[nuovopci] Avviso ai naviganti 34 - A tutti quelli che ... v…

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Autore: \(nuovo\) Partito comunista italiano
Data:  
To: npci.inter
Oggetto: [nuovopci] Avviso ai naviganti 34 - A tutti quelli che ... vogliono instaurare il socialismo nel nostro paese


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_AVVISO AI NAVIGANTI__ 34_

3 dicembre 2013

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A tutti quelli che si dichiarano comunisti e vogliono instaurare il
socialismo nel
nostro paese e contribuire così alla seconda ondata delle rivoluzione
proletaria!

 

In questi giorni individui e gruppi animati dalla sincera volontà di
essere comunisti sono in gran fermento, pullulano riunioni, convegni,
iniziative, dibattiti e congressi per costituire organismi comunisti e
per "unire i comunisti". Nel giro di poche settimane vi sarà il
congresso del PRC (6-8 dicembre 2013), l'assemblea costitutiva di Ross@
(14-15 dicembre 2013), il congresso del PCL (3-6 gennaio 2014), il
congresso di CSP-PC (17-19 gennaio 2014).

A tutti quelli che si dichiarano comunisti dovrebbe essere chiaro che
dalla crisi attuale usciremo solo instaurando il socialismo: cioè
imponendo un sistema di potere che ha come suoi organi locali le
organizzazioni operaie e popolari (OO e OP) e sostituendo all'azienda
capitalista che produce merci per fare profitti l'agenzia pubblica che
produce beni e servizi per soddisfare i bisogni individuali e collettivi
della popolazione, all'anarchia di interessi la pianificazione della
produzione e delle attività, alla concorrenza tra paesi la
collaborazione internazionale con tutti i paesi disposti a collaborare
con noi.

Arriveremo a questo risultato attraverso la costituzione del Governo di
Blocco Popolare [7] o dovremo passare attraverso un vortice di miseria,
devastazioni e guerre mondiali? Questa è la direzione verso cui ci
spingono i vertici della Repubblica Pontificia (RP) e la Comunità
Internazionale (CI) dei gruppi imperialisti europei, americani e
sionisti al di là della volontà e consapevolezza dei loro caporioni.
Detto in altri termini: arriveremo prima noi comunisti ad avviare un
nuovo corso delle cose o nel prossimo futuro prevarranno dapprima i
promotori della prove di fascismo? Questa la posta in gioco.

Quello che nel prossimo futuro farà la differenza è il consolidamento e
il rafforzamento di un partito comunista qualitativamente all'altezza
dei suoi compiti. Non "sponda politica" delle masse popolari nelle
istituzioni della RP né principalmente animatore di lotte rivendicative
(in prima istanza non importa se più o meno combattive), ma Stato
Maggiore che dirige la lotta di classe come una guerra popolare
rivoluzionaria contro la RP e la CI. Solo un simile partito comunista è
in grado di ribaltare la situazione attuale in cui sono ancora i
Marchionne & C. ad avere l'iniziativa in mano, a condurre con la scienza
di cui sono capaci la lotta di classe per prolungare l'esistenza del
loro sistema sociale, mentre le masse popolari e gli operai ancora
subiscono la loro iniziativa. Solo il consolidamento e il rafforzamento
di un simile partito comunista consentirà alla classe operaia e alle
masse popolari organizzate di condurre la lotta di classe con
l'iniziativa in mano.

Per questo non basta un partito comunista con la falce e martello né la
semplice unità di quelli che si dichiarano comunisti. Occorre un partito
comunista con caratteristiche ben precise che non si inventano, ma si
ricavano dall'esame delle condizioni, delle forme e dei risultati della
lotta di classe in corso e dall'esperienza della prima ondata della
rivoluzione proletaria mondiale iniziata con la Rivoluzione d'Ottobre e,
all'interno di essa, del movimento comunista italiano, in particolare
del vecchio PCI prima e dopo la Resistenza. Occorre un partito che ha
compreso e superato i limiti che hanno impedito al movimento comunista
di instaurare il socialismo nei paesi imperialisti nel corso della prima
ondata della rivoluzione proletaria mondiale, nonostante i miracoli di
eroismo dispiegati dalle larghe masse delle classi sfruttate dei popoli
oppressi.

Nell'articolo _Quale partito comunista? _è esposta la lezione che i
fondatori del nuovo Partito comunista italiano hanno tratto dalla lotta
in corso e dall'esperienza del secolo scorso. Lo abbiamo ripubblicato
sul numero 45 di _La Voce_ del (n)PCI uscito a metà di novembre e ne
proponiamo lo studio a tutti i comunisti decisi a trovare la strada per
uscire dal marasma attuale.

L'articolo è stato pubblicato la prima volta quasi 15 anni fa su _La
Voce_ n° 1 del marzo 1999. Proprio perché pubblicato ben prima che nel
2007-2008 entrassimo nella fase acuta e terminale della crisi generale
del capitalismo, questo articolo conferma che la concezione comunista
del mondo (la scienza sperimentale della trasformazione della società
capitalista nel comunismo, il marxismo-leninismo-maoismo) permette di
capire il corso delle cose. Auguriamo che questa dimostrazione inciti
tutti quelli che si professano comunisti a studiare la concezione
comunista del mondo con energia e ad assimilarla per usarla come guida
della loro attività e che li porti ad arruolarsi nella GPR che sia pure
con forze ancora molto limitate stiamo conducendo contro la Repubblica
Pontificia e la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei,
americani e sionisti.

_ABBIAMO CORREDATO IL VECCHIO ARTICOLO DEGLI INDIRIZZI INTERNET DOVE
LEGGERE O PRENDERE I TESTI CITATI._

LA VOCE 45 DEL (NUOVO)PARTITO COMUNISTA ITALIANO

Scaricate il testo della rivista in formato OpenOffice [8], PDF [9] o
Word [10]
_LA SETTIMA DISCRIMINANTE_

QUALE PARTITO COMUNISTA?

UN PARTITO CHE SIA ALL’ALTEZZA DEL COMPITO CHE IL PROCEDERE DELLA
SECONDA CRISI GENERALE DEL CAPITALISMO E LA CONSEGUENTE SITUAZIONE
RIVOLUZIONARIA IN SVILUPPO PONGONO AD ESSO E CHE TENGA PIENAMENTE CONTO
DELL’ESPERIENZA DELLA PRIMA ONDATA DELLA RIVOLUZIONE PROLETARIA

_ Una introduzione necessaria_

Tra le Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista (FSRS) operanti in
Italia questa formula è stata posta al centro del dibattito sul partito
già nel 1995, con l'opuscolo pubblicato dai CARC in occasione del
centenario della morte di F. Engels.(1) Nel dibattito tra le FSRS
nessuno ha contestato apertamente e direttamente questa formulazione. In
realtà vi è però una divergenza che pesa nel lavoro che le FSRS
conducono per la ricostruzione del partito comunista e nelle linee che
lo guidano. La divergenza è stata ben espressa nel recente (15 novembre
1998) Coordinamento Nazionale
(http://www.laltralombardia.it/public/docs/confed5.html [11]) della CCA
(Confederazione dei Comunisti/e Autorganizzati) da G. Riboldi che ha
affermato: "Noi oggi non siamo in una situazione né rivoluzionaria, né
prerivoluzionaria". Questa sua affermazione è strettamente connessa al
suo ripetuto richiamo, sempre nello stesso contesto (la relazione che ha
presentato al Coordinamento), alla "_stabilità_ di questo potere
politico", al "programma della _stabilità _capitalistica" che sarebbe
impersonato dal governo D'Alema, al "processo di normalizzazione [che]
rischia di affermarsi _stabilmente_ in assenza di opposizione sociale
che ne ostacoli la realizzazione", alla "concertazione neocorporativa
[che] rischia di funzionare regolarmente e di _stabilizzarsi_ in assenza
di soggetti politici e sindacali che rifiutano e combattono
l'accettazione dei parametri economici, politici e istituzionali imposti
dagli accordi di Maastricht": in sintesi, alla stabilità che secondo GR
hanno gli attuali regimi borghesi e l'assetto delle loro relazioni
internazionali, stabilità che solo la lotta (delle classi o dei soggetti
politici e sindacali: qui la differenza non ha importanza) potrebbe
scuotere.

1. PCARC , _F. Engels/10, 100, 1000 CARC per la ricostruzione del
partito comunista_, 1995, Edizioni Rapporti Sociali, pagg. 17 e segg. e
pagg. 38 e segg.

http://www.carc.it/index.php?option=com_content&view=article&id=865

Il merito della relazione di GR è di aver posto nettamente e apertamente
un'obiezione che in altri progetti, proposte e relazioni (ad esempio
nella relazione presentata allo stesso Coordinamento da Leonardo Mazzei)
è sottintesa o solo accennata di sfuggita. Facciamo quindi riferimento
alla relazione di GR per esaminare anche le obiezioni di altri.

G. Riboldi fa alcune altre affermazioni preziose per questa analisi.
Dice: "L'aspetto principale della fase ... non è solo la "crisi
ideologica del riformismo",(2) ma [anche] la "crisi economica del
capitalismo" e l'accentuarsi delle contraddizioni dei poli
imperialisti". E ancora: "Sarebbe un errore credere che la crisi e il
progressivo peggioramento delle condizioni di vita di per sé possono
condurre a una mobilitazione rivoluzionaria delle masse".

2. Di passaggio osserviamo che qualificare di _ideologica _la crisi del
riformismo è sminuire l'importanza _politica_ del fatto. Da quando a
metà degli anni '70 è iniziata la seconda crisi generale del
capitalismo, la borghesia sta eliminando una a una, pezzo a pezzo tutte
le conquiste di civiltà e di benessere, sta cancellando o svuotando
tutti i diritti che le masse popolari avevano strappato nel periodo
precedente. Questa inversione di tendenza è un fatto pratico, è un
processo che avviene nella realtà, non nelle coscienze. Non è venuta
meno la fiducia nel riformismo, non si tratta di "aver cambiato idea".
Si tratta che la borghesia cancella quel tessuto di civiltà e di diffuso
benessere che le masse avevano costruito e via via esteso (e che i
revisionisti moderni assicuravano che sarebbe stato possibile estendere
in continuazione: la linea delle "riforme di struttura" di Togliatti).
Da qui ha origine la crisi del PCI, dei sindacati di regime e dello
stesso regime DC.

Infatti l'egemonia del PCI sulle masse popolari non era principalmente
basata sulle chiacchiere di Togliatti e di Berlinguer sulle "riforme di
struttura" e sul "socialismo sotto l'ombrello della NATO", ma sul fatto
che sotto la direzione del PCI dal 1945 al 1975 le masse popolari
italiane avevano strappato reali riforme. Queste reali riforme avevano
anche dato stabilità al regime DC, perché avevano attenuato fino a quasi
estinguerla la lotta della classe operaia per il potere. A partire dalla
metà degli anni '70 la lotta politica in Italia è tra chi vuole
eliminare le riforme e chi le vuole difendere, tra chi le difende a
parole e chi le difende con accanimento, tra chi le difende in maniera
inconseguente e chi le difende in maniera coerente. Classificare la
svolta degli anni '70 come una svolta ideologica, è assolutamente
sbagliato. Non sono le idee che sono andate in crisi, ma un regime
politico, un corso pratico della società (quello del capitalismo dal
volto umano).

Classificare come _ideologica_ la crisi del riformismo vuol dire
lasciare avvolto nel fumo anche il periodo precedente: non erano le
parole e le idee del PCI sulle riforme ciò che gli ha permesso di
mantenere la direzione del proletariato italiano, ma le effettive reali
conquiste strappate sotto la sua direzione grazie alla forza acquisita
dalle masse popolari nel precedente movimento rivoluzionario e alla
forza del movimento comunista internazionale (a conferma che le riforme
non sono il prodotto di un pensiero riformista, ma il sottoprodotto
delle rivoluzioni mancate). Questo (non la religiosità degli italiani e
l'influenza morale del Vaticano) era anche la base principale su cui fu
possibile alla borghesia instaurare il regime DC (che aveva alla sua
testa il Vaticano) e su cui poggiava la stabilità dello stesso regime.

Va da sé che quelle riforme erano frutto della lotta delle masse
popolari: chi ha l'età necessaria, si ricorda le lotte, le
dimostrazioni, gli scontri, i feriti, i caduti, la galera, i processi e
il resto del corollario da cui nacquero le riforme (altro che pensiero
riformista o piano del capitale per integrare le masse!). Quelle riforme
erano però compatibili con il dominio della borghesia imperialista
perché il capitalismo attraversava un periodo di ripresa
dell'accumulazione e di espansione dell'apparato produttivo, per cui le
lotte rivendicative erano produttive di riforme e conquiste, erano
efficaci. Da qui è chiaro che il periodo del capitalismo dal volto umano
(il periodo delle conquiste) era connesso con la ripresa e che la crisi
del riformismo è connessa con la crisi economica del capitalismo, è un
prodotto, un effetto di essa.

La crisi del riformismo non è cioè un fenomeno accanto a un altro (la
crisi economica del capitalismo). Vi è tra i due fenomeni una
connessione dialettica (uno genera l'altro) il cui disconoscimento
impedisce a G. Riboldi, e a quanti altri lo condividono, di comprendere
il reale processo pratico in corso su cui si deve fondare ogni linea
politica realistica. La stessa connessione dialettica esiste anche tra
crisi economica del capitalismo e accentuarsi delle contraddizioni tra i
gruppi imperialisti. La crisi economica è madre della crisi del
riformismo (cioè della eliminazione delle riforme già strappate e della
inconsistenza dei progetti e delle promesse di riforme) e
dell'accentuarsi delle contraddizioni tra i gruppi imperialisti. Esse
corrispondono ai due tipi di contraddizioni (tra borghesia imperialista
e masse popolari e tra gruppi imperialisti) che la crisi per
sovrapproduzione assoluta di capitale rende antagoniste, in cui si
esprime e che aggrava e aggraverà continuamente nel suo procedere fino a
che dall'una o dall'altra delle due sorgerà il movimento che porrà fine
alla crisi: la mobilitazione rivoluzionaria o la mobilitazione
reazionaria delle masse.

Le relazioni presentate al Coordinamento Nazionale della CCA da cui
attingiamo le citazioni sono pubblicate in _nuova unità_, n. 8/98.
(http://www.laltralombardia.it/confed.html)

 

Osserviamo ora gli avvenimenti reali alla luce e con lo strumento del
materialismo dialettico. La storia degli ultimi decenni mostra

- che da un certo periodo in qua, all'incirca dalla metà degli anni '70,
il meccanismo della valorizzazione del capitale ha incominciato a
perdere colpi;(3)

- che da qui sono nate l'eliminazione delle conquiste di benessere e di
civiltà che le masse popolari avevano strappato nei trent'anni
precedenti ("i gloriosi trenta" della pubblicistica borghese),(4) la
ricolonizzazione dei paesi semicoloniali (piano Brady e simili) e lo
sfruttamento della loro popolazione e delle loro risorse ambientali fino
all'estinzione, il crollo (1989) e la devastazione dei paesi socialisti
che il lungo dominio dei revisionisti moderni aveva reso economicamente,
finanziariamente e culturalmente dipendenti dall'imperialismo, il
gonfiarsi del capitale finanziario fino a sovrastare e schiacciare il
capitale produttivo di merci (beni e servizi) (l'economia reale), la
privatizzazione delle aziende pubbliche, l'eliminazione dei "lacci e
lacciuoli" - le regole di salvaguardia del pubblico interesse,(5) la
corsa alla costituzione di un numero ristretto (poche unità) di monopoli
mondiali nei settori più importanti, le lotte sempre più aspre tra i
gruppi imperialisti, la crescita delle differenze economiche tra paesi,
regioni, gruppi e classi;

- che da qui è nata anche la crisi di tutti i regimi politici dei paesi
imperialisti e del sistema delle loro relazioni internazionali (cioè la
crisi politica);

- che da qui sono venute anche la crisi culturale che sconvolge miliardi
di uomini da un capo all'altro del mondo, l'incertezza del futuro,
l'insicurezza generale, la precarietà, la mancanza di stabilità, proprio
di quella stabilità contro cui G. Riboldi e soci chiamano a lottare come
Don Chisciotte chiamava a lottare contro i mulini a vento.(6)

 

3. Vedere in proposito Per il dibattito sulla causa e sulla natura della
crisi attuale, in Rapporti Sociali n. 17/18, 1996 e Le fasi in cui si
divide l'epoca imp_erialista_, in _Rapporti Sociali_ n. 12/13, 1992.
(http://www.nuovopci.it/scritti/RS)

4. L'ultima conquista strappata dalle masse è stato l'accordo del 1975
tra Confindustria (presidente G. Agnelli) e Sindacati per il punto unico
di contingenza che migliorò molto la dinamica dei salari più bassi. Di
lì a poco subentrò la "linea dell'EUR" (1978).

Sulla eliminazione delle conquiste, vedere CARC, _Le conquiste delle
masse popolari,_ 1997, Edizioni Rapporti Sociali
(http://www.carc.it/index.php?view=article&id=866) e G. Pelazza,
_Cronache di diritto del lavoro_ 1970-1990, Edizioni Rapporti Sociali.
(http://www.carc.it/index.php?view=article&id=1157)

5. Vedere sulle Forme Antitetiche dell'Unità Sociale (FAUS), _Rapporti
Sociali_ n. 4, pagg. 20-25, 1989. (http://www.nuovopci.it/scritti/RS)

6. Sul carattere economico, politico e culturale della crisi in corso,
vedere CARC, _La situazione e i nostri compiti_, 1994/1995, Edizioni
Rapporti Sociali.

http://www.carc.it/index.php?view=category&id=104

7. _ Il movimento di resistenza delle masse popolari al procedere della
crisi della società borghese e i compiti delle Forze Soggettive della
Rivoluzione Socialista_, in _Rapporti Sociali_ n. 12/13, 1992.
(http://www.nuovopci.it/scritti/RS)

Dove porta questo corso delle cose? Esso accentua la contraddizione tra
borghesia imperialista e masse popolari e le contraddizioni tra i gruppi
imperialisti. Le masse sono costrette a cercare nuove soluzioni ai loro
problemi di vita e di lavoro, dato che la borghesia imperialista
distrugge essa stessa (nei paesi imperialisti, nelle colonie, negli ex
paesi socialisti) le vecchie soluzioni. Sono cioè costrette a
mobilitarsi. Noi abbiamo dato un nome a questa mobilitazione delle masse
indotta dalla crisi generale del capitalismo, l'abbiamo chiamata
"resistenza delle masse popolari al procedere della crisi".(7) Che la si
chiami come si vuole. È però incontestabile che essa è il fattore
politico più importante del presente, è il terreno su cui si danno
battaglia tutte le classi, le forze e i gruppi che lottano per il
potere. Quindi _di per sé_ "la crisi e il progressivo peggioramento
delle condizioni di vita non producono la mobilitazione _rivoluzionaria_
delle masse", come giustamente osserva GR che però omette di aggiungere
che _di per sé_ producono _la mobilitazione delle masse_ che è il
fattore principale e indispensabile della trasformazione della società e
quindi la base oggettiva di ogni progetto politico realistico, di ogni
progetto politico che non si riduca a declamazione e a vaniloquio. Non è
forse vero? Chi ha generato e genera la migrazione di milioni di persone
da un continente a un altro? Chi ha generato e genera la ribellione
crescente di milioni di persone a questa "invasione"? Chi ha generato e
genera l'abbandono delle organizzazioni di regime e delle istituzioni
(elezioni, ecc.) del regime? Chi ha generato e genera l'esplosione di
religioni, sette, volontariato, doppio e triplo lavoro, violenze
gratuite, ecc.? Chi ha generato e genera quell'insieme di fenomeni che
si riassumono nell'imbarbarimento: la malavita, l'esplosione della
delinquenza giovanile, gli scandali, l'insofferenza, la "ingovernabilità
delle metropoli"? Quindi _la crisi generale produce di per sé la
mobilitazione delle masse_: non mobilitazione _rivoluzionaria_, ma
mobilitazione!

La crisi, proprio perché è crisi generale per sovrapproduzione assoluta
di capitale, genera anche la lotta antagonista tra gruppi imperialisti
perché ognuno deve valorizzare il suo capitale e il capitale accumulato
è troppo e il plusvalore estorto ai lavoratori, per quanto grande e
crescente, non basta a valorizzarlo tutto. Ogni capitalista per
valorizzare il suo capitale oltre a spremere a morte i lavoratori deve
anche "uccidere" un altro capitalista, deve appropriarsi del suo
capitale. Questo rende antagonisti i contrasti tra gruppi imperialisti.

Queste tendenze che ognuno può constatare, creano forse stabilità? No,
_di per sé_ generano instabilità, sconvolgono regimi e relazioni tra
classi, paesi, nazioni e Stati. Non è quello che avviene sotto i nostri
occhi?

Ebbene, a questa situazione la cui comprensione nell'insieme e nei
dettagli è essenziale per ogni attività politica autonoma (cioè che non
sia a rimorchio e al servizio di altri che pensano e decidono al nostro
posto), che nome diamo?

Noi la chiamiamo situazione rivoluzionaria in sviluppo.(8) È una
situazione in cui i vecchi poteri crollano e crolleranno e altri poteri
si affermeranno lottando e imponendosi ai loro avversari: come è
avvenuto nel corso della prima crisi generale del capitalismo
(1900-1945). In questa situazione la mobilitazione delle masse può
diventare rivoluzionaria o diventare reazionaria, ma non una terza cosa!


 

8. _ La situazione rivoluzionaria in sviluppo_, in _Rapporti Sociali_ n.
9/10, 1991. (http://www.nuovopci.it/scritti/RS)

L'affermazione di G. Riboldi e altri "non siamo in una situazione
rivoluzionaria né prerivoluzionaria" diventa meno fuori posto se intesa
come "non siamo in una situazione insurrezionale né preinsurrezionale":
cosa che (a quanto pare) nessuno contesta. Ma così intesa l'affermazione
di GR comporta una concezione schematica e ristretta del lavoro delle
FSRS del tipo: "La rivoluzione si fa con l'insurrezione; finché non c'è
l'insurrezione o non si è nell'imminenza dell'insurrezione, la politica
rivoluzionaria si riduce a fare da "sponda politica" al lavoro
sindacale, a sostenere, promuovere e organizzare le lotte rivendicative
dei lavoratori e a sostenere le loro ragioni presso le autorità, nelle
istituzioni". Che è la concezione della politica rivoluzionaria che ha
dato la triste dimostrazione della sua impotenza all'inizio di questo
secolo, nei partiti della Seconda Internazionale e, per quel che ci
riguarda, nel PSI e nel "biennio rosso" 1919-1920.

La mobilitazione delle masse, che la crisi generale produce _ di per
sé_, deve crescere sotto una direzione, non può crescere senza
direzione: esiste e non può esistere che sotto una direzione. Quale sarà
la direzione che effettivamente si affermerà in un caso concreto, non
dipende dalla crisi, ma da altri fattori: come dire che ogni uccello a
primavera fa il nido e lo deve appoggiare da qualche parte, ma che lo
appoggi da una parte o dall'altra non dipende dalla primavera. Crescerà
come mobilitazione rivoluzionaria, certamente non di per sé, non
ineluttabilmente, ma solo se le FSRS, se il partito comunista della
classe operaia (quindi le FSRS oggi e il partito comunista domani)
saranno capaci di far prevalere in essa la direzione della classe
operaia, rispetto a quella di tutti gli altri pretendenti (i gruppi
imperialisti promotori della mobilitazione reazionaria), quindi se
saranno capaci di trasformarla in lotta per il comunismo, in rivoluzione
socialista. In caso contrario la mobilitazione delle masse crescerà come
mobilitazione reazionaria, come mobilitazione delle masse diretta da
qualche gruppo della borghesia imperialista che mobilita le masse nella
sua lotta contro altri gruppi imperialisti che a loro volta mobilitano
altre masse, cioè nelle guerre imperialiste in cui i gruppi imperialisti
e i loro clienti scagliano le masse le une contro le altre.(9) È stato
anche dimostrato dalla pratica, ed è comprensibile anche teoricamente,
che la mobilitazione reazionaria può essere trasformata in mobilitazione
rivoluzionaria e viceversa. Nel giugno-luglio 1919 la piccola borghesia
urbana italiana portava le chiavi dei negozi alle Camere del lavoro, la
stessa piccola borghesia urbana due anni dopo forniva reclute alle
squadre fasciste che davano la caccia agli operai. Viceversa i soldati
che nel 1940 avevano applaudito Mussolini che li chiamava alla guerra,
nel 1944 gli davano la caccia come partigiani. La storia della prima
crisi generale è folta di trasformazioni di questo genere.

 

9. Le mille guerre nazionalistiche, interetniche, ecc. che imperversano
dall'Europa all'Asia sono per la maggior parte un esempio di queste
guerre che i gruppi imperialisti conducono tra loro mobilitando ognuno
masse al suo seguito e facendo a tale fine leva su uno dei mille
contrasti e differenze (nazionali, economiche, religiose, ecc.) che la
storia ci lascia in eredità. Sulla natura della mobilitazione
reazionaria, v. _Rapporti Sociali_ n. 12/13 pagg. 25-31.
(http://www.nuovopci.it/scritti/RS)

Ma come possono le FSRS essere capaci di far crescere la mobilitazione
delle masse (la resistenza che le masse oppongono al procedere della
crisi generale del capitalismo) come mobilitazione rivoluzionaria (cioè
come lotta per il comunismo, come rivoluzione socialista), se neanche si
accorgono di questa mobilitazione che cresce _di per sé_, se continuano
a fare i loro chiacchiericci senza rendersi conto di questa esplosione
in arrivo, di questa colata lavica che va montando? Che cosa significa
il fatto che un autorevole esponente di una FSRS nasconde dietro la
negazione di una tesi (la tesi che la crisi produce _di per sé_
mobilitazione _rivoluzionaria_ delle masse) che, a quanto risulta,
nessuno sostiene, il suo silenzio su una tesi (la crisi produce _di per
sé_ mobilitazione delle masse) che, se è vera come lo è, in questa fase
sta alla base di tutta l'attività politica rivoluzionaria consapevole,
di ogni progetto realistico di politica rivoluzionaria? Stante che la
crisi effettivamente in corso fa mobilitare le masse, ogni piano di
politica rivoluzionaria, ogni concezione del divenire della società,
ogni concezione della rivoluzione socialista che non sono lavoro per far
diventare rivoluzionaria la reale mobilitazione delle masse, quella che
effettivamente si sviluppa, ogni progetto di creare un altro tipo di
rivoluzione socialista sono un proposito sciocco, uno sterile gioco
intellettuale e una dispersione di forze.

Il ragionamento di GR in sintesi è: "La crisi non produce di per sé la
mobilitazione _rivoluzionaria_ delle masse, _quindi_ non ha senso
occuparsi della _mobilitazione_ delle masse che la crisi _di per sé_
produce e di cosa dobbiamo fare per farla diventare _ rivoluzionaria_.
Passiamo _quindi_ a parlare d'altro".

Proprio al contrario, le FSRS devono studiare con la massima cura la
reale mobilitazione delle masse che la crisi produce di per sé, questa
colata lavica che monta; devono scoprire le leggi dello sviluppo della
resistenza delle masse al procedere della crisi generale del
capitalismo; devono far leva sulle tendenze positive presenti in questa
resistenza per far prevalere in essa la direzione della classe operaia,
cioè per trasformarla in lotta per il comunismo.

Noi dobbiamo costituire un partito comunista che sia in grado di
adempiere a questo compito, perché questo e non altro è il compito che
gli sta di fronte.

Per chiunque vede la reale connessione tra crisi economica per
sovrapproduzione assoluta di capitale, crisi generale (economica,
politica e culturale), lotte tra gruppi imperialisti, crisi del
riformismo (delle politiche riformiste, dei riformisti, degli
illusionisti delle riforme) e mobilitazione delle masse, per costui è
quindi chiaro che la classe operaia, il proletariato, le masse popolari,
la causa del comunismo hanno bisogno di un partito che sia all'altezza
del compito che il procedere della seconda crisi generale del
capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria in sviluppo
pongono ad esso e che tenga pienamente conto dell'esperienza della prima
ondata della rivoluzione proletaria, perché siamo proprio in una
situazione rivoluzionaria in sviluppo, una situazione di grande
instabilità e precarietà degli attuali regimi politici borghesi, che va
_di per sé_ verso la mobilitazione delle masse che sarà rivoluzionaria o
reazionaria a secondo della capacità delle forze politiche di capire e
applicare a proprio vantaggio le sue leggi di sviluppo.

LA SECONDA CRISI GENERALE GENERA DI PER SÉ UN PERIODO DI GUERRE E DI
RIVOLUZIONI. Quali guerre, quali rivoluzioni, con quali esiti
provvisori, con quale esito finale? Questo lo "deciderà" lo scontro tra
la mobilitazione rivoluzionaria che le FSRS oggi e il partito comunista
domani promuoveranno e la mobilitazione reazionaria che vari gruppi
imperialisti a loro volta e in concorrenza tra loro promuoveranno.

Ma è chiaro che non abbiamo bisogno di un partito comunista che si
qualifichi principalmente come "sponda politica" del "sindacato di
classe" (per riprendere un'altra affermazione di G. Riboldi), ma di un
partito comunista promotore, organizzatore e dirigente della
mobilitazione delle masse popolari, che solo così diventa mobilitazione
rivoluzionaria, cioè lotta per la conquista del potere da parte della
classe operaia e per l'instaurazione del socialismo.

Posto questo, sono tre le questioni che ne derivano.

1. Cosa significa in concreto, nella nostra situazione, un partito che
sia all'altezza del compito che il procedere della seconda crisi
generale del capitalismo e la conseguente situazione rivoluzionaria in
sviluppo pongono ad esso?

2. Cosa insegna al riguardo l'esperienza della prima ondata della
rivoluzione proletaria (1900-1945)?

3. Quali sono le caratteristiche che rendono un partito quale lo
vogliamo?

Ogni compagno che si pone responsabilmente e concretamente il compito di
ricostruire il partito comunista si pone queste tre domande. Ogni
compagno ha cercato e cerca di dare ad esse delle risposte. Ricavandole
da dove? Dalle sue credenze, dai suoi pregiudizi, dalla cultura
correntemente diffusa dalle università, dai centri studi, dalle
fondazioni, dalle case editrici, dalle riviste di prestigio, dai
giornalisti ben pagati, insomma dalla macchina ideologica della classe
dominante? No, le ricava dalla esperienza passata e presente del
movimento comunista internazionale e del nostro paese e dalle condizioni
della lotta di classe che si svolge nel nostro paese, studiando ed
elaborando quelle esperienze con gli strumenti forniti dal patrimonio
teorico del movimento comunista internazionale che è sintetizzato nel
marxismo-leninismo-maoismo. Può darsi che questo scandalizzi alcuni
critici accaniti del "pensiero unico" della borghesia imperialista che
però ad esso si rifanno ogni volta che devono pensare qualcosa. Ma
questa è la strada che noi seguiamo.

Noi vogliamo essere materialisti dialettici, comunisti, rivoluzionari
proletari. Quindi le nostre risposte sono criteri che ci guideranno
nella nostra azione, sottoposti alla verifica della realtà. Facciamo il
bilancio delle esperienze, raccogliamo ed elaboriamo le esperienze, le
sensazioni, le aspirazioni sparse, diffuse e confuse delle masse che
sono effetto della vita che esse conducono e quindi rivelatrici (indizi)
del reale corso delle cose, traduciamo tutto ciò in una linea che
riportiamo alle masse perché diventi guida nell'azione. Dai risultati di
questa azione ripartiremo per ripetere il processo, elaborare una linea
più giusta e più conforme alle leggi oggettive del movimento della
società, della lotta tra le classi sfruttate e la borghesia
imperialista. Il successo nella pratica è, in definitiva, il criterio
della verità di ogni nostra linea e di ogni nostra idea.

In questo articolo vogliamo dimostrare che l'esperienza della prima
ondata della rivoluzione proletaria e l'analisi della società attuale
insegnano concordemente tre cose.

- 1. Che la rivoluzione proletaria che dobbiamo e possiamo fare ha la
forma della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

- 2. Che il nuovo partito comunista deve essere costruito in modo da
essere la direzione della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata
che in maniera confusa e dispersa si sta già sviluppando sotto i nostri
occhi, onde renderla una guerra che le masse popolari conducono in modo
via via più organizzato, prendendo l'iniziativa nelle loro mani, sotto
la direzione lungimirante e capace della classe operaia organizzata nel
suo partito comunista, ponendosi l'obiettivo della vittoria e
dell'instaurazione del socialismo (passando insomma da una guerra che
ora le masse subiscono difendendosi alla meno peggio e in ordine sparso,
a una guerra che conducono come si deve condurla per vincere).

- 3. Che esso deve essere costruito dalla clandestinità, come partito
che non basa la sua esistenza sul margine di libertà di azione politica
che la borghesia imperialista reputa le convenga consentire alle masse
popolari, ma sulla sua capacità di esistere e di operare nonostante i
tentativi della borghesia di eliminarlo e che da qui sfrutta al massimo
anche quel margine per la sua azione: solo dalla clandestinità il
partito è in grado di raccogliere le forze rivoluzionarie che il corso
della lotta tra le classi gradualmente genera, di dirigerle a educarsi
alla lotta lottando e di accumularle fino a rovesciare l'iniziale
sfavorevole rapporto di forza.

Illustriamo in questo articolo le risposte che noi diamo alle domande
sopra indicate. Pubblicheremo via via nei prossimi numeri della rivista
le risposte che altri compagni daranno ad esse, in modo da raccogliere e
poterci giovare nel lavoro che ci sta davanti, del massimo
dell'esperienza e della elaborazione attualmente disponibile. Le idee
giuste vengono verificate dalla pratica e arricchite dal bilancio delle
esperienze; nel bilancio delle esperienze le idee giuste si affermano
contro le idee sbagliate: per questo sono indispensabili i dibattiti e
le lotte ideologiche.

_ SULLA FORMA DELLA RIVOLUZIONE PROLETARIA_

Incominceremo dalla forma della rivoluzione proletaria, dal modo in cui
la classe operaia prepara e attua la conquista del potere, da cui parte
poi la trasformazione socialista della società.(10)

Alla fine del secolo scorso, cioè all'inizio dell'epoca imperialista del
capitalismo, i partiti socialdemocratici nei paesi più avanzati avevano
già compiuto la loro opera storica di costituire la classe operaia come
classe politicamente autonoma dalle altre. Avevano posto fine all'epoca
in cui molte persone di talento o inette, oneste o disoneste, attratte
dalla lotta per la libertà politica, dalla lotta contro il potere
assoluto dei re, della polizia e dei preti, non vedevano il contrasto
fra gli interessi della borghesia e quelli del proletariato. Quelle
persone non concepivano neanche lontanamente che gli operai potessero
essi stessi agire come una forza sociale autonoma. I partiti
socialdemocratici avevano posto fine all'epoca in cui molti sognatori, a
volte geniali, pensavano che sarebbe bastato convincere i governanti e
le classi dominanti dell'ingiustizia e della precarietà dell'ordine
sociale esistente per stabilire con facilità sulla terra la pace e il
benessere universali. Essi sognavano di realizzare il socialismo senza
lotta della classe operaia contro la borghesia imperialista. I partiti
socialdemocratici avevano posto fine all'epoca in cui quasi tutti i
socialisti e in generale gli amici della classe operaia vedevano nel
proletariato solo una piaga sociale e constatavano con spavento come,
con lo sviluppo dell'industria, si sviluppava anche questa piaga. Perciò
pensavano al modo di frenare lo sviluppo dell'industria e del
proletariato, di fermare la "ruota della storia".(11) Grazie alla
direzione di Marx ed Engels i partiti socialdemocratici avevano invece
creato nei paesi più avanzati un movimento politico, con alla testa la
classe operaia, che riponeva le sue fortune proprio nella crescita del
proletariato e nella sua lotta per l'instaurazione del socialismo e la
trasformazione socialista dell'intera società. Iniziava l'epoca della
rivoluzione proletaria.(12) Il movimento politico della classe operaia
era il lato soggettivo, sovrastrutturale della maturazione delle
condizioni della rivoluzione proletaria, mentre il passaggio del
capitalismo alla sua fase imperialista ne era il lato oggettivo,
strutturale.

 

10. Sulla forma della rivoluzione socialista, vedere pagg. 14-15 e pagg.
38-44 di CARC, _F. Engels/10, 100, 1000 CARC per la ricostruzione del
partito comunista_, 1995, Edizioni Rapporti Sociali.

http://www.carc.it/index.php?view=article&id=865

11. Su questi temi vedere F. Engels, _L'evoluzione del socialismo
dall'utopia alla scienza_, 1882, Edizioni Rapporti Sociali.

http://marxists.anu.edu.au/italiano/marx-engels/1880/evoluzione

12. Lenin, _ Friedrich Engels_, 1895, in _Opere complete_, vol. 2.

http://www.marxists.org/italiano/lenin/1895/biogra-e.htm

La classe operaia aveva già compiuto alcuni tentativi di impadronirsi
del potere: in Francia nel 1848-50 (13) e nel 1871 con la Comune di
Parigi,(14) in Germania con la partecipazione su grande scala alle
elezioni politiche.(15) Era ormai possibile e necessario capire come la
classe operaia sarebbe riuscita a prendere nelle sue mani il potere e
avviare la trasformazione socialista della società. Erano riunite le
condizioni per affrontare il problema della forma della rivoluzione
proletaria. Nel 1895, nella Introduzione alla ristampa degli articoli di
K. Marx _Le lotte di classe in Francia dal 1848 al__ 1850_, F. Engels
(http://www.nuovopci.it/classic/marxengels/prlotfra.html) fece il
bilancio delle esperienze fino allora compiute dalla classe operaia ed
espresse chiaramente la tesi che "la rivoluzione proletaria non ha la
forma di un'insurrezione delle masse popolari che rovescia il governo
esistente e nel corso della quale i comunisti, che partecipano ad essa
assieme agli altri partiti, prendono il potere". La rivoluzione
proletaria ha la forma di un accumulo graduale delle forze attorno al
partito comunista, fino ad invertire il rapporto di forza: la classe
operaia deve preparare fino ad un certo punto "già all'interno della
società borghese gli strumenti e le condizioni del suo potere". Lo
sviluppo delle rivoluzioni nel nostro secolo ha confermato, precisato e
arricchito la tesi di F. Engels.(16)

13. K. Marx, _Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850_, 1850, in
_ Opere_, vol. 10.

http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1850/lottecf/

14. K. Marx, _La guerra civile in Francia_, 1871 e F. Engels,
_Introduzione_, 1891. http://marxists.anu.edu.au/italiano/
marx-engels/1871/gcf/introduzioneengels.htm

15. F. Engels, _Introduzione a "K. Marx, Le lotte di classe in Francia
dal 1848 al 1850"_, 1895, in _Opere,_ vol. 10.

http://www.nuovopci.it/classic/marxengels/prlotfra.html

16. I revisionisti dell'inizio del secolo (E. Bernstein & C) e i
revisionisti moderni (Kruscev, Togliatti, ecc.) hanno cercato
ripetutamente di "tirare dalla loro parte" l'Introduzione del 1895 di
Engels. "Accumulo graduale delle forze rivoluzionarie all'interno della
società borghese? Certo! Ecco i nostri gruppi parlamentari sempre più
numerosi, abili, influenti e ascoltati dal governo, i nostri voti in
crescita di elezione in elezione, i nostri sindacati cui sono iscritti
milioni di lavoratori e che ministri e industriali ascoltano e
interpellano con rispetto, le nostre floride cooperative, le nostre
buone case editrici, i nostri giornali e periodici ad alta tiratura, le
nostre manifestazioni d'ogni genere sempre affollate, le nostre
associazioni culturali che raccolgono il fior fiore dell'intelligenza
del paese, la nostra vasta rete di contatti e di presenze in posti che
contano, il nostro seguito in tutte le categorie. Ecco l'accumulo delle
forze rivoluzionarie che ci rende capaci di governare!".

È una grande violenza far dire queste cose a Engels che, pur non avendo
visto tutto quello che è successo nel secolo XX, aveva messo in guardia
dal farsi illusioni, aveva avvertito che la progressione elettorale del
partito socialdemocratico tedesco, segno del progresso del socialismo
nella classe operaia tedesca e della sua crescente egemonia sulle masse
popolari, non sarebbe continuata all'infinito, aveva avvertito che la
borghesia avrebbe "sovvertito la sua stessa legalità" quando questa
l'avrebbe messa in difficoltà.

Ma il problema principale non è "quello che Engels ha veramente detto".
Il problema principale è che i fatti, la realtà, gli avvenimenti hanno
ripetutamente dimostrato che quelle forze accumulate di cui parlano i
revisionisti si sono sciolte come neve al sole in ogni scontro acuto e
crisi acuta della società che hanno posto all'ordine del giorno la
conquista del potere, in ogni caso in cui erano dirette dai revisionisti
ed erano le sole o le principali "forze rivoluzionarie" che la classe
operaia aveva accumulato (basti richiamare l'Italia del 1919-1920, la
Germania del 1914 e del 1933, l'Indonesia del 1966, il Cile del 1973).
Esse hanno potuto servire allo scopo solo quando erano le propaggini
legali, il braccio legale di un partito e di una classe operaia che
veniva altrimenti accumulando le vere e decisive forze rivoluzionarie
(basti citare la Russia del 1917).

Il processo della rivoluzione socialista è complesso, ha le sue leggi,
si svolge nel corso di un certo tempo.

Chi dice che la classe operaia _non può_ vincere, rovesciare la
borghesia imperialista e prendere il potere, sbaglia (i pessimisti e gli
opportunisti sbagliano). I successi raggiunti dal movimento comunista
nella prima ondata della rivoluzione proletaria (1914-1949) hanno
confermato praticamente ciò che Marx ed Engels avevano dedotto
teoricamente dall'analisi della società borghese.

Chi dice che la classe operaia _può facilmente e in breve tempo_
vincere, rovesciare la borghesia imperialista e prendere il potere,
sbaglia (gli avventuristi sbagliano: da noi abbiamo visto all'opera i
soggettivisti e i militaristi). Le sconfitte subite dal movimento
comunista nella prima ondata della rivoluzione proletaria (tra cui in
Italia quella del "biennio rosso" 1919-1920 di cui ricorre quest'anno lo
80° anniversario), le rovine prodotte dal revisionismo moderno dopo che
negli anni '50 ha preso la direzione del movimento comunista e la
sconfitta subita in Italia dalle Brigate Rosse all'inizio degli anni '80
hanno confermato praticamente anche questa tesi.

La classe operaia _può_ vincere, rovesciare la borghesia imperialista e
prendere il potere, ma attraverso un lungo periodo di apprendistato, di
dure lotte, di lotte dei tipi più svariati e di accumulazione di ogni
genere di forze rivoluzionarie, nel corso del processo di guerre civili
e di guerre imperialiste che durante la crisi generale del capitalismo
comunque (inevitabilmente, indipendentemente dalle teorie e dalle
decisioni di uomini e partiti) sconvolgono il mondo fino a trasformarlo.
Per condurre con successo questa lotta, per ridurre gli errori che si
compiono, bisogna capire la natura del processo, le contraddizioni che
lo determinano, le leggi secondo cui si sviluppa.

Non per nostra scelta ma per le caratteristiche proprie del capitalismo,
il processo di sviluppo dell'umanità si è posto in questi termini: o
guerre tra masse popolari dirette da gruppi imperialisti o guerre tra
classe operaia e borghesia imperialista. È un dato di fatto, un fatto a
cui non possiamo sfuggire per forza dei nostri desideri o della nostra
volontà se non ponendo fine all'epoca dell'imperialismo;(17) è un fatto
reso evidente dallo studio dei 100 anni dell'epoca imperialista già
trascorsi e dallo studio delle tendenze attuali della società. La
situazione è resa ancora più complessa dal fatto che nella sua guerra
contro la borghesia imperialista la classe operaia deve sfruttare le
contraddizioni tra gruppi imperialisti. I due tipi di guerre (la guerra
della classe operaia contro la borghesia imperialista e le guerre tra
gruppi imperialisti) in sostanza si sviluppano entrambi e si
intrecciano.(18) Il problema è quale prevale. I comunisti devono fare in
modo che gli antagonisti nella guerra siano la classe operaia e la
borghesia imperialista in modo che alla sua conclusione la classe
operaia emerga come nuova classe dirigente, come la classe che ha vinto
la guerra. D'altra parte devono condurre la guerra in modo tale che i
gruppi imperialisti si azzuffino tra loro onde non uniscano e
concentrino le loro forze, all'inizio prevalenti, contro la classe
operaia. Questo è un problema della relazione tra strategia e tattica
nella rivoluzione proletaria.

 

17. Non è un caso che ripetutamente si vedono pacifisti dichiarati
diventare nel corso degli avvenimenti fautori della guerra. Clamoroso il
caso di A. Sofri che divenne fautore dell'intervento militare degli
imperialisti USA ed europei nei Balcani. Le cose procedono nonostante le
volontà dei pacifisti e diventano tali che essi o si schierano contro la
causa (l'imperialismo) che determina il corso delle cose o si schierano
con una delle parti in guerra, giustificando in qualche modo il venir
meno del loro pacifismo.

Il loro pacifismo non può trasformare il corso delle cose e quindi è il
corso delle cose che trasforma il loro pacifismo. Il pacifismo non è una
"terza via". In alcuni è uno stadio transitorio verso lo schieramento
nella guerra, per altri è una politica per impedire che le masse
popolari prendano le armi contro la borghesia imperialista: predicano il
disarmo e la pace alle masse che non hanno armi in modo da lasciare
libero il campo d'azione alla borghesia imperialista che è armata fino
ai denti e continua ad armarsi. Esponente tipico di questa seconda
specie di "pacifismo" è Papa Woityla.

18. Esemplare al riguardo fu la Seconda guerra mondiale. Essa fu
contemporaneamente guerra tra gruppi imperialisti e guerra tra classe
operaia e borghesia imperialista. La contraddizione tra i due aspetti ha
caratterizzato la natura, l'andamento e l'esito della Seconda guerra
mondiale. Tra quelli che non comprendono questa contraddizione o per
opportunità politica la negano, alcuni pongono unilateralmente un
aspetto (guerra interimperialista), altri l'altro (guerra di classe),
gli uni e gli altri facendo a pugni con i fatti e impelagandosi in un
intrico di contraddizioni logiche da cui non riescono a uscire.

Su questa contraddizione che caratterizza la Seconda guerra mondiale,
vedere l'articolo di M. Martinengo _Il movimento politico degli anni
trenta in Europa_, in _Rapporti Sociali_ n. 21, 1999.
(http://www.nuovopci.it/scritti/RS)

Vedere anche _Un libro e alcune lezioni_ di Umberto C. in _La Voce_ n.
24 (novembre 2006). http://www.nuovopci.it/voce/voce24/librlez.html

In contrasto con la tesi di Engels (che la classe operaia può arrivare
alla conquista del potere solo attraverso un graduale accumulo delle
forze rivoluzionarie), alcuni presentano la rivoluzione russa del 1917
come un'insurrezione popolare ("assalto al Palazzo d'Inverno") nel corso
della quale i bolscevichi hanno preso il potere. In realtà
l'instaurazione del governo sovietico nel novembre del 1917

1. è stata preceduta da un lavoro sistematico di accumulazione delle
forze diretto dal partito che a partire dal 1903 si era costituito come
forza politica libera, che esisteva e operava con continuità in vista
della conquista del potere nonostante che l'avversario mirasse a
distruggerla e quindi come forza politica indistruttibile
dall'avversario;

2. è stata preceduta dal lavoro più specifico fatto tra il febbraio e
l'ottobre 1917;

3. è stata seguita da una guerra civile e contro l'aggressione
imperialista conclusa nel 1921 e conclusa solo in un certo senso perché
lo sforzo della borghesia imperialista per soffocare l'Unione Sovietica
è proseguito nelle lunghe e molteplici manovre antisovietiche degli anni
'20 e '30 e nell'aggressione nazista del 1941-1945.

La rivoluzione russa del 1905 quella sì aveva avuto più la forma di
un'esplosione popolare non preceduta dall'accumulo delle forze attorno
al partito comunista; ma non a caso non aveva portato alla vittoria.(19)


19. Lenin, _Rapporto sulla rivoluzione del 1905_, 22.1.1917, in _ Opere
complete_, vol. 23. http://www.nuovopci.it/classic/lenin/raprivol.htm

Una conferma esemplare della giustezza e della profondità della teoria
di Engels è data dalla storia del "biennio rosso" (1919-1920) in Italia.
La mancata accumulazione delle forze rivoluzionarie nel periodo
precedente, la "insufficienza rivoluzionaria" del PSI come venne
chiamata, impedirono di trasformare in rivoluzione socialista la
mobilitazione delle masse che pure erano in larga misura orientate dal
PSI (aderente alla Internazionale Comunista) e dalla Rivoluzione
d'Ottobre e nelle quali molti erano gli uomini che nel corso della Prima
guerra mondiale, appena finita, erano stati addestrati all'uso delle
armi e alla guerra.

Alcuni sostengono che la colpa del mancato successo va attribuita ai
capi riformisti (Turati, Treves, Modigliani, D'Aragona, ecc.) presenti
nel PSI e alla testa della CGL. Altri sostengono che in generale
mancarono i capi rivoluzionari. Altri ancora sostengono che la
mobilitazione delle masse non era sufficientemente ampia e
rivoluzionaria ... da poter fare a meno di capi.

Il problema è un altro.

Il movimento socialista e sindacale italiano si era sviluppato solo nei
campi parlamentare, sindacale, cooperativo ed educativo. Gran parte dei
partiti della Seconda Internazionale avevano di fatto ridotto il loro
lavoro socialista a questi soli campi. I revisionisti e i riformisti
avevano addirittura rivendicato e giustificato teoricamente questa
limitazione. Il movimento italiano non si era distinto dal grosso della
Seconda Internazionale. Negli altri campi aveva fatto solo magniloquenti
dichiarazioni e appelli e alimentato generose aspirazioni, ma nulla di
più.

Era un movimento capace di moltiplicare e migliorare i voti nelle
elezioni, il numero dei rappresentanti eletti, i periodici, le
cooperative, le organizzazioni sindacali, le associazioni culturali,
ecc. ma incapace di avere anche un solo distaccamento di uomini armati o
alcuni degli altri strumenti di potere di cui la classe dominante si
avvale per il suo dominio e di cui tutela per legge il monopolio.
_Tutto_ il movimento socialista e sindacale italiano era ricco di
esperienze nelle lotte rivendicative e nelle iniziative consentite dalla
legge dello Stato borghese, ma incapace di accumulare qualsiasi
esperienza nei campi di cui la classe dominante si riservava il
monopolio. Esso fuoriusciva dai limiti delle leggi dello Stato borghese
solo per iniziative episodiche, estemporanee, istintive e circoscritte,
nei tumulti e negli scontri di piazza prodotti dall'indignazione delle
masse o dalle provocazioni delle forze della repressione, episodi che
coinvolgevano parti più o meno ampie del movimento socialista, ma a cui
restava estranea la sua direzione che così non veniva educata a svolgere
il suo compito specifico né sul piano strategico né sul piano tattico.
_I riformisti_ non volevano la rivoluzione e cercavano di evitarla con
tutte le loro forze e _i massimalisti_ (G. Menotti Serrati, ecc.) non
sapevano cosa fare per passare dalla rivendicazione alla rivoluzione e
più volte si mostrarono disposti a farsi da parte. Ma neanche _i
comunisti_ (Gramsci, Bordiga, Terracini, Tasca, ecc.) sapevano cosa
fare. Questi alimentavano e spingevano avanti il movimento delle masse e
chiedevano che "il partito", che essi non dirigevano né cercavano di
dirigere, desse il via a una rivoluzione di cui nessuno aveva mai
pensato e tanto meno sperimentato i passaggi attraverso i quali doveva
svolgersi e di cui nessuno aveva approntato gli strumenti.(20) Quando
nella riunione del 9-10 settembre 1920 a Milano della Direzione del PSI
e del Consiglio Generale della CGL venne chiesto a Tasca e a Togliatti
(che vi partecipavano come rappresentanti degli operai torinesi che
occupavano le fabbriche) se i torinesi erano in grado di incominciare
con una sortita offensiva dalle fabbriche, essi dovettero convenire che
no, non erano in grado. In modo analogo erano andate le cose anche
durante lo sciopero generale e la serrata nell'aprile 1920 quando al
Consiglio Nazionale del PSI riunito a Milano il 20-21 aprile come
portavoce degli operai torinesi avevano partecipato Tasca e Terracini.
Più volte negli anni successivi A. Gramsci dovette riconoscere che essi
non erano in alcun modo preparati a una offensiva che avesse probabilità
di successo, non sapevano da dove incominciare un'azione per la
conquista del potere e chiedevano ... che lo facesse "il partito".

20. Da notare che gli stessi erano invece sicuramente sperimentati e
capaci di predisporre un piano per uno sciopero generale, per la
fondazione di una cooperativa, per organizzare una casa editrice, per
condurre una campagna elettorale, ecc. Insomma per tutti quei campi in
cui si era svolta fino allora l'attività del movimento socialista e
sindacale italiano e quella di gran parte dei partiti della Seconda
Internazionale.

_ Tutto_ il movimento socialista italiano si connotava _da una parte_
per l'estremismo e il massimalismo sul piano tattico, nelle iniziative
singole spesso frutto dell'improvvisazione e dell'indignazione di
individui e gruppi a cui il partito non dedicava né addestramento
pratico né orientamento politico e ideologico e tanto meno direzione e
_dall'altra parte_ per il riformismo nella strategia per cui gli
obiettivi generali del movimento si configuravano sempre come richieste
che la direzione rivolgeva al governo o allo Stato borghesi che per loro
natura né volevano né potevano soddisfarle.

Non vi erano nel PSI alcuna iniziativa di partito né alcuna direzione
relativa all'armamento e all'addestramento all'uso delle armi e ad
operazioni militari: tutto quanto fu fatto sul piano dell'armamento era
frutto di iniziative individuali e l'addestramento o era frutto di
iniziative individuali o derivava dal servizio militare che i lavoratori
prestavano nelle forze armate della borghesia: ciò tra l'altro
comportava che il partito non svolgeva alcuna elaborazione di concezioni
militari tattiche e strategiche appropriate al carattere della classe
operaia e delle altre classi popolari, distinte da quelle della
borghesia e derivate dall'elaborazione della esperienza militare che le
masse facevano nel corso dei tumulti, delle rivolte, degli scontri di
strada.

Giova infine ricordare che entrambe le maggiori prove di forza del
biennio (lo sciopero di aprile e l'occupazione di settembre 1920)
iniziarono per iniziativa dei padroni e che la risposta alla loro
iniziativa venne decisa dagli organismi dirigenti della FIOM, a conferma
della impreparazione del PSI a ogni azione rivoluzionaria.(21)

21. Vedere in proposito: le due lettere (10 gennaio e 2 aprile 1924) di
A. Gramsci a Z. Zini pubblicate in _Rinascita_ n. 17, 25 aprile 1964; il
capitolo 6 della _Storia del Partito comunista italiano _di P. Spriano
vol. 1; i capitoli 14 e 15 di R. Del Carria, _Proletari senza
rivoluzione_.

La mancanza di una accumulazione delle forze rivoluzionarie, di un
processo nel corso del quale la classe operaia avesse preparato fino ad
un certo punto già all'interno della società borghese gli strumenti e le
condizioni del suo potere, risalta evidente come causa della sconfitta
anche nelle rivoluzioni tedesca, austriaca, finlandese, ungherese del
1918-1919: rivoluzioni popolari che portano alla dissoluzione del
vecchio Stato, ma non portano all'instaurazione di un nuovo Stato fino a
quando non lo fa la borghesia. Lo stesso confermano le vicende delle
altre acute crisi politiche (Polonia, Bulgaria, Romania, Cecoslovacchia,
Jugoslavia, Turchia, USA, Inghilterra, Francia, ecc.) che segnano la
fine della Prima guerra mondiale e gli anni immediatamente successivi.

Anche la successiva storia europea di questo secolo conferma
l'indicazione di Engels. Fondamentalmente è la storia della guerra tra
classe operaia e borghesia imperialista. Tutte le crisi politiche
borghesi e i contrasti tra gruppi e Stati imperialisti sono condizionati
da questa guerra sottostante. Ma i partiti comunisti non affrontano la
situazione in questi termini.

Negli anni '30 e '40 "meglio Hitler che i comunisti" fu la parola
d'ordine dei gruppi imperialisti francesi di fronte al sorgere del
nazismo in Germania e alla sua espansione in Spagna, in Cecoslovacchia,
ecc. "Meglio Hitler che il bolscevismo", "meglio i giapponesi che i
comunisti" fu la regola dei gruppi imperialisti inglesi e americani. Lo
schieramento degli "Stati democratici" (USA, Inghilterra, Francia)
contro il governo repubblicano durante la guerra civile spagnola
(1936-1939) fu determinato dallo stesso motivo.

La borghesia imperialista infine, nonostante la guerra in corso tra
gruppi imperialisti, condusse la Seconda guerra mondiale in funzione
anticomunista, con l'obiettivo di stroncare il movimento comunista in
Europa e il movimento antimperialista di liberazione nazionale nelle
colonie e nelle semicolonie e di soffocare l'Unione Sovietica.
Strategicamente la contraddizione tra la borghesia imperialista e la
classe operaia era antagonista, la contraddizione tra gruppi
imperialisti era secondaria benché anch'essa antagonista. Sul piano
tattico il rapporto tra le due contraddizioni fu variabile durante
l'intera Seconda guerra mondiale.

Se cerchiamo oggi una risposta alla domanda: "Perché durante la prima
crisi generale del capitalismo i partiti comunisti dei paesi
imperialisti non sono riusciti a guidare le masse popolari fino alla
conquista del potere e all'instaurazione del socialismo?", la risposta
che ci viene dal bilancio dell'esperienza è: "Perché non compresero che
la forma della rivoluzione socialista era la guerra popolare
rivoluzionaria di lunga durata". A causa di questa incomprensione essi o
dispersero le loro forze in insurrezioni sconfitte (Amburgo - ottobre
1923, Tallin - dicembre 1924, Canton - dicembre 1926, Shangai - ottobre
1926, febbraio 1927, marzo 1927) o subirono l'iniziativa della borghesia
e le sue provocazioni (Germania 1919, Ungheria 1919, Italia 1920,
Austria 1934, Asturie 1934) o ebbero una linea incerta e contraddittoria
(Germania 1933, Spagna 1936-1939, Francia 1936-1939).

I limiti dei partiti comunisti nei paesi imperialisti durante la prima
crisi generale (1900-1945) in sintesi si riducono alla incomprensione
della forma della rivoluzione socialista, a non aver compreso (e
tradotto in azione politica la comprensione) che la guerra civile tra
classe operaia e borghesia imperialista era la forma principale assunta
dalla lotta di classe in quegli anni. I partiti comunisti dei paesi
imperialisti non si posero mai su questo terreno come loro terreno
strategico principale, dal quale e in funzione del quale sviluppare
tutto il loro lavoro, anche quello pacifico e legale. Affrontarono con
forza e con eroismo la clandestinità e la guerra quando l'avversario le
impose (in Italia e in Jugoslavia nel 1926, in Portogallo nel 1933, in
Germania nel 1933, ecc.), ma come un evento straordinario, una pausa in
un processo che "doveva" svolgersi altrimenti. Allora anche i comunisti
ritenevano che la rivoluzione proletaria assumeva la forma principale
della guerra nelle colonie e nelle semicolonie, non nei "civili" paesi
imperialisti, benché la borghesia nei "civili" paesi imperialisti avesse
a più riprese mostrato che era capace di radere al suolo città e paesi,
di passare per le armi decine di migliaia di uomini disarmati (a Parigi
nel 1871 le forze reazionarie DOPO LA RESA avevano passato per le armi
circa 30.000 comunardi o supposti tali), di ricorrere a ogni mezzo pur
di conservare il proprio potere, di preferire l'occupazione straniera
("meglio Hitler che il comunismo") al potere della classe operaia. La
storia della Francia nel 1935-1940 è esemplare. Eppure J. Duclos, uno
dei maggiori esponenti del PCF di quegli anni assieme a M. Thorez,
riassume così i compiti del partito comunista nel 1935 in Francia "porre
come obiettivo del movimento operaio la lotta per la difesa e
l'ampliamento delle libertà democratiche di fronte al fascismo".(22) La
linea del Fronte unico proletario e del Fronte popolare antifascista
(approvata dal VII Congresso dell'Internazionale Comunista, agosto 1935)
nei paesi imperialisti fu applicata come linea di alleanza con forze
politiche e sindacali e con classi _senza_ l'autonomia del partito e
_senza_ la direzione del partito comunista nel Fronte. Quindi portò il
partito comunista a essere continuamente ricattato dai partiti
socialdemocratici e borghesi; a dipendere, in una certa misura e in
certi periodi, nella sua azione verso le masse popolari dalla
collaborazione dei dirigenti e dei partiti socialdemocratici e
riformisti; a subordinare al loro consenso la sua iniziativa; a porsi
compiti la cui attuazione dipendeva dal loro concorso; a non assumere in
prima persona la direzione e a non concepire il movimento come guerra.

22. Dalla Prefazione di J. Duclos del 1972 a G. Dimitrov, _Oeuvres
Choisies_, Editions Sociales, pag. XXI/XXII.

Sulla forma della rivoluzione socialista il Centro dell'Internazionale
Comunista ebbe una posizione non definita. Per un certo periodo esso
attese che in alcuni paesi dell'Europa occidentale (in particolare
Italia e Germania) la classe operaia riuscisse a prendere il potere con
partiti comunisti improvvisati o con partiti, come il PSI, che avevano
aderito all'Internazionale Comunista solo formalmente, come ci si
iscrive a un club.

In un secondo tempo cercò di promuovere movimenti insurrezionali
regolarmente falliti: espressione di questa tendenza è la pubblicazione
A. Neuberg, _ L'insurrezione
armata_.(http://scintillarossa.forumcommunity.net/?t=53107085)

In un terzo tempo (1935 - VII Congresso) lanciò la linea dei Fronti
popolari antifascisti di cui i singoli partiti diedero interpretazioni
molto diverse.

La concezione della rivoluzione socialista come insurrezione (come
conquista del potere in un'azione di breve durata - cosa diversa è
l'insurrezione come operazione tattica nell'ambito di una guerra, come
le insurrezioni della primavera del 1945 in Italia), ingabbia il partito
comunista in una condizione in cui la conquista del potere da parte
della classe operaia diventa impossibile, salvo casi eccezionali.
Infatti nel periodo precedente l'insurrezione il partito e le forze
rivoluzionarie compiono grandi esperienze ma in campi che con la
conquista del potere hanno direttamente poco a che fare. Esse escono
dalle attività legali, che appunto hanno poco da vedere direttamente con
la conquista del potere e con l'instaurazione di uno Stato, solo in casi
circoscritti e occasionali, sulla spinta dell'emozione, nei tumulti o
negli scontri di piazza, con azioni autonome di individui o di piccoli
gruppi, sulla spinta di provocazioni delle forze della repressione, come
frutto dell'indignazione. Non si tratta mai di operazioni coordinate e
combinate di una guerra di cui il partito tira le fila e che dirige, di
operazioni tattiche di un piano di guerra predisposto dal partito, in
cui le nostre forze hanno l'iniziativa e di cui raccolgono con cura i
risultati e gli insegnamenti.

Questo partito e le forze rivoluzionarie raccolte attorno ad esso, che
non hanno alcuna esperienza di guerra e che non sono state formate da
alcuna esperienza pratica alle arti dell'attacco, della guerra,
dell'organizzazione e della direzione degli uomini in azioni militari,
dovrebbero improvvisarsi come forze capaci di un'azione rapida ed
energica il cui esito si decide in pochi giorni, se non in poche ore
come un'insurrezione!

Il crollo dello Stato francese del maggio-giugno 1940, la liquefazione
di vari Stati nazionali davanti all'avanzata di Hitler dopo il 1938
(Cecoslovacchia, Austria, Polonia, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia,
Jugoslavia, Grecia, ecc.), il crollo del fascismo nel luglio 1943 in
Italia, ecc. non solo non portarono all'instaurazione della dittatura
del proletariato, ma il partito comunista non fu neanche in grado di
dare una direzione alle forze popolari che il crollo del vecchio Stato
liberava: perché non si era posto in condizioni tali da poter prendere
la testa del movimento politico nella nuova situazione; non si era
preparato e non aveva accumulato esperienza e strutture per dirigere la
guerra; non aveva concepito la forma della rivoluzione proletaria
secondo la sua reale natura; non si era abbastanza liberato, nella
realtà e non solo nelle dichiarazioni, dalla concezione valida al tempo
della Seconda Internazionale (di partito più a sinistra tra i partiti
della società borghese, di partito che lotta per far valere gli
interessi della classe operaia nella società borghese, di portavoce
nella società borghese della sua parte più avanzata). Sarà solo
successivamente, nel corso della Seconda guerra mondiale che un po' alla
volta i partiti comunisti assumeranno in una certa misura la direzione
delle masse popolari nella guerra contro il nazifascismo, nella
Resistenza.

Persino nel settembre 1943 in Italia manca ancora una linea di partito
per spostare l'attività sul piano della guerra. Dalle caserme che
restano per alcuni giorni abbandonate o scarsamente presidiate, i
singoli comunisti recuperano armi ma per iniziativa individuale; ai
soldati, che a causa della vergognosa diserzione del re e di gran parte
degli ufficiali superiori, si sbandano, il partito per alcune settimane
non dà direttive né fornisce organizzazione e direzione. Solo nel corso
del mese il partito incomincia a svolgere il suo compito di promotore,
organizzatore e dirigente della guerra antifascista con i grandi
risultati che conosciamo. Per la prima volta nella loro storia le masse
popolari italiane vedono all'opera un partito comunista che dirige sul
piano strategico e sul piano tattico una vasta azione politica (che
comprende anche il suo aspetto militare): per questo giustamente abbiamo
detto che la Resistenza è stata a tutt'oggi "il punto più alto raggiunto
finora nel nostro paese dalla classe operaia italiana nella sua lotta
per il potere". (http://www.carc.it/index.php?view=article&id=869)

Facendo il bilancio dell'esperienza della guerra civile spagnola
(1936-1939), il Partito Comunista di Spagna (ricostruito) è arrivato
alla conclusione di "indicare la via della guerra popolare
rivoluzionaria di lunga durata come la via verso la quale conduceva
l'esperienza del PCE, ma che il PCE non scoprì". E in questo limite, che
il PCE non riuscì a superare, il PCE(r) vede la causa principale della
sconfitta delle masse popolari spagnole.(23)

Perché il crollo di uno Stato porti all'instaurazione della dittatura
del proletariato, occorre che essa sia preceduta da un periodo di
"accumulazione delle forze rivoluzionarie attorno al partito comunista"
e che il crollo dello Stato borghese avvenga nel corso di un movimento
diretto dal partito (l'avanzata dell'Armata Rossa in Europa Orientale
nel 1944-45; la Cina del 1949; Cuba nel 1959; i tre paesi dell'Indocina
nel 1975).

Mao Tse-tung ha sviluppato in modo approfondito gli aspetti
universalmente validi dell'accumulazione delle forze rivoluzionarie
attorno al partito comunista nel partito stesso, nel fronte delle classi
rivoluzionarie e nelle forze armate rivoluzionarie e ha chiamato guerra
popolare rivoluzionaria di lunga durata questo processo in cui le forze
che il corso della vita sociale _gradualmente_ suscita, vengono via via
raccolte dal partito comunista che le educa impiegandole nella lotta
(secondo il principio di "imparare a combattere combattendo"), le
organizza, le unisce in modo che crescano fino a prevalere sulle forze
della borghesia imperialista.(24)

23. PCE(r), _La guerra di Spagna, il PCE e l'Internazionale comunista_,
1993-1995, Edizioni Rapporti Sociali.
http://www.carc.it/index.php?view=article&id=1126

24. Mao Tse-tung, _Sulla guerra di lunga durata_, 1938, in _Opere di Mao
Tse-tung_, Edizioni Rapporti Sociali, vol. 6.
http://www.nuovopci.it/arcspip/articleab67.html

Mao ha studiato e indicato anche le grandi fasi attraverso cui si
sviluppa la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

La fase della difensiva strategica: le forze della borghesia sono
preponderanti, le forze rivoluzionarie deboli; il compito del partito è
quello di raccogliere, addestrare e organizzare forze impiegandole nella
lotta evitando però di essere costretto a uno scontro frontale e
decisivo e mirare a preservare e accumulare le sue forze; la borghesia
cerca lo scontro risolutivo, il partito lo evita tenendo in pugno
l'iniziativa sul piano tattico.

La fase dell'equilibrio strategico: le forze rivoluzionarie hanno
raggiunto le forze della borghesia imperialista.

La fase dell'offensiva strategica: le forze rivoluzionarie hanno
raggiunto la superiorità rispetto alle forze della borghesia; il compito
del partito è quello di lanciare le forze rivoluzionarie all'attacco per
eliminare definitivamente le forze della borghesia, distruggere il
potere della borghesia e instaurare il nuovo potere in tutto il paese.

Ovviamente sta a noi comunisti italiani trovare, con la riflessione e
con la verifica nella pratica, i passaggi e le leggi concrete della
rivoluzione nel nostro paese. Ma noi troviamo illustrate nelle opere di
Mao Tse-tung le leggi universali della guerra popolare rivoluzionaria di
lunga durata, elaborate sulla base dell'esperienza della prima ondata
della rivoluzione proletaria e confermate dai vari episodi che la
compongono.

Il maoismo non è il marxismo-leninismo applicato alla Cina o alle
semicolonie o alle colonie e semicolonie. È la terza superiore tappa del
pensiero comunista, dopo il marxismo (Marx-Engels) e il leninismo
(Lenin-Stalin). Giustamente Stalin in _Principi del leninismo_ (1924)
(http://www.bibliotecamarxista.org/stalin/prindellen.htm) aveva mostrato
che il leninismo non era l'applicazione del marxismo alla Russia o ai
paesi arretrati, ma era il marxismo dell'epoca in cui la rivoluzione
proletaria incominciava. Non era più possibile essere marxisti senza
essere leninisti. Analogamente oggi non si può più essere
marxisti-leninisti senza essere maoisti: vorrebbe dire non tenere conto
dell'esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, di cui
ovviamente Lenin non ha potuto fare il bilancio. Ma tutti i tentativi di
affermare il maoismo come terza superiore tappa del pensiero comunista
si impantanano in discorsi e riflessioni fumosi se non poggiano sulla
tesi che "la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la forma
universale della rivoluzione proletaria". Questa tesi emerge chiaramente
dagli articoli _Per il marxismo-leninismo-maoismo. Per il maoismo e
Sulla situazione rivoluzionaria in sviluppo_ pubblicati in _Rapporti
Sociali_ n. 9/10 (1991) a cui rimandiamo per alcuni sviluppi particolari
(http://www.nuovopci.it/scritti/RS).

Mao Tse-tung non ha criticato negli anni '30 e '40 la concezione della
rivoluzione proletaria prevalente nei partiti comunisti dei paesi
imperialisti, anzi ha indicato la loro linea di "allargamento della
democrazia" (per la quale rimandiamo all'affermazione di J. Duclos sopra
riportata) come linea normale nelle loro circostanze (salvo criticare
quei comunisti cinesi che volevano adottare anche in Cina la parola
d'ordine del PCF "Tutto attraverso il Fronte" negando così l'autonomia
del Partito comunista cinese nel Fronte antigiapponese). Ciò attiene
allo stesso ordine di questioni per cui Lenin ha difeso l'organizzazione
strategica clandestina del partito russo in nome della particolarità
russa fino a quando il crollo della Seconda Internazionale nel 1914
dimostrò praticamente la necessità universale di essa. Il marxista trae
dalla pratica gli insegnamenti che essa contiene, non inventa teorie. Le
idee devono dar prova di sé nella pratica, al negativo e al positivo,
prima di poter essere rigettate le une e valorizzate le altre. I partiti
comunisti dei paesi imperialisti durante la prima crisi generale del
capitalismo hanno compiuto grandi opere, hanno mobilitato grandi masse e
hanno dato un contributo importante alla vittoria contro il
nazifascismo. Bisognava che i limiti di tutto questo grande lavoro
fossero mostrati dall'incapacità di valorizzare i frutti della vittoria
sul nazifascismo e di assumere il potere, perché essi potessero essere
compresi e criticati e la teoria maoista sulla forma universale della
rivoluzione proletaria assurgesse a parte del patrimonio teorico del
movimento comunista.

La realtà dello svolgimento della rivoluzione proletaria nel periodo
1900-1945 ha mostrato, anche nei paesi imperialisti, che i partiti
comunisti hanno unito la classe operaia e hanno affermato la direzione
della classe operaia sulle altre classi popolari quando e nella misura
in cui hanno saputo organizzare le masse popolari nella guerra contro
l'esistente regime della borghesia imperialista. Finché la loro azione
aveva al centro il tentativo di convincere socialdemocratici, cattolici,
ecc. a costituire un comune fronte di opposizione legale, un comune
fronte rivendicativo, un comune fronte antifascista, la loro azione ha
avuto scarsi risultati. Essi hanno diretto lavoratori cattolici,
socialisti, senza partito ecc. e hanno costretto anche i loro dirigenti
a seguirli, quando si sono messi alla testa della guerra cui le
condizioni pratiche costringevano le masse.

Ma allora forse che noi comunisti dobbiamo proclamare una guerra che non
esiste, per affermare nel corso di essa la direzione della classe
operaia? Quando noi diciamo che la crisi generale attuale ha la sua
soluzione nello scontro tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione
reazionaria delle masse, noi diciamo che lo scontro tra le classi e lo
scontro tra i gruppi imperialisti si spostano sempre più sul terreno
della guerra. Oltre alle guerre dichiarate, è in corso una _guerra non
dichiarata_ tra da una parte la borghesia imperialista che vuole e deve
valorizzare il suo capitale e che a questo fine deve schiacciare e
torturare milioni di uomini e donne e dall'altra le masse popolari che
si difendono come possono e in ordine sparso. La borghesia la combatte a
suo modo, usando gli strumenti di cui dispone (il denaro, le leggi
"oggettive" dell'economia, i "normali" rapporti sociali, l'autorità
morale dei padroni e dei preti, la pressione delle abitudini e della
cultura corrente, le armi, i corpi ufficiali dello Stato, i corpi
extralegali, le istituzioni dello Stato, ecc.) per cacciare milioni di
uomini e donne nello stato di "esuberi", per privare delle condizioni
elementari di vita - il cibo, la casa, il vestiario, l'istruzione, le
cure mediche, ecc. - milioni di uomini, per spogliare milioni di uomini
di quanto avevano conquistato, per stroncare i loro tentativi di
emanciparsi e di organizzarsi, per eliminare quei loro dirigenti che
cercano di promuovere, organizzare e dirigere la resistenza. A livello
mondiale le vittime di questa guerra diffusa e non dichiarata sono
innumerevoli, maggiori di quelle di tutte le guerre dichiarate che si
svolgono nello stesso tempo, se è vero che solo i morti per fame sono
dell'ordine di 30 milioni all'anno. Anche nei ricchi paesi imperialisti
le vittime di questa guerra sono i milioni di uomini e donne emarginati
come esuberi, distrutti moralmente e fisicamente, abbrutiti, depravati,
prostituiti, in mille modi angariati e umiliati. È la famosa "lotta di
classe che non esiste più" nelle interessate dichiarazioni della
borghesia imperialista e dei suoi portavoce. Una lotta che noi comunisti
dobbiamo assumere come nostra, riconoscere, scoprirne le leggi,
attrezzarci per combatterla con successo portando sul campo di battaglia
le forze che il corso della vita sociale e lo sviluppo stesso della
lotta suscitano. A nostra volta dobbiamo combatterla a nostro modo: in
conformità alla classe che la deve dirigere, alle classi che la devono
combattere e da cui provengono le nostre forze, alle condizioni
complessive dei rapporti tra le classi del nostro campo e alle influenze
reciproche tra il nostro campo e il campo nemico.

Il problema quindi è di essere presenti e protagonisti sul terreno di
questa guerra, di non farsi sorprendere dagli eventi ma prevenirli, di
orientare il nostro lavoro di oggi in vista di questo corso inevitabile,
di avere l'iniziativa in mano anche se il rapporto delle forze oggi è
largamente a favore dei nostri avversari e di capire le leggi
particolari di questa guerra (che non sono quelle della guerra in
generale né quelle delle guerre passate né quelle della guerra
imperialista). Questo è il terreno di scontro reale. Su questo terreno
si decidono le sorti. In funzione di questo terreno vanno decise e
condotte tutte le campagne, tutte le battaglie e ogni operazione.
Occorre stabilire una giusta gerarchia strategica tra le nostre campagne
e battaglie e poi di passaggio in passaggio definire la gerarchia
tattica. Non si tratta oggi principalmente di propagandare la guerra, di
convincere con la nostra propaganda la classe operaia e le masse
popolari a prepararsi alla guerra. Non si tratta principalmente di
"elevare la coscienza" delle masse con la nostra propaganda. Si tratta
principalmente di creare un partito che lavori e sia capace di lavorare
in funzione della guerra e che da questa posizione diriga e promuova
anche la lotta delle masse a favore della pace contro la guerra
imperialista verso cui la borghesia imperialista, con tutte le sue
misure concrete, ci sta trascinando anche se la teme e se ne ritrae,
resa timorosa dalle esperienze passate. Ovviamente per riuscire in
questo compito bisogna tra l'altro che noi impariamo a vedere che
effettivamente la borghesia imperialista, con le sue misure concrete in
campo economico, politico e culturale, 1. sta portando verso la guerra
imperialista (la mobilitazione reazionaria delle masse) e 2. sta
conducendo una guerra di sterminio contro le masse popolari. Chi non
vede questo chiaramente, o ripiega su illusioni opportuniste e
conciliatorie ("non ci sarà alcuna guerra") o "proclama lui la guerra" .


A scanso di equivoci e visti i precedenti delle Brigate Rosse che dalla
propaganda armata per riunire le condizioni per la ricostruzione del
partito comunista sono passate a una "guerra dispiegata" che esisteva
solo nella fantasia dei militaristi (dove quindi si sono trovate sole,
abbandonate dalle masse, fino alla disgregazione e alla corruzione anche
delle forze che avevano già accumulato), occorre dire che la guerra, in
quanto forma principale della rivoluzione proletaria, è una guerra
particolare, differente dalle guerre che l'umanità ha conosciuto nei
secoli precedenti. Essa è una guerra di tipo nuovo perché ha un
obiettivo diverso da tutte le guerre precedenti: la conquista da parte
della classe operaia della direzione delle masse popolari nella loro
mobilitazione contro la borghesia imperialista per l'instaurazione del
potere della classe operaia e del socialismo. Essa si svolge in forme
sue proprie. La comprensione delle forme particolari di questa guerra
nel nostro paese, l'elaborazione e l'applicazione di linee e metodi
conformi ad esse e la sua direzione costituiscono il compito specifico
del nuovo partito comunista.

_ SULLA NATURA DEL NUOVO PARTITO COMUNISTA._

La classe operaia ha bisogno di un partito comunista che,

1. abbia una linea giusta, cioè una linea che raccolga e sintetizzi la
tendenza positiva delle masse popolari nella fase attuale (la seconda
crisi generale del capitalismo),

2. abbia una forma organizzativa adeguata alla attuazione della sua
linea.

È sbagliato discutere della forma organizzativa prima e senza avere
risolto il problema della linea. L'organizzazione nasce per attuare la
linea.

L'organizzazione deve essere adeguata alla linea. È la linea che
determina l'organizzazione, benché ovviamente l'organizzazione sia la
condizione necessaria per attuare la linea. È la linea che decide di
quale organizzazione abbiamo bisogno oggi, non viceversa.

La classe operaia ha bisogno di un partito comunista. Questa è la prima
lezione che ci deve essere chiara e che deriva sia dall'esperienza
storica sia dall'analisi della società capitalista. La classe operaia ha
bisogno di un partito comunista perché il ruolo del partito comunista
non può essere assolto dalla classe nel suo complesso. Solo
l'avanguardia della classe operaia si organizza nel partito. La crisi
della forma-partito di cui tanto parlano i sociologi e i politologi
borghesi e i loro seguaci della sinistra borghese (Negri e negrini in
testa), è la crisi dei partiti riformisti e borghesi del vecchio regime.
La crisi di quei partiti non è la causa dei mali, l'evento da piangere,
il guasto a cui porre rimedio: è un aspetto della crisi del vecchio
regime. Il riformismo è in crisi perché la crisi generale impedisce che
le masse possano strappare nuove riforme se non in un movimento
rivoluzionario per il quale i partiti riformisti sono inadatti: da qui
la crisi dei partiti riformisti che hanno perso il terreno oggettivo (le
riforme reali che nel periodo del capitalismo dal volto umano venivano
effettivamente strappate) su cui erano costruite le loro fortune. I
partiti del regime DC sono in crisi perché tutto il regime è in crisi.
Esso era il regime della conciliazione degli interessi (25) ed è in
crisi come in tutti i paesi imperialisti sono in crisi i regimi che
avevano ben impersonato il dominio della borghesia nel periodo della
ripresa e dello sviluppo, i regimi impostisi alla fine della Seconda
guerra mondiale. Oggi sono all'ordine del giorno le forze borghesi che
si candidano a promotrici della mobilitazione reazionaria delle masse,
benché alle loro fortune si oppongano ancora sia l'arretratezza delle
forze rivoluzionarie sia la paura che tutta la borghesia ha della
mobilitazione reazionaria, avendo ripetutamente sperimentato che essa
può trasformarsi in mobilitazione rivoluzionaria.

La linea generale del futuro partito comunista deriva dall'analisi della
situazione che sopra abbiamo richiamato trattando della forma della
rivoluzione proletaria e che nella rivista _Rapporti Sociali_ è stata da
più lati illustrata e che i CARC hanno ampiamente propagandato.(26) Essa
può essere formulata nel modo seguente: "Unirsi strettamente e senza
riserve alla resistenza che le masse popolari oppongono e opporranno al
progredire della crisi, comprendere e applicare le leggi secondo cui
questa resistenza si sviluppa, appoggiarla, promuoverla, organizzarla e
far prevalere in essa la direzione della classe operaia fino a
trasformarla in lotta per il socialismo, adottando come metodo
principale di lavoro e di direzione la linea di massa".(27)

25. Sulla natura del regime DC rimandiamo a _Il fiasco del 27 marzo
'94_, in _Rapporti Sociali_ n. 16, inverno 1994-1995.
(http://www.nuovopci.it/scritti/RS)

26. _ La linea generale del partito_, in _F. Engels/10, 100, 1000 CARC
per la ricostruzione del partito comunista_, 1995, Edizioni Rapporti
Sociali. http://www.carc.it/index.php?view=article&id=865

27. Da _Lo Statuto dei CARC_, 1997, Edizioni Rapporti Sociali, pag. 9.
(http://www.carc.it)

28. Le formule esprimono il concetto, ma il concetto non è interamente
in nessuna formula. Se rendiamo la formula autonoma dal concetto,
facciamo quello che fanno i giuristi borghesi rispetto alle formule
delle Costituzioni, dei Codici, ecc., con il risultato che ogni giurista
e ogni organismo fa dire cose diverse a una stessa formula. Se si
scorrono le pubblicazioni dei CARC, si trovano via via formulazioni un
po' diverse della linea generale del partito comunista, usate per
esprimere lo stesso concetto. Con esse via via si cerca di esprimere
meglio il concetto, di tenere meglio conto nella formula di un aspetto
del concetto che è diventato nella pratica importante, si pone cura ad
elaborare ogni volta una formula comprensiva di più aspetti, più esatta,
più esauriente.

Questa linea è stata formulata anni fa, la prima formulazione risale al
1992 (28) e non ha finora incontrato serie obiezioni da parte di nessuna
delle FSRS del nostro paese. Possiamo ritenere che sia universalmente
accettata, o si tratta di uno di questi casi in cui si continua da una
parte a dire che "bisogna fare un serio dibattito teorico e politico" e
dall'altra ci si guarda bene sia dal produrre qualcosa sia dall'entrare
in merito a quanto da altri prodotto? È comunque certo che nessuna FSRS
ha avanzato altre proposte di linea generale per il futuro partito
comunista.

Abbiamo anche ripetutamente detto che nessuna FSRS, e in particolare
nemmeno i CARC che questa linea hanno formulato e propagandano, erano in
grado di attuare questa linea stante la qualità, la natura delle forze
in questione (quindi a prescindere da fattori quantitativi che possono
per un tempo più o meno lungo valere anche per il nuovo partito
comunista). In cosa consiste la qualità che, mancando alle FSRS,
impedisce loro di applicare la linea generale del futuro partito
comunista se non in limiti ristretti e monchi? Non è la composizione di
classe, perché il partito comunista lotterà per organizzare nelle sue
file la parte d'avanguardia della classe operaia, ma la composizione di
classe del partito alla sua fondazione avrà sicuramente dei limiti che
solo con la lotta verranno superati.(29)

29. Tra le FSRS italiane vi sono alcuni che sostengono che il nuovo
partito comunista deve fin dall'inizio avere tra i suoi membri folti e
rappresentativi gruppi di operai dei maggiori centri produttivi del
paese.

Se questi compagni pensano che il nuovo partito comunista debba nascere
dal confluire e dal mandato di varie organizzazioni operaie attuali
(come "sponda politica" di COBAS, SLAI-COBAS, ecc.), come all'inizio del
secolo il partito laburista inglese nacque per mandato e come "braccio
politico" delle Trade Unions e come nell'ultimo quarto del secolo scorso
alcuni partiti socialisti, compreso il PSI, nacquero dalle società
operaie di mutuo soccorso e da altri organismi di difesa della classe
operaia, essi "vogliono riportare indietro l'orologio della storia".

Se invece vogliono che si formino folti e rappresentativi gruppi di
operai comunisti prima che si costituisca il partito comunista, la loro
è una pretesa arbitraria, simile a quella dei compagni che vogliono un
partito che nasca già riconosciuto dalle masse come loro direzione.
Questa pretesa contrasta sia con l'esperienza del movimento comunista
internazionale sia con il concreto sviluppo del movimento comunista nel
nostro paese. È una pretesa arbitraria che porta a rinviare a tempo
indeterminato la costituzione del partito comunista che è oggi
necessaria e possibile.

Noi condividiamo invece pienamente la tesi che la formazione di folti e
rappresentativi gruppi di operai comunisti trasformerà il nuovo partito
comunista e lo porterà a un livello al cui raggiungimento i nostri
attuali modesti inizi avranno contribuito.

Noi riteniamo che la qualità che distingue il partito comunista dalle
FSRS è un insieme di caratteristiche la principale delle quali consiste
in questo: il partito comunista è un partito clandestino, ma non è una
società segreta. Vedremo di spiegare nel seguito il senso e le ragioni
di questa nostra tesi.

Il nuovo partito comunista ha il compito strategico di essere il centro
dell'accumulazione delle forze rivoluzionarie: partito, fronte,
esercito. Il suo compito è la raccolta e l'impiego delle forze
proletarie nella corsa alla mobilitazione rivoluzionaria perché
sopravanzi la mobilitazione reazionaria (o nella trasformazione della
mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria), nella guerra
popolare rivoluzionaria di lunga durata, nella guerra civile che è la
sintesi della lotta delle masse popolari contro la borghesia
imperialista. La classe operaia per porsi come classe che lotta in
proprio per il potere deve porsi come contendente, forza politica sul
terreno della guerra civile (sia che la situazione che dovremo
affrontare abbia per intero la forma di una guerra civile, sia che abbia
anche la forma di una guerra tra gruppi e Stati imperialisti).(30)

30. In proposito v. _Rapporti Sociali_ n. 4, 1989, pagg. 26-31.

(http://www.nuovopci.it/scritti/RS)

Per condurre alla vittoria l'accumulazione delle forze rivoluzionarie
abbiamo bisogno di un partito che sia fondato sulla classe operaia, che
abbia come suo obiettivo l'instaurazione del potere della classe operaia
e l'eliminazione di quello della borghesia imperialista, che subordini
tutto a questo obiettivo, che selezioni e formi i suoi membri, i suoi
dirigenti, le sue organizzazioni e le sue relazioni con le masse in
funzione di questo obiettivo, che sia capace di resistere alla
controrivoluzione preventiva e all'aggressione scatenati dalla
borghesia, che faccia tesoro dell'esperienza dei 150 anni di storia del
movimento comunista, che impari dai successi e dalle sconfitte della
rivoluzione proletaria, che abbia quindi come teoria guida il
marxismo-leninismo-maoismo.

Il partito deve quindi essere libero dal controllo della borghesia. Non
può vivere e operare nei limiti che la borghesia consente, come un altro
tra i partiti della società borghese. I rapporti tra i gruppi
imperialisti (e tra le rispettive forze politiche) appartengono a una
categoria diversa da quella a cui appartengono i rapporti tra le masse
popolari (e la classe operaia che ne è la sola potenziale classe
dirigente) e la borghesia imperialista: sono rapporti che si sviluppano
secondo leggi diverse. Quelli che in un modo o in un altro si ostinano a
considerare questi rapporti come rapporti dello stesso ordine, soggetti
alle stesse leggi, o cadono nel politicantismo borghese (parlamentare o
affine) o nel militarismo, infatti l'accordo alle spalle delle masse e
la guerra imperialista sono le due forme alterne con cui i gruppi
imperialisti trattano i rapporti tra loro.

Questo vuol dire che la classe operaia (e la sua espressione politica,
il partito comunista) non è comunque condizionata dalla borghesia? No.
Vuol dire che il partito comunista non poggia la sua possibilità di
operare sulla tolleranza della borghesia, che il partito assicura la
propria possibilità di esistere e operare _nonostante_ la borghesia
faccia ricorso alla controrivoluzione preventiva, che il partito, grazie
alla sua analisi materialista dialettica della situazione e ai suoi
legami con le masse, precede le misure della controrivoluzione
preventiva volgendole a proprio favore. Vuol dire che il partito è
condizionato dalla borghesia come in una guerra ognuno dei contendenti è
condizionato dall'altro e condizionato in ogni fase della guerra secondo
il rapporto delle forze in quella fase (difensiva strategica, equilibrio
strategico, offensiva strategica), ma non soggetto alle sue leggi e al
suo Stato, come lo sono le masse in condizioni normali.

Fin dal suo inizio il movimento comunista (31) ha chiaramente indicato
che la classe operaia avrebbe preso il potere solo tramite una
rivoluzione.

Successivamente tutte le affermazioni dei socialisti e dei revisionisti
sulla via pacifica, democratica, parlamentare al socialismo sono state
nei fatti smentiti dalla borghesia stessa che, come F. Engels già nel
1895 aveva ben indicato, non ha avuto alcuno scrupolo a "sovvertire la
sua legalità", ogni volta che questa non assicurava la continuità del
suo potere. La partecipazione alle elezioni e in generale a una serie di
altre normali attività della società borghese, cui le organizzazioni
operaie partecipano in quanto libere associazioni tra le altre, sono
stati strumenti utili per affermare l'autonomia della classe operaia, ma
da quando è iniziata l'epoca della rivoluzione proletaria si sono
trasformati in catene controrivoluzionarie ogni volta che sono stati
presi per strumenti per la conquista del potere.(32)

31. K. Marx-F. Engels, _L'ideologia tedesca_, 1845-1846, in Opere, vol.
5.

http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1846/ideologia

32. Questo concetto è ben illustrato in Stalin, _Principi del
leninismo_, 1924.

http://www.bibliotecamarxista.org/stalin/prindellen.htm

L'instaurazione della controrivoluzione preventiva come cuore dello
Stato borghese moderno
(http://www.nuovopci.it/scritti/mpnpci/01_03_03_contrivol_prev.html)
rende sistematico l'impegno della borghesia a prevenire e impedire lo
sviluppo del movimento comunista, prima di doverne reprimere il
successo. Che quindi la conquista del potere da parte della classe
operaia debba realizzarsi per via rivoluzionaria, non è una novità. Ciò
che è nuovo, è che da quando la conquista del potere da parte della
classe operaia è storicamente all'ordine del giorno, la direzione della
sua lotta per il potere, cioè il partito comunista, deve essere una
struttura libera dal controllo della borghesia e dei suoi sistemi di
controrivoluzione preventiva, cioè deve essere un partito clandestino.

La classe operaia non può combattere vittoriosamente la borghesia
imperialista, non può porsi come suo contendente nella lotta per il
potere, non può condurre l'accumulazione delle forze rivoluzionarie fino
a rovesciare l'attuale sfavorevole rapporto di forza con le forze della
reazione, se ha una direzione che sottostà alle leggi e al potere della
borghesia.

Non si tratta solo di avere un apparato illegale. Questo lo avevano già
tutti i partiti della Terza Internazionale: faceva parte delle
condizioni per essere ammessi nell'Internazionale Comunista, era la
terza delle 21 condizioni, approvate dal II Congresso (17 luglio - 7
agosto 1920). Essa diceva: "In quasi tutti i paesi d'Europa e d'America
la lotta di classe entra in un periodo di guerra civile. In queste
condizioni i comunisti non possono fidarsi della legalità borghese. Essi
devono creare ovunque, accanto all'organizzazione legale, un organismo
clandestino, capace di assolvere nel momento decisivo al suo dovere
verso la rivoluzione. In tutti i paesi in cui, a causa dello stato
d'assedio o di leggi d'eccezione, i comunisti non possono svolgere
legalmente _tutto_ il loro lavoro, essi devono senza alcuna esitazione
combinare l'attività legale con l'attività illegale".

L'esperienza della rivoluzione proletaria durante la prima crisi
generale del capitalismo (1900-1945) ha mostrato che i paesi in cui i
partiti comunisti possono svolgere _tutto_ il loro lavoro legalmente, se
il loro lavoro ha successo nonostante la controrivoluzione preventiva,
si trasformano in paesi in cui i partiti comunisti non possono svolgere
il loro lavoro legalmente. Nei paesi dove la borghesia imperialista non
aveva la forza per operare autonomamente questa trasformazione (ad es.
la Francia degli anni '30), essa ha preferito l'aggressione e
l'occupazione straniera purché questa trasformazione si attuasse. La
lotta di classe è entrata in un periodo di guerra civile dovunque la
classe operaia non ha rinunciato alla lotta per il potere, quindi essa
deve condurre la sua lotta per il potere come una guerra civile e i
partiti comunisti, dovunque vogliono restare tali, non possono e non
devono "fondarsi della legalità borghese". I partiti comunisti hanno
potuto svolgere legalmente, alla luce del sole _tutto_ il loro lavoro
solo dove la classe operaia deteneva già il potere: nei paesi socialisti
e nelle basi rosse.

L'esperienza ha mostrato che avere un organismo clandestino che entri in
azione "nel momento decisivo" non basta a rendere i partiti comunisti
capaci di dirigere con successo le masse e nemmeno a evitare la loro
decapitazione e decimazione. L'accumulazione e la formazione delle forze
rivoluzionarie deve avvenire "in seno alla società borghese", ma per
forza di cose avviene gradualmente. Essa quindi non può avvenire
legalmente. Il partito deve evitare, con una conduzione tattica
adeguata, di essere costretto a uno scontro decisivo finché le forze
rivoluzionarie non sono state accumulate fino ad avere raggiunto la
superiorità su quelle della borghesia imperialista. Non basta quindi
creare un organismo clandestino "accanto all'organizzazione legale". È
il partito che deve essere clandestino, è l'organizzazione clandestina
che deve dirigere l'organizzazione legale e assicurare comunque la
continuità e la libertà d'azione del partito. Il partito comunista deve
essere un partito clandestino e dalla clandestinità muovere tutti i
movimenti legali che sono necessari e utili alla classe operaia, al
proletariato e alle masse: questa è la lezione della prima ondata della
rivoluzione proletaria.

L'esperienza ha dimostrato che i partiti comunisti per adempiere con
successo al loro compito devono "combinare l'attività legale con
l'attività illegale" nel senso preciso

che l'attività illegale dirige ed è fondamento e direzione dell'attività
legale,

che l'attività illegale è principale e l'attività legale è ad essa
subordinata,

che l'attività illegale è assoluta e l'attività legale condizionata,
relativa al rapporto delle forze tra classe operaia e borghesia
imperialista, relativa alle decisioni che la classe dominante reputa
convenienti per se stessa.

L'esperienza ha altresì dimostrato che questo preciso genere di
combinazione di attività illegale con l'attività legale non deve essere
fatta dai partiti comunisti solo nei paesi in cui "a causa dello stato
d'assedio o di leggi d'eccezione" la borghesia ha limitato l'attività
legale, ma deve essere fatta in ogni paese, prima che la borghesia metta
in atto stati d'assedio o leggi d'eccezione, prima che imponga
all'attività politica del proletariato limiti legali più ristretti di
quelli che impone ai singoli gruppi della classe dominante o comunque
imponga limiti più ristretti di quelli vigenti. La borghesia
imperialista impone in ogni caso all'attività politica della classe
operaia, del proletariato, delle masse popolari limiti di fatto che i
membri della classe dominante non hanno (limiti di tempo, di danaro, di
spazi, di cultura, accesso alle armi, ecc.) e che fanno sì che per la
stragrande maggioranza delle masse popolari anche gran parte dei diritti
riconosciuti legalmente restino una presa in giro, diritti sulla carta.

La terza delle 21 condizioni di ammissione alla Terza Internazionale era
stata formulata per avviare la trasformazione in partiti bolscevichi
(bolscevizzazione) dei vecchi partiti socialisti che, come il PSI,
avevano aderito all'Internazionale Comunista perché così lo comportava
il vento che tirava tra le masse, ma restavano assolutamente inadeguati
a svolgere la funzione di direzione delle masse nel movimento
rivoluzionario del loro paese.(33) Era stata introdotta per correggere
la "insufficienza rivoluzionaria" dei vecchi partiti socialisti che
facevano la fila per aderire alla Terza Internazionale. Ma era stata
formulata in termini concilianti, con concessioni alle resistenze
presenti in questi partiti a trasformarsi in partiti adeguati ai compiti
dell'epoca. In conclusione l'esperienza ha dimostrato che la terza
condizione per l'ammissione alla Internazionale Comunista era
inadeguata. Nei paesi imperialisti i partiti comunisti che nacquero
facendola propria si dimostrarono incapaci di far fronte ai propri
compiti, anche per la concezione riduttiva, subordinata dell'azione
clandestina che in essi permase e che la terza condizione recepisce.(34)


33. Si veda in proposito il _Programma de_ L'Ordine Nuovo _e della
sezione socialista torinese_, aprile 1920.
http://www.nuovopci.it/classic/gramsci/perinps.htm

34. Basta che un partito comunista sia clandestino perché possa svolgere
con successo il suo compito? Ovviamente no. Il fattore principale del
successo di un partito comunista è la sua linea politica. Se la linea
politica è sbagliata, la struttura clandestina non salverà il partito
dalla sconfitta. Tuttavia la struttura clandestina renderà meno
difficile al partito tirare la lezione delle sconfitta e correggere la
linea.

Il successo del partito comunista in definitiva dipende dal suo legame
con le masse: una linea giusta sviluppa il legame con le masse, una
linea sbagliata riduce il legame con le masse, lo ostacola. Se un
partito comunista clandestino mantiene una linea sbagliata, alla lunga
non riuscirà neanche a conservarsi come partito clandestino e sarà
sconfitto anche su questo terreno, perché la clandestinità del partito
comunista non è principalmente il frutto della applicazione di una
tecnica, ma può essere conservata solo grazie al legame con le masse, al
sostegno che il partito riceve dalle masse, cioè alla linea giusta del
partito.

35. Parliamo del Partito comunista cinese fino al 1927.

Ne segue che concepire l'azione del partito comunista come un'azione
strategicamente legale, considerare la legalità come la regola e la
clandestinità come l'eccezione che entra in azione nei momenti
d'emergenza, non prevenire il momento in cui la borghesia cerca di
stroncare il partito, non costruire il partito in vista e in funzione
della guerra civile, è non conformarsi alle leggi della rivoluzione
proletaria. I partiti comunisti che si sono comportati in questa maniera
(da quello italiano a quello cinese,(35) tedesco, spagnolo, indonesiano,
cileno, ecc. ecc.) hanno pagato dure lezioni.

La clandestinità non impedisce di sviluppare un'ampia azione legale
nella misura in cui le condizioni lo comportano, anzi rende possibile
ogni genere di azione legale, anche le attività meno "rivoluzionarie",
che diventano strumento per legare organizzativamente al campo della
rivoluzione le parti più arretrate delle masse popolari e influenzarle.
D'altra parte la clandestinità non si improvvisa e un partito costruito
per l'attività legale o principalmente per l'attività legale e che
subisce l'iniziativa della borghesia, difficilmente è in grado di
reagire efficacemente all'azione della borghesia che lo mette fuori
legge, che lo perseguita. Un partito legale non è inoltre in grado di
resistere efficacemente alla persecuzione, all'infiltrazione, alla
corruzione, all'intimidazione, ai ricatti, alle azioni terroristiche
della controrivoluzione preventiva, della "guerra sporca", della "guerra
di bassa intensità" e del resto dell'arsenale di cui si è munita la
borghesia imperialista per opporsi all'avanzata della rivoluzione
proletaria. Un partito legale non è in grado di raccogliere e formare le
forze rivoluzionarie che il movimento della società genera gradualmente
e di impegnarle via via nella lotta per aprire l'ulteriore strada al
processo rivoluzionario, in questo modo addestrandole e formandole.

Il partito comunista deve quindi essere una direzione clandestina, deve
essere un partito che si costruisce dalla clandestinità e che dalla
clandestinità tesse la sua "tela di ragno" e muove la sua azione di ogni
genere in ogni campo. Deve essere un partito che è strategicamente
clandestino (quindi ha sempre il suo retroterra strategico clandestino),
ma destina una parte dei suoi membri a svolgere compiti nella lotta
politica legale, nel lavoro legale di mobilitazione delle masse e crea
tutte le strutture legali che la situazione consente di creare. Il
rapporto numerico tra le due parti varia a secondo delle situazioni
concrete; attualmente e per un tempo ancora indeterminato nel nostro
paese sarà decisamente a favore della parte legale.

Il nuovo partito comunista italiano deve avere una direzione strategica
clandestina, ma attualmente la classe operaia e le masse svolgono la
stragrande maggioranza della loro attività politica, economica e
culturale non clandestinamente e sono pochi i lavoratori disposti a
impegnarsi in un lavoro clandestino. L'attività di difesa e di attacco
dei lavoratori si svolge oggi in gran parte alla luce del sole, con
attività legalmente tollerate dalla borghesia, scoraggiate e ostacolate
ma non vietate. È del tutto inconsistente ogni tentativo (fatto con
l'esempio e/o con la propaganda) di indurre gli operai e le masse
popolari ad abbandonare questo terreno (in questo vano tentativo
consistette la deviazione militarista delle Brigate Rosse). Ogni
tentativo in questo senso porta solo a lasciare campo libero ai
revisionisti, agli economicisti, ai borghesi. Solo man mano che la
borghesia impedirà lo svolgimento legale delle attività politiche e
culturali che le masse sono abituate a svolgere legalmente, metterà
fuori legge, perseguiterà, ecc. (ed è sicuro che arriverà a tanto: basta
vedere i "progressi" che già ha fatto su questa strada per quanto
riguarda la libertà di sciopero, l'espressione del pensiero e la
propaganda, la rappresentanza nelle assemblee elettive; la borghesia non
ha altra strada, benché per esperienza ne conosca i pericoli e faccia
mille sforzi per non imboccarla), solo man mano che i progressi
dell'azione del partito comunista, della classe operaia e delle masse
popolari, la loro resistenza organizzata al procedere della crisi e alla
guerra di sterminio che la borghesia imperialista conduce contro di
esse, avrà suscitato una controrivoluzione potente alla quale però il
partito saprà tener testa, solo allora, sulla base della loro
esperienza, la classe operaia, il proletariato e le masse popolari
sposteranno una parte crescente delle loro lotte e delle loro forze
nella guerra, che solo allora diventerà la forma principale in cui esse
potranno esprimersi e nella quale il partito sarà in grado di dirigerle
vittoriosamente.

Il PCd'I nei primi anni venti aveva un apparato clandestino, ma non la
direzione clandestina; nel 1926 subì la messa fuori legge; divenne
clandestino perché costretto; perdette la direzione (Antonio Gramsci);
ancora nel luglio '43 non approfittò del crollo del fascismo per
costruire un esercito; si basò sull'alleanza con i partiti democratici
per un passaggio pacifico dal fascismo ad un nuovo regime borghese; nel
settembre '43 lasciò disperdere il grosso dell'esercito costituito da
proletari in armi perché non era ancora in grado di dare ad essi una
direzione concreta e non approfittò del vuoto di potere e del materiale
militare che la fuga del re e di gran parte degli alti ufficiali aveva
messo a disposizione di chi sapeva approfittarne. Solo nei mesi
successivi metterà la guerra al primo posto, creerà le proprie
formazioni armate antifasciste e antinaziste e costringerà a seguirlo su
questo terreno tutte le altre forze politiche che non vogliono perdere i
contatti con le masse e vogliono avere un ruolo nel dopoguerra.

Il KPD (Partito comunista tedesco) nel corso degli anni '20 tentò varie
insurrezioni (non casualmente fallite) e nel 1933 lasciò arrestare la
direzione (Ernst Thaelmann); mantenne organizzazioni clandestine, ma non
riuscì a mobilitare sul piano della guerra né gli operai comunisti
(benché il KPD avesse avuto 5 milioni di voti alle ultime elezioni nel
1933), né gli operai socialdemocratici, né gli ebrei e le altre parti
della popolazione che pure erano perseguitati a morte dai nazisti.

Il PCF (Partito comunista francese) nel 1939 (il governo francese
dichiarò guerra alla Germania il 1° settembre) si trovò in condizioni
tali che migliaia di suoi membri vennero arrestati dal governo francese
assieme a migliaia di altri antifascisti e l'organizzazione del partito
saltò quasi interamente. M. Thorez, segretario del PCF, rispose alla
chiamata alle armi! All'inizio del giugno 1940 il PCF "chiese" al
governo Reynaud di armare il popolo contro le armate naziste che dal 10
maggio dilagavano in Francia e ovviamente la risposta fu il decreto del
governo "francese" che intimava a ogni "francese" che possedeva armi da
fuoco di consegnarle ai commissariati. Solo dal luglio 1940 in avanti,
dopo che i contrasti tra i gruppi imperialisti francesi erano sfociati
in guerra civile tra essi (il Proclama di De Gaulle da Londra è del 18
giugno 1940), il PCF ricostruirà con eroismo e tenacia la sua
organizzazione e solo a partire dal 1941 un po' alla volta assumerà la
guerra rivoluzionaria come forma _ principale_ di attività.

Da tutta questa esperienza storica, che lezione dobbiamo trarre? Che
oggi dobbiamo costruire il nuovo partito comunista a partire dalla
clandestinità. La clandestinità è una questione strategica, non tattica.
È una decisione che dobbiamo prendere oggi per essere in grado di far
fronte ai nostri compiti di oggi e a quelli di domani. La guerra
popolare rivoluzionaria di lunga durata è la strategia del nostro
movimento comunista e oggi è l'aspetto dirigente della nostra attività.
Le lotte pacifiche sono un aspetto della tattica del movimento comunista
e oggi sono l'aspetto più diffuso dell'attività delle masse. Non
dobbiamo subire l'iniziativa della borghesia, né aspettare che la
mobilitazione delle masse ci abbia preceduto. Dobbiamo prendere
l'iniziativa, precedere la borghesia e predisporre le nostre attuali
piccole forze in modo che siano in grado di accogliere, organizzare e
dirigere alla lotta le forze che il corso della crisi generale del
capitalismo produce _di per sé_ tra le masse, ma con fertilità che sarà
accresciuta dalla giusta attività del partito comunista.

Lenin creò un centro stabile e inattaccabile dalla polizia zarista per
l'attività del partito nell'impero russo, venendo in Europa quando
ancora poteva viaggiare. Non attese di essere costretto alla
clandestinità dall'avversario. Dal punto di vista operativo, è meno
difficile impiantarsi nella clandestinità quando si è ancora legali, che
quando si ha già la polizia alle calcagna e si è stati sorpresi
dall'iniziativa dell'avversario.

Dobbiamo iniziare dall'esempio del grande Lenin di cui la storia ha
confermato la giustezza e adattarlo alla nostra condizione.

Quanto abbiamo fin qui detto dovrebbe bastare a tracciare chiaramente la
discriminante tra da una parte l'impresa a cui lavoriamo e a cui
chiamiamo tutte le FSRS a lavorare e dall'altra tutti i progetti di
"partiti rivoluzionari nei limiti della legge".

Dovrebbe bastare anche a tracciare una discriminante tra questa impresa
e le varie _società segrete _che vivono e operano nel nostro paese. Vale
tuttavia la pena aggiungere qualche parola su questo argomento. Dopo le
sconfitte subite dalle Brigate Rosse all'inizio degli anni '80, la linea
della "ritirata strategica" non ha portato alla autocritica della
deviazione militarista che aveva generato la sconfitta e alla raccolta
delle forze per la ricostruzione del partito comunista,(36) ma alla
nascita di un certo numero di "società segrete". In quell'epoca la
borghesia cercava di consolidare la sua vittoria e la destra del
"movimento" con alla testa Negri e negrini, che ne rappresenta gli
interessi, era per la liquidazione dell'organizzazione rivoluzionaria e
il ritorno alla "lotta legale". Ciò che la borghesia cercava di ottenere
con le persecuzioni, con le torture, con il regime carcerario speciale e
con i premi a delatori ("pentiti" o "dissociati"), la destra costituita
dai vari promotori della dissociazione, lo rafforzava con la linea della
liquidazione dell'attività e dell'organizzazione clandestina. Va dato
atto ai compagni che hanno costituito le società segrete di essersi
opposti alla destra e alla liquidazione dell'organizzazione
rivoluzionaria. Questo è il lato positivo della loro azione. Il lato
negativo è comprovato praticamente dalla generale sterilità della loro
attività: questa deriva dal fatto che il movimento comunista ha bisogno
del partito comunista, non della società segreta. Già Marx ed Engels
negli anni '40 del secolo scorso avevano affrontato e risolto questo
problema su cui ora bisogna tornare. La critica di Marx ed Engels alla
società segreta come forma organizzativa è riassunta nella conclusione
del _Manifesto del partito comunista_: "I comunisti disdegnano di
nascondere le loro opinioni. Essi dichiarano apertamente che i loro
scopi non possono essere raggiunti che con l'abbattimento violento di
ogni ordinamento sociale esistente". I tratti caratteristici e
distintivi della società segreta sono che la sua esistenza è nota solo
ai membri, che i membri stessi sono iniziati per livelli (livelli di
iniziazione) alla conoscenza degli obiettivi, delle concezioni, dei
metodi, della struttura e della direzione della società. Una struttura
di questo genere è stata ed è adatta ad aggregare attorno a un capo o a
un gruppo ristretto una cerchia di persone ognuna delle quali ha un
interesse personale alla protezione e in generale ai vantaggi che la
società segreta offre ai suoi membri. Che una struttura del genere fosse
adatta alla borghesia per la concorrenza cui deve partecipare e che
fosse adeguata anche alla protezione degli addetti ad alcuni mestieri
finché restavano un gruppo ristretto i cui membri si assicuravano mutua
protezione, è un dato dell'esperienza storica oltre che un risultato a
cui si può pervenire riflettendo sui rapporti sociali reali (sulle
"costituzioni materiali") nelle due situazioni indicate. È però
altrettanto evidente che non è una forma adatta a raccogliere e formare
le forze rivoluzionarie che si conteranno, e si dovranno contare, a
milioni e a sollevare alla lotta politica una classe che i correnti
rapporti sociali della società borghese escludono dalla attività
politica. Va ricordato che i rapporti sociali materiali (effettivi)
della tarda società feudale europea non escludevano la borghesia
dall'attività politica, per la quale infatti la borghesia disponeva di
tempo, di risorse materiali e di cultura. La escludevano le leggi e le
consuetudini del mondo politico che riservavano le attività politiche ai
nobili e al clero, non la escludevano le relazioni sociali, la società
civile. Nella società borghese invece i rapporti sociali reali escludono
dall'attività politica, legalmente dichiarata accessibile a tutti,
proprio gli operai e il grosso del resto delle masse popolari, perché li
privano del tempo, dei mezzi e della cultura necessari a prendervi
effettivamente parte: la partecipazione è limitata agli individui capaci
individualmente di uno sforzo particolare come i membri del partito
comunista. Quindi il partito comunista è un partito del tutto
particolare.

36. Su questo tema vedere CARC, _F. Engels/10, 100, 1000 CARC per la
ricostruzione del partito comunista_, 1995, Edizioni Rapporti Sociali
(http://www.carc.it/index.php?option=com_content&view=article&id=865) e
Pippo Assan, _Cristoforo Colombo_, Edizioni della vite, 1988 Firenze.

(http://www.nuovopci.it/scritti/cristof/indlibr.htm [12])

Marx ed Engels entrarono nella Lega dei Giusti (che poi divenne Lega dei
Comunisti) all'inizio del 1847 dopo che i suoi membri si convinsero ad
eliminare i tratti della società segreta. La lotta contro le società
segrete è stata una costante di Marx ed Engels anche negli anni
successivi. Nella lettera a F. Bolte del 23 novembre 1871, nel pieno
della lotta contro la società segreta fondata da Bakunin
nell'Internazionale, Marx arriva ad affermare "L'Internazionale fu
fondata per mettere al posto delle sette socialiste o semisocialiste, la
vera organizzazione di lotta della classe operaia. ... Lo sviluppo delle
sette socialiste e quello del vero movimento operaio sono sempre in
proporzione inversa. Sino a che le sette hanno una giustificazione
(storica), la classe operaia non è ancora matura per un movimento
storico indipendente. Non appena essa giunge a questa maturità, tutte le
sette diventano essenzialmente reazionarie. ... La storia
dell'Internazionale è stata una costante lotta del Consiglio generale
contro le sette ...". La struttura della società segreta è
inconciliabile con la raccolta ampia delle forze della classe operaia,
del proletariato, delle masse popolari attorno al partito comunista, è
inconciliabile con il centralismo democratico come principio
organizzativo del partito. Il partito comunista è vitalmente interessato
a far conoscere alle masse più ampie possibile la sua esistenza, il suo
programma, il suo statuto, i suoi orientamenti, le sue linee
particolari: esso non lotta per prendere in mano il potere esso stesso,
lotta perché la classe operaia prenda il potere e per costruire uno
Stato "in via di estinzione", cioè in cui il governo delle masse da
parte delle masse popolari stesse abbia la massima estensione possibile.
Nel libro _Che fare?_ Lenin difende la necessità di un partito
clandestino di cui i rivoluzionari di professione sono una componente
essenziale: ma il progetto che egli delinea non ha nulla a che vedere
con una società segreta.

Noi possiamo e dobbiamo riconoscere i meriti che le società segrete
hanno avuto negli anni '80 come raccolta provvisoria di compagni che la
sconfitta aveva lasciato senza orientamento e in condizioni
organizzativamente molto deboli. Ma proprio la mancanza di risultati di
rilievo dell'attività da esse svolta da allora a questa parte conferma a
ogni compagno l'incompatibilità delle società segrete con il movimento
comunista e, quello che più ci importa chiarire, la differenza tra il
partito comunista clandestino e una qualunque società segreta.

Quale è la fonte principale delle forze di un partito comunista? Le
masse. E come possono le masse conferire la loro forza a un partito di
cui ignorano non solo il programma e gli orientamenti, ma addirittura
l'esistenza? La concezione del partito come società segreta deriva da
una concezione del mondo che sottovaluta le potenzialità rivoluzionarie
delle masse (l'attività della società segreta deve sostituire le masse
popolari e compiere l'attività che esse dovrebbero svolgere ma non
svolgono) e sopravvaluta la forza della borghesia (essa sarebbe in grado
di controllare completamente le masse, con i mass media e con i servizi
segreti, di annullare l'effetto dell'esperienza dello sfruttamento come
fonte della coscienza degli operai e dei membri delle altre classi
oppresse e fruttate: le tesi sulla sussunzione reale totale della
società nel capitale espongono questa concezione che legittima le
società segrete). La società segreta deriva da una concezione che, come
quella militarista, pone la tecnica al primo posto; essa porta quindi i
rivoluzionari a scontrarsi con la borghesia sul suo terreno (le tecniche
delle operazioni segrete, i complotti, ecc.) su cui essa è più forte di
noi anziché a legarsi alle masse e a costringere la borghesia a
scontrarsi su un terreno che a noi è favorevole. Di conseguenza alla
lunga porta i rivoluzionari alla sconfitta.

Come il militarismo, la società segreta è insomma figlia di una
concezione del mondo interclassista: tutti totalmente sussunti nel
capitale e quindi moltitudine composta di individui. Sul terreno dello
scontro politico, questa concezione interclassista si esprime in questo:
la tecnica è la tecnica, è la stessa per ogni classe. La guerra tutte le
classi la fanno alla stessa maniera, dicono i militaristi; la
cospirazione e le operazioni clandestine tutte le classi le fanno alla
stessa maniera, dicono i seguaci delle società segrete. Noi invece
riteniamo che ogni classe combatte alla propria maniera, se vuole
vincere e la classe d'avanguardia, la classe operaia può costringere la
classe reazionaria, la borghesia imperialista a misurarsi sul suo
terreno perché nella guerra popolare rivoluzionaria non si tratta di un
gruppo imperialista che vuole strappare qualche ricchezza a un altro
gruppo imperialista, ma si tratta di conquistare la direzione delle
masse popolari, conquistandone il cuore.

Ci resta da affrontare un'ultima obiezione: è possibile costituire un
partito clandestino?

Noi siamo convinti che la costituzione di un partito comunista
clandestino è necessaria e possibile. La classe operaia ha avuto nel
passato partiti clandestini in varie circostanze: nella Russia zarista,
nella Cina coloniale e nazionalista, nell'Italia fascista, nella Germani
nazista e in molti altri paesi. I revisionisti moderni hanno alimentato
e alimentano l'immagine terroristica della borghesia onnipotente quando
hanno voluto togliere alla classe operaia uno strumento indispensabile
per la sua lotta rivoluzionaria. "Dio è dappertutto", "Dio vede tutto",
"Dio può tutto" dicono i preti; i portavoce della borghesia e i
revisionisti hanno sostituito queste vecchie frasi minatorie dei preti
con "La CIA vede tutto, è dappertutto, può tutto", "Non si muove foglia
che la CIA non voglia" e hanno promosso uno scalcinato carrozzone di
assassini, di spioni e di mercenari assetati di denaro e di carriera al
ruolo di Dio onnipotente! Se i movimenti rivoluzionari negli USA non
sono riusciti a svilupparsi, secondo loro la colpa è della CIA e della
FBI. Se le Brigate Rosse sono state sconfitte, è "merito dello Stato che
a un certo punto ha incominciato a combatterle sul serio". E così via.
L'onnipotenza della classe dominante è stato sempre un tema della
propaganda terroristica della stessa classe dominante (basti considerare
la letteratura sulla Mafia e sulle altre Organizzazioni Criminali) e una
giustificazione sia degli opportunisti sia degli sconfitti che non
vogliono riconoscere i propri errori e fare autocritica. Se la ferocia e
l'intelligenza delle classi dominanti potessero fermare il movimento di
emancipazione delle classi oppresse, la storia sarebbe ancora ferma allo
schiavismo. La società borghese è ricca di contraddizioni, ha in sé
tanti fattori di instabilità, il suo funzionamento è costituito da un
numero illimitato di traffici e di movimenti e per il suo funzionamento
la borghesia è costretta ad avvalersi delle masse che nello stesso tempo
calpesta: insomma è una società che più delle precedenti società di
classe presenta lati favorevoli all'attività delle classi oppresse, che
siano decise a battersi. La possibilità per un partito comunista di
costituirsi e operare clandestinamente dipende in definitiva dal suo
legame con le masse e questo a sua volta dipende dalla linea politica
del partito: se essa è o no conforme alle reali condizioni concrete
dello scontro che le masse stanno vivendo (pur avendone esse una
coscienza limitata). Questa è la chiave del successo o della sconfitta
di un partito comunista. Per quanto feroce e capillare sia la
controrivoluzione preventiva, essa non è mai riuscita a impedire la vita
e l'attività di un partito comunista che aveva una linea giusta e sulla
base di questa linea attingeva all'inesauribile serbatoio di energie e
di risorse di ogni genere costituito dalla classe operaia, dal
proletariato e dalle masse popolari. È quello che con tutte le nostre
forze cercheremo che sia anche il nuovo partito comunista italiano.

_Manchette_

I SEI GRANDI APPORTI DEL MAOISMO AL PENSIERO COMUNISTA

1. la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, strategia
universale della rivoluzione socialista;

2. la rivoluzione di nuova democrazia nei paesi semifeudali, componente
della rivoluzione proletaria;

3. la lotta di classe nella società socialista, mezzo indispensabile
per condurre avanti la transizione al comunismo;

4. la linea di massa, principale metodo di lavoro e di direzione del
Partito verso le masse popolari;

5. la lotta tra le due linee nel Partito, principio per lo sviluppo del
Partito e la sua difesa dall'influenza della borghesia;

6. il Partito e ogni suo membro è oggetto della rivoluzione (processo
di CAT) oltre che soggetto.

Per un'esposizione di dettaglio vedere _L'ottava discriminante_ in _ La
Voce_ n. 9 (novembre 2001), n. 10 (marzo 2002) e n. 41 (luglio 2012).
_La settima discriminante_ è illustrata nell'articolo omonimo di _La
Voce_ n. 1 (marzo 1999) ripubblicato su questo numero della rivista. Le
sei discriminanti del partito comunista rispetto ai revisionisti
moderni, alla sinistra borghese e agli sterili aborti del movimento
comunista (trotzkisti, bordighisti, "comunisti di sinistra", operaisti,
ecc.) sono illustrate nell'articolo _Le sei discriminanti e i quattro
problemi_ di _Rapporti Sociali_ n. 19 (agosto 1998)
(http://www.nuovopci.it/scritti/RS). Ricordiamo ai nostri lettori che
presso le Edizioni Rapporti Sociali (http://www.carc.it) sono
disponibili le _ Opere di Mao Tse-tung_.

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_ Per mettersi in contatto con il Centro del (n)PCI senza essere
individuati e messi sotto controllo dalla Polizia, una via consiste
nell'usare TOR [vedere _ http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html
[13]_], aprire una casella email con TOR e inviare da essa a una delle
caselle del Partito i messaggi criptati con PGP e con la chiave pubblica
del Partito [vedere _ http://www.nuovopci.it/corrisp/risp03.html [13]_].
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[10] http://www.nuovopci.it/voce/voce45/La_Voce_45w.zip
[11] http://www.laltralombardia.it/public/docs/confed5.html
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