Scusate se non siamo affogati <
http://www.youtube.com/watch?v=ZkF6MA5M8wg>
Il 23 ottobre 2013 abbiamo incontrato alcuni profughi siriani (A., M., H.)
che ci hanno raccontato di essere arrivati in Italia con l’imbarcazione che
aveva fatto naufragio l’11 ottobre 2013 nella zona Sar di Malta. Abbiamo
chiesto loro se volevano fare una video intervista e si sono detti
disponibili nel caso in cui avessimo trovato il modo di non renderli
riconoscibili, per la paura di ritorsioni nei confronti dei loro famigliari
o amici rimasti in Libia e in Siria. Li abbiamo dunque rincontrati il
giorno dopo e abbiamo girato queste immagini, che poi abbiamo montato
inserendo nel racconto di “Said”, nome inventato, altre immagini e
informazioni facilmente reperibili su internet e inerenti alla sua
narrazione.
Nel frattempo, è stata pubblicata la video
intervista<
http://espresso.repubblica.it/inchieste/2013/11/07/news/la-verita-sul-naufragio-di-lampedusa-quella-strage-si-poteva-evitare-1.140363>che
Fabrizio Gatti ha realizzato a Malta con Mohanad Jammo, il dottore
siriano che dalla stessa imbarcazione aveva fatto le telefonate di soccorso
alle autorità italiane a partire dalle 11 del mattino. Se i soccorsi
fossero partiti subito, il naufragio, avvenuto verso le 17, sarebbe stato
evitato e non sarebbero morte più di 250 persone, tra cui moltissimi
bambini<
http://gatti.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/10/30/i-bimbi-che-leuropa-ha-dato-in-pasto-ai-pesci/>
.
Quel naufragio, però, è avvenuto e dal racconto che ne danno ora i
sopravvissuti affiorano le cause e le responsabilità. Innanzitutto, gli
spari dell’imbarcazione libica che voleva fermare la nave con a bordo più
di 450 persone, in prevalenza profughi siriani. Guardie costiere libiche?
Non è dato saperlo: forse no, forse sì. “Forze illegali” afferma Mohanad
Jammo nell’intervista di Fabrizio Gatti, ma non è certo facile individuare
nella Libia in decomposizione quali siano tutti i possibili attori,
“legali” e “illegali”, dei controlli “anti-immigrazione”, mentre tanto
l’Unione europea nell’ambito della missione EUBAM (EU Border Assistance
Mission <
http://eeas.europa.eu/csdp/missions-and-operations/eubam-libya/>),
quanto l’Italia<
http://www.difesa.it/Primo_Piano/Pagine/20131030_Libia_addestramento.aspx>,
addestrano poliziotti libici per tali operazioni, tra cui quelle di blocco
delle imbarcazioni dei migranti lungo le coste libiche. La seconda causa:
un’assoluta indifferenza da parte delle autorità italiane dopo le numerose
telefonate di SOS. “Chiamate Malta” hanno risposto alle seconda telefonata
che giungeva dall’imbarcazione, la quale si trovava infatti nella zona Sar
di Malta ma molto più vicina all’isola di Lampedusa.
Che da anni ci sia un contenzioso
<
http://video.repubblica.it/dossier/emergenza-lampedusa-2010/il-risiko-dei-mari-le-zone-sar-italiana-e-maltese-a-confronto/65689/64232>tanto
su chi debba operare nella zona Sar (Search and Rescue, Ricerca e soccorso)
di Malta quanto sull’estensione della zona che Malta vuole mantenere e che
l’Italia le vorrebbe in parte sottrarre per interessi che nulla hanno a che
fare con il “soccorso” dei migranti quanto piuttosto con ragioni
economiche, doganali e di
petrolio<
http://www.meltingpot.org/Malta-mantiene-una-vasta-zona-Sar-per-sfruttare-il-petrolio.html#.Un__aeLOS0o>,
è cosa nota. Meno noto, forse, è il modo in cui effettivamente si opera o
non si opera in quella zona e l’indifferenza rispetto a una chiamata di
soccorso che in questo caso, ma in quanti altri?, avrebbe potuto evitare il
naufragio. A monte, un’ulteriore responsabilità, quella delle politiche
migratorie attraverso cui l’Ue e alcuni dei suoi stati membri, vertice dopo
vertice e naufragio dopo naufragio, si appropriano sempre più di un mare e
dei territori che stanno sull’altra sponda frapponendo infinite frontiere,
tra cui anche quella dell’omissione di soccorso, ai viaggi dei migranti.
Il racconto di “Said”, però, ci lascia intravedere anche dell’altro. Dopo
il mare, dopo il naufragio. Due giorni trascorsi sulla nave militare
italiana che aveva soccorso lui e altri 55 naufraghi, poi l’arrivo a Porto
Empedocle<
http://www.corriere.it/inchieste/dentro-tendone-vergogna-porto-empedocle/ff006d74-38c4-11e3-a22e-23aa40bc2aa7.shtml>e
la permanenza in una struttura chiusa qualche giorno fa e più volte
denunciata per l’ammasso in cui venivano lasciati uomini e donne lì
provvisoriamente parcheggiati, nessuna informazione sugli altri
sopravvissuti sparpagliati tra Malta e Lampedusa, nessuna informazione sul
luogo in cui fossero stati portati i bambini che durante l’operazione di
soccorso erano stati recuperati dalla stessa nave della Marina militare
italiana e che solo dopo tre settimane sono stati ricongiunti con i loro
genitori trasportati, invece, a Malta. E infine, la “farsa” delle impronte
digitali, con cui l’Italia racconta all’Europa il suo rispetto dei trattati
e dei regolamenti Ue, quello di Dublino
II<
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32003R0343:IT:NOT>,
in questo caso, costringendo alcuni con la forza a rilasciarle, come nel
video si può vedere dalle immagini che si riferiscono a quanto successo
quest’estate a Catania, prendendo in giro altri facendo credere loro che ci
sia una differenza tra “impronte per il rifugio” e “impronte di
identificazione”, lasciando che qualcuno non le dia, o, ancora, facendosi
pagare per non procedere alle identificazioni, come altri profughi stanno
man mano raccontando. Ogni stato membro, secondo il regolamento
Ue<
http://europa.eu/legislation_summaries/justice_freedom_security/free_movement_of_persons_asylum_immigration/l33081_it.htm>,
ha invece l’obbligo di inserire le impronte nel sistema Eurodac di modo che
i richiedenti asilo possano essere immediatamente identificati in qualsiasi
paese dell’Ue e rispediti in quello della loro prima identificazione. Per
questo, da qualche mese ormai, potenziali richiedenti asilo, siriani,
eritrei, somali, ecc., stanno facendo la loro battaglia individuale e
collettiva per non rilasciarle in Italia. Ma quella delle impronte digitali
è una “farsa” che non riguarda solo l’Italia. Nel caso dei profughi
siriani, per esempio, alla Svezia che ha fatto sapere che concederà lo
status di rifugiato a tutti i profughi siriani che lo chiederanno qualcuno
potrebbe ricordare quante frontiere un profugo siriano debba attraversare
per arrivare sul suo territorio. Nel caso di “Said”: dopo quelle
dell’invivibilità libica e quella del mare e del naufragio, dopo quelle
degli spari e quelle dell’omissione di soccorso, quelle dell’Italia e delle
sue impronte, quella dell’Austria, della Francia o della Svizzera che
bloccano i profughi in arrivo dall’Italia, ….. Ad ogni tappa e ad ogni
frontiera, l’attesa che qualche parente invii i soldi per comperare un
passaggio più sicuro.
“Scusate se non siamo affogati”, il titolo che abbiamo deciso di dare al
video, era un cartello con cui alcuni migranti avevano partecipato alla
manifestazione del 19 ottobre a Roma.
Ringraziamo Mohamed (la voce dell’audio in italiano), Marcella, Viola,
Marco e Simone per il loro aiuto nelle diverse fasi della realizzazione del
video. Un ringraziamento particolare a “Said”, ai suoi amici M. e H. e a
I., nostro primo traduttore.
http://leventicinqueundici.noblogs.org/?p=1647
--
*Le venticinqueundici
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