La terra è di tutte/i. Mari militari-umanitari e terre frontiere: non in
nostro nome.[image: Immagine in linea 1]
Il 3 ottobre 2013 a Lampedusa centinaia di persone, uomini, donne,
ragazzine/i, bambini/e, sono morte annegate a poche centinaia di metri
dalle coste dell’isola. A partire da quel momento tutte e tutti, in varie
parti del mondo, abbiamo visto quale sia l’effetto delle attuali politiche
migratorie: un mare di morti. Poi, dopo il mare, i morti che si
confondevano con i vivi, non solo con i sopravvissuti ma con gli stessi
abitanti dell’isola: dove mettere tutti quei corpi, tutti quei sacchi,
tutte quelle bare? Dove metterle a Lampedusa? Come trasportarle poi? Dove
metterle, una volta trasportate? In quali cimiteri? A partire da un mare di
morti anche la terra si è risvegliata più stretta e priva di spazio,
sommersa dai cadaveri nei sacchi allineati sul molo e dalle bare numerate
nell’hangar dell’aeroporto, impreparata a trovare luoghi decenti per i
sopravvissuti, incapace di gestire il terribile lavoro del riconoscimento,
sovrastata dal dolore di familiari che si aggiravano sull’isola di
Lampedusa arrivando da posti diversi del mondo per dare un nome ai numeri
sulle bare mentre le bare venivano fatte partire e tumulate in vari luoghi
della Sicilia ancora numerate.
Prima del 3 ottobre 2013 quel mare era già un mare di morti, 20.000 corpi,
dicono coloro che in questi anni si sono dedicati al loro “censimento”, e
anche la terra era già stretta, i cimiteri erano già pieni di bare tumulate
senza identificazioni, i familiari si aggiravano già, ma nelle loro case e
nel loro dolore senza sapere dove andare per cercare. Dopo il 3 ottobre
2013 il mare ha continuato a inghiottire vite, mentre sulla terra i
sopravvissuti ai naufragi o alle traversate si aggirano tra i moli di una
frontiera, a Calais, o tra i corridoi di una stazione di una frontiera
improvvisata, a Milano, sperando di poter raggiungere i loro parenti,
altri, già arrivati in Germania chiedono di poter restare, e tutte e tutti
scoprono tra coperte gettate sui pavimenti di moli, stazioni, strade, tra
panini e bicchieri di plastica, tra Cie e identificazioni forzate, che su
questo spazio di terra chiamato Europa non c’è posto per loro.
Il 24 e il 25 ottobre nelle sale del palazzo di Bruxelles si svolgerà la
riunione del Consiglio europeo che, tra gli altri punti all’ordine del
giorno, discuterà “con urgenza”, come dichiarano i vertici Ue, anche delle
politiche migratorie dopo il naufragio del 3 ottobre. Quello che
proporranno lo conosciamo già: questa volta lo chiamano “ampliamento delle
funzioni di Frontex nel Mediterraneo”, “avvio e sperimentazione di
Eurosur”, o, come in Italia, “azione militare umanitaria”, ma dietro ai
nomi diversi non è difficile decifrare il solito mare di morti con cui
abbiamo convissuto in tutti questi anni e la terra già stretta da quote,
respingimenti e deportazioni su cui abbiamo abitato.
Non vogliamo più farlo e non lo faremo più. Per questo, il 24 e il 25
ottobre saremo, insieme ad altri, davanti alle ambasciate o ai consolati
europei per contestare in vari modi la possibilità di quelle decisioni, e
chiediamo di esserci e di fare altrettanto a tutte e tutti coloro che in
varie parti d’Europa e d’Italia non accettano più questa impossibile
convivenza. Che si chiami Unione europea, Europa o in qualsiasi altro modo,
vogliamo che il tratto di terra su cui abitiamo sia circondato da un mare
di passaggio, di viaggi, di incontri, di vite, e che il suo suolo possa
essere abitato e attraversato da tutte e tutti, senza bisogno di allestire
tende, campi, rifugi “umanitari-militari” per donne, uomini, bambine e
bambini bloccati tra le frontiere della sua disumanità.
Saremo insieme a molti altri. Ai rifugiati siriani bloccati a
Calais<
http://leventicinqueundici.noblogs.org/?p=1634>che vogliono
arrivare in Inghilterra e a quelli bloccati alla stazione di
Milano che vogliono raggiungere i loro parenti in Svezia o in Germania; ai
rifugiati passati da Lampedusa che manifesteranno in varie città della
Germania; ai famigliari degli eritrei morti nel naufragio del 3 ottobre che
dimostreranno a Roma chiedendo al governo italiano la restituzione delle
salme e all’Europa “una politica più attenta alla vita e dignità per i
profughi in cerca di protezione”; a coloro che manifesteranno davanti a
consolati e ambasciate, come chiede di fare Melting Pot, portando l’appello
per un “corridoio
umanitario”<
http://www.meltingpot.org/IMG/pdf/appello_allegato.pdf>che
permetta ai richiedenti asilo di raggiungere uno degli stati membri
dell’Ue senza il bisogno di salire sulle “barche della morte”; alle madri e
alle famiglie dei migranti tunisini
dispersi<
http://leventicinqueundici.noblogs.org/?page_id=354>che da
due anni chiedono conto della vita dei loro figli alle politiche
migratorie dell’Unione europea.
*Noi saremo a Milano, davanti al consolato generale di Germania, in via
Solferino 40 (MM 2, Moscova) dalle 10 alle 13 di venerdì 25 ottobre. *
*Saremo lì perché non vogliamo mari umanitari-militari, né terre-frontiere,
ma una “terra di tutte/i”. *
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*Le venticinqueundici
http://leventicinqueundici.noblogs.org/
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