[Nogelminispbo] Al di là di ogni ragionevole dubbio: On The …

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Autore: Sean Patrick Casey
Data:  
To: Autorganizzazione Studentesca, Collettivo SPA, Assemblea Antifascista Permanente, No Gelmini SciPol Bologna
Oggetto: [Nogelminispbo] Al di là di ogni ragionevole dubbio: On The Move e la nuova stagione
http://labonthemove.wordpress.com/2013/10/18/al-di-la-di-ogni-ragionevole-dubbio-otm-e-la-nuova-stagione/

Al di là di ogni ragionevole dubbio: On The Move e la nuova stagione

Un altro autunno è alle porte. Ma non lo stavamo aspettando perché come
sempre ci troviamo in movimento, perché il ritmo della nostra generazione
non conosce stagioni. Ci ritroveremo di nuovo in piazza, scendendo in
strada come abbiamo sempre fatto per chiedere una città e una società
diversa, senza razzismo e sfruttamento, lottando contro quei confini che
ogni giorno ci vorrebbero tenere divisi. Evidentemente non stiamo
aspettando che si faccia avanti una stagione amica, che qualcuno bussi
per svegliarci dal torpore estivo ma, piuttosto, ci prendiamo le
stagioni, una dopo l’altra, come abbiamo fatto sinora. Il nostro
calendario è sempre fitto di impegni e appuntamenti: dal martedì con il
nostro consueto laboratorio Hip Hop, passando per il sabato con la nostra
nuova trasmissione Catchin’ the vibes, fino ad arrivare ai nostri
concerti, alle nostre manifestazioni, alle nostre riunioni settimanali.
Abbiamo storie da raccontare, nuove reti da creare, nuove persone da
conoscere e nuove lotte da organizzare.

Vorremmo iniziare però con la storia di tre persone che non abbiamo mai
conosciuto di persona, ma che ci toccano e ci fanno riflettere, e che non
possono lasciarci indifferenti. Crediamo che, in parte, le loro storie
siano le nostre storie e che, pur se sviluppatesi in contesti differenti
dal nostro, possano invece indicare degli spunti per comprendere meglio
la realtà, in Italia e non solo.

 Vogliamo parlare di Trayvon Martin, 17 enne afroamericano che la sera del
 26 Febbraio del 2012 è stato freddato da George Zimmerman, “vigilantes
per  diletto”, solo perché indossava un cappuccio, perché aveva “un fare
sospetto”,  perché era un giovane afroamericano in una zona
prevalentemente bianca. Ciò  che sbalordisce di più è che l’assoluzione
del suo assassino si basa sul fatto che,  al di là di ogni “ragionevole
dubbio”, quest’omicidio non ha caratteristiche    razziali. Decine di
migliaia di persone, in prevalenza delle comunità  afroamericane e di
colore, sono scese in strada per dire che la vita di un giovane nero non
deve valere meno di qualsiasi altro, che indossare un cappuccio non deve
dare licenza a maniaci armati di seguirti, in attesa di un pretesto per
spararti e, in particolare, per dimostrare che la legge non è uguale per
tutti negli Stati Uniti, ma che ancora costruisce differenze sulla linea
del colore. Il nostro ragionevole dubbio, in questo caso, è che negli
Stati Uniti, come in Italia, ci sia razzismo non solo a livello di
pregiudizio ma anche a livello di legge. Il nostro ragionevole dubbio è
che esso debba essere chiamato con il suo nome: razzismo istituzionale.
Ma, nel dubbio, non esitiamo a sparare a zero contro il razzismo
istituzionale in salsa italiana, quello che vede la sua massima
espressione nella legge Bossi-Fini, così come il nostro bersaglio non
possono non essere quanti ancora  impediscono che venga riconosciuto un
diritto elementare come quello dello Ius Soli.


Vogliamo parlare di Israel Hernandez-Llach, in arte Reefa, writer e skater
di Miami di origini colombiane, ucciso con un taser a 18 anni durante un
fermo di polizia, tutto per una tag. Ci chiediamo come sia possibile che
fare una tag possa costarti la vita e non riusciamo a trovare risposte.
D’altronde è recente la notizia che a Milano due writers sono stati
condannati a 6 mesi e 20 giorni per il reato di associazione a delinquere
finalizzata all’imbrattamento e al deturpamento di alcuni edifici. Una
sentenza clamorosa! Anche la procura di Bologna segue l’esempio milanese
aprendo due inchieste su “4 tag”. Questo tipo di rimedi dimostra come,
nonostante i pregi e i difetti di ogni “pratica”, non si cerca affatto di
conoscere a pieno il fenomeno, ma lo si strumentalizza molto volentieri
per fini elettorali. Sappiamo che non tutti comprendono l’arte del writing
e spetta anche a noi raccontarla e farla conoscere. Ma non ci sono
giustificazioni per la morte di Israel. Vogliamo sottolineare che il
writing, l’arte di strada, non è sempre legale, ma non ferisce, non
opprime la comunità, non toglie vite. Individuare nei giovani, specie se
di colore, la fonte di ogni pericolosità sociale e dare alla polizia carta
bianca di reprimere, quello sì che ferisce e uccide. E questo per noi è il
vero pericolo.

Vogliamo anche parlare di Pavlos Fyssas, Killah P, rapper e antifascista,
ammazzato dai neonazisti di Alba Dorata in Grecia. Inseguito e
accoltellato mentre la polizia, che in maggioranza vota lo stesso partito
dell’assassino, è rimasta a guardare. Era un MC, come molti di noi, che
con la sue parole e la sua tecnica si era sempre opposto all’avanzata del
neofascismo nel suo paese, avanzata di cui lui stesso è caduto vittima.
Cambiano nome, cambiano sigla, ma anche in Italia c’è chi promuove
razzismo, prende di mira chi e’ diverso, e si fa forte della violenza di
branco, una violenza infame. Noi siamo dall’altra parte, contro
l’ingiustizia che vogliono creare e l’ignoranza che vogliono diffondere.

Il racconto di queste storie è per noi un passaggio importante per
comprendere il perché delle nostre attività: come Laboratorio On the Move,
infatti, ci troviamo a metterci in gioco in tanti modi, anche molto
diversi tra di loro: facciamo musica, politica e community organizing.
Riteniamo fondamentale contrastare il razzismo istituzionale che vuole
dividere la nostra generazione, e per queste ragioni intendiamo spiegare e
promuovere le nostre culture artistiche contro chi le vorrebbe oscurare e
criminalizzare, perché vogliamo promuovere una visione della società,
della cultura e della politica fondata sull’uguaglianza.

Un’uguaglianza che alla nostra generazione “in movimento” viene ancora
negata: le nostre crew non chiedono il permesso di soggiorno a chi vuole
farne parte, ma a 18 anni molti di noi si trovano a dover lavorare per
ottenere un foglio di carta e poter rimanere in Italia. E’ per questo che
da tempo abbiamo deciso di lottare, gridando “Cittadinanza Ora” e “Meglio
Ius Soli che male accompagnati” nelle strade e nelle piazze di Bologna. Ma
allo stesso tempo non pensiamo allo Ius Soli come qualcosa che risolverà
tutti i problemi della nostra generazione. Riconosciamo, infatti, che
oramai alla cittadinanza non sono associati tutti quei diritti e quelle
possibilità di accesso al welfare che venivano un tempo garantiti ai
cittadini. La precarietà è piuttosto divenuta la normalità, è un processo
consolidato, stabile, e che colpisce chiunque. Il ricatto della precarietà
e della disoccupazione si aggiunge – è bene sottolinearlo ancora una volta
– a quello di quanti, tra noi, sono costretti ad accettare qualsiasi
lavoro pur di ottenere un permesso si soggiorno. D’altra parte, la più
recente tragedia di Lampedusa, ha fatto improvvisamente parlare molto
delle migrazioni. Il mediterraneo è diventato da decenni un luogo di
morte, e ci auguriamo che smetta di essere un cimitero in mare. Ma
sappiamo che questo non accadrà mai se si continua a piangere i migranti
solo quando muoiono per poi ignorarli quando vivono, quando lottano,
quando rivendicano diritti e la fine della legge Bossi-Fini. Per far si
che il mediterraneo smetta di essere un cimitero a cielo aperto bisogna
conquistare diritti per i migranti, su entrambe le rive del mare.

Sembra quindi chiaro, in ogni caso, che le vecchie coordinate non sono più
valide per stabilire il nostro agire. Ciò che è certo, invece, è che tocca
a noi il compito di ridisegnare le mappe, abbattere i confini così da
disegnare nuove rotte.

Tocca a chi, come noi, è sempre in movimento.