto in tempi prevedibili a
inflazione costante, e se lo fosse a inflazione galoppante sarebbe una
camicia di Nesso. Il rendimento reale sul bilancio 2013 sarà di 70-100
milioni per l'intero capitale rivalutato. Non più dell'1,5%. Poiché le quote
danno zero potere, e così deve essere, l'acquirente potenziale avrà solo il
rendimento come obiettivo.


Che dire se non che c'è di meglio nel mondo e perfino in Italia? La stessa
Banca d'Italia ne è talmente consapevole da offrirsi come compratore delle
proprie quote invendibili che poi terrebbe sui propri libri fino a quando
non riuscisse a ricollocarle presso la stessa cerchia di potenziali
compratori. La legge, al riguardo, non fissa scadenze né particolari vincoli
di prezzo. Non esiste alcun titolo nei mercati regolamentati negoziabile in
tal modo. Sospettare che quello delle quote del capitale di Banca d'Italia
sia un mercato sui generis non è dunque una manifestazione di arroganza
tedesca, ma una preoccupazione razionale e chi scrive, spesso accusato dai
liberisti di patriottismo economico, l'ha manifestata privatamente al
ministero e pubblicamente in Commissione finanze e poi nell'Aula del Senato.


Insomma, ove non fosse confermata da frequenti negoziazioni tra quotisti, la
rivalutazione delle quote e i relativi incassi da parte delle banche
venditrici potrebbero essere serenamente bollati come aiuti di Stato erogati
dalla Banca d'Italia alle proprie vigilate. Il Parlamento avrebbe potuto
correggere questa distorsione fissando dei termini temporali per
l'intervento della Banca d'Italia nella sua inedita qualità di garante del
collocamento delle quote. Alla scadenza di questi termini la Banca d'Italia
avrebbe dovuto retrocedere alle banche le quote che non avesse potuto
ricollocare, ovviamente senza perderci, e le banche avrebbero a quel punto
dovuto restituire le somme incassate più gli interessi di legge. Purtroppo,
la cecità estremista delle opposizioni e la disciplina di voto della
maggioranza hanno salvato lo schema governativo ispirato dalla Banca
d'Italia.


Non so immaginare se ora Padoan possa utilizzare la richiesta di chiarimenti
dell'Europa per correggere la norma. Ammesso che lo voglia, non so se
avrebbe il sostegno del premier: da segretario del Pd, Matteo Renzi nulla
ebbe da eccepire in materia, pur eccependo su quasi tutto. Misteri
dell'agenda politica rispetto all'azione di governo sui poteri reali. Perché
due cose sono chiare: la Banca d'Italia era pronta a far uscire dai suoi
conti 7,5 miliardi senza sentirsi male, e il governo Letta e il Pd renziano
non hanno avuto l'ardire di verificare come quel flusso potesse essere
almeno doppio e messo al servizio del Paese. Invece di dimostrare un respiro
rooseveltiano, gli uomini nuovi hanno avallato, assieme ai soliti noti, un
aumento di capitale surrettizio a spese della mano pubblica (tale è la Banca
d'Italia) che soccorre le banche private senza vincolare a nulla né le
banche medesime né i loro azionisti, fondazioni in primis, che se le
ritrovano ricapitalizzate senza aver messo mano al portafoglio.


Non ci resta che sperare, ora, che Ignazio Visco tagli il nodo gordiano a
colpi di moral suasion. Che riesca cioè a far trangugiare rapidamente le
quote alle fondazioni, facendosi così restituire la
ricapitalizzazione-regalo, e ad altri soggetti, a partire dalle
assicurazioni e dai fondi pensioni, direttamente e indirettamente vigilati o
influenzati da palazzo Koch. A quel punto l'Italia avrà perso un'occasione,
ma almeno non dovrà pagar pegno a Bruxelles.