[Forumlucca] La grande truffa - un articolo di Giulio Sapell…

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Author: Aldo Zanchetta
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To: forumlucca
Subject: [Forumlucca] La grande truffa - un articolo di Giulio Sapelli da meditare
Per chi non lo sapesse Giulio Sapelli è professore di economia alla Statale
di Milano e un profondo conoscitore dell’economia internazionale.



Il suo “L’inverno di Monti” fu scritto pochi mesi fa quando Monti, per la
classe benpensante italiana, è stata occasione dell’ennesima infatuazione,
breve questa volta per la totale insipienza dell’uomo, che ha seguito quella
berlusconiana e anticipato quella renziano/lettiana (eh si, perché ci sono
molti infatuati di entrambi, per ora, ma presto, prestissimo dovranno
scegliere. Nel libro Sapelli fa il nome e cognome di chi ha svenduto
l’Italia, gli stessi nomi che fa Amoroso nei suoi libri. Non sono i soli, ma
fra i pochi. Altri economisti “critici” che smanettano sul web si astengono
però dal fare nomi, e non è difficile immaginare il perché. Non certo per
eccesso di formale educazione.



La grande truffa: presto saremo chiamati a votare per un parlamento europeo
che come noto non ha alcun potere deliberante ma solo di opinione, al quale
né la Commissione Europea a Bruxelles né la Banca Centrale Europea, organi
non eletti dal popolo, danno la minima considerazione. Voteremo cioè per
delle maschere che ci daranno l’impressione di un processo democratico. Bene
cominciare a farci un pensiero.



Mi sono dilungato. Ecco il testo di Sapelli. (A.Z.)



Così l'Europa sta diventando una "dittatura"

di Giulio Sapelli - 16/01/2014
Fonte:
<http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2014/1/16/FINANZA-Sape
lli-cosi-l-Europa-sta-div> ilsussidiario


Se si guarda il mondo a partire dall’Asia, e non dall’Europa, molte
questioni rilevanti della nuova configurazione del capitalismo mondiale
emergono in piena luce. È ben chiara, innanzitutto, la scomposizione della
globalizzazione finanziaria in aree ben distinte meno interdipendenti di
quanto lo fossero prima del 2007, anno non dell’inizio ma della rivelazione
della crisi. La globalizzazione finanziaria a livello mondiale si è
arrestata, sino quasi a fermarsi. L’accumulazione del capitale ha per certi
versi ripreso caratteristiche simili a quelle della fase della grande
industrializzazione. I mercati emergenti, tanto l’Asia quanto il Sud
America, hanno ripreso ad attrarre larga parte (dopo gli Usa) degli
investimenti finanziari mondiali, a fronte della debolezza degli
investimenti in Europa.

Da questo punto di vista, nel contesto del generale arretramento, i mercati
emergenti acquistano sempre più importanza a fronte di una spiccata
decadenza dell’Eurozona. In questo quadro, il ruolo degli Stati Uniti è
ancora più forte di un tempo, ossia diventa il punto fondamentale di
riferimento per gli investimenti rifugio. Le banche mondiali, invece, e
quindi gli investitori mondiali, guardano all’Eurozona ancora con enorme
diffidenza, soprattutto nei confronti delle tre maggiori economie (Germania,
Francia, Italia), che appaiono sempre più incapaci di coordinare le loro
politiche economiche. Questo nel mentre si assiste alla drammatica fuga dei
capitali dal Portogallo, dall’Irlanda, dalla Grecia.

Ciò che dall’Asia non si capisce, se si parla con gli operatori
dell’oligopolio finanziario e i rappresentanti delle diversissime industrie
nazionali (l’Asia non esiste, esistono tante Asie), è come sia stato
possibile creare nell’Eurozona un insieme così stringente di regolazione dei
mercati in un contesto dell’economia reale che si va sempre via via più
divaricando. Ciò che spaventa soprattutto è la prossima unione bancaria,
dove alla Banca centrale europea e a organismi tecnocratici promananti dalla
Commissione verranno affidati compiti di sorveglianza, di accountability, di
intervento per salvare o per ristrutturare le più di cento imprese bancarie
sottoposte a controllo, senza che a tutto ciò corrisponda una qualsivoglia
sorta di legittimità popolare, vista la castrazione implementativa a cui
soggiace un Parlamento europeo privo di qualsivoglia potere.



Eh, sì! Perché qui sta l’arcano. Oggi alcune nazioni strategiche dell’Asia,
in primis la Tailandia, ma anche Myanmar, l’Indonesia, la Cambogia, l’India,
la Cina, sono scosse da profonde mobilitazioni collettive. Le cause sono
molteplici. Gli operai protestano per i bassi salari e gli inumani orari di
lavoro. In India i nazionalisti induisti devastano le sedi del Partito del
Congresso e minacciano i suoi attivisti. Le nuove classi medie tailandesi
non si riconoscono più nella monarchia e nell’esercito e si scontrano con i
rappresentanti di un establishment che, pur di fermarne l’avanzata, non
esitano a bloccare una città immensa come Bangkok con la sostanziale
complicità dell’esercito e della monarchia. I monaci buddisti theravada, in
Myanmar e in Indonesia, sono alla testa di movimenti collettivi che non
avremmo mai immaginato potessero svilupparsi con tale forza.

Insomma, l’Asia sta scoprendo il legame tra politica ed economia e se non
v’è dubbio che la necessità di stimolare gli scambi tra le nazioni,
abbassare i dazi doganali, viene percepita da tutti come una necessità
impellente, nessuna delle élite nazionali, di qualsivoglia fatta siano,
permetterebbe mai quelle sottrazioni di sovranità che sono tipiche
dell’Eurozona. Questo genera una sorta di delegittimazione dell’Europa
medesima e della sua tradizione culturale tra le intelligenze e le business
community locali.
Francamente non si può dar loro torto. Quello che è certo è che la decadenza
europea dall’Asia spunta vivissima come la vera novità di questo secolo
appena cominciato. Il dramma, pensavo mentre tornavo da Bangkok, dove mio
nipote significativamente aveva trovato lavoro, è che questa decadenza altro
non è che una sorta di autodafé.