Autor: ugo Data: Para: aderentiretecontrog8, forumSEGE, forumgenova, genovapropalestina Asunto: [NuovoLab] una mobilitazione unitaria contro le spese militari
il manifesto 2013.04.19 - 15 COMMUNITY
IN TEMPO DI CRISI
Una mobilitazione unitaria contro le spese militari
COMMENTO - Giulio Marcon
COMMENTO - Giulio Marcon
Il recente rapporto annuale del Sipri (prestigioso istituto di ricerca svedese sul disarmo)- del quale ha parlato solo il manifesto - sulla spesa militare mondiale ci consegna un quadro sconfortante: nel 2012 si sono spesi nel mondo 1753 miliardi di dollari per le armi. Nello stesso tempo spendiamo a livello globale circa 60 miliardi per la cooperazione allo sviluppo e la lotta alla fame nel mondo (cioè il 3,4% di quanto si spende per le armi) e circa 12 miliardi per la lotta all'Aids (l'equivalente di 3 giorni di spesa militare). Abbiamo costretto un paese come la Grecia a impoverirsi drammaticamente per sanare il suo debito pubblico in ossequio ai diktat europei (mettendo a rischio anche l'euro e la stabilità economica europea) quando con solo il 10% della spesa militare mondiale si sarebbe potuto stabilizzare la situazione finanziaria di quel paese ed evitare la povertà a milioni di persone.
La crisi avanza, ma la spesa militare non si ferma. Non solo negli Stati Uniti (oltre 682 miliardi) o in Cina (+175% negli ultimi 10 anni), ma anche in Italia: spendiamo ogni giorno 70 milioni per le armi e oltre 26 miliardi ogni anno. E rischiamo di spenderne ancora di più con la legge delega sulla difesa, i cui decreti attuativi (già pronti, ma non ancora resi noti) scritti dal ministro-ammiraglio Di Paola diminuiranno la spesa per il personale, ma aumenteranno pesantemente gli stanziamenti per i sistemi d'arma e gli investimenti. L'altro ieri il ministro Grilli in audizione alla Camera - alla sollecitazione di molti deputati che chiedevano stanziamenti per la cassa integrazione in deroga- non ha preso alcun impegno e ha invitato il Parlamento a trovare i soldi. Basta leggere il rapporto del Sipri e i bilanci delle spese militari italiani per sapere dove questi soldi si possono trovare. Con 20 giorni di spesa militare italiana - o rinunciando a costruire 10 cacciabombardieri F35 - avremmo subito le risorse per rifinanziare la cassa integrazione.
In un momento di crisi così grave bisogna intervenire subito per ridurre la spesa militare, cambiare il modello di difesa e porre fine all'interventismo militare. Nei giorni scorsi Sel ha presentato una mozione parlamentare per lo stop agli F35 e il M5S per il ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan. Si tratta di costruire da subito una mobilitazione unitaria nella società e nel parlamento per porre tre temi fondamentali: quello di una politica estera di pace, quello di una riconversione civile dell'economia militare e quello di una revisione del modello di difesa contrastando l'ispirazione ed i contenuti della legge delega di Di Paola. Bisogna ridurre di almeno 1/3 gli organici delle Forze Armate, azzerare l'acquisizione e la produzione dei cacciabombardieri F35, ritirare i nostri soldati da tutte le missioni militari di guerra a favore di un radicalmente nuovo modello di difesa - sufficiente - ispirato ai valori costituzionali del ripudio della guerra e del contributo del paese alla costruzione della pace.
È immorale costruire cacciabombardieri e lasciare senza indennità i cassintegrati o spendere 70 milioni al giorno per le Forze Armate e lasciare 140 scuole in zona sismica a rischio di crollo quando con l'equivalente di quel giorno di spesa militare potrebbero essere rimesse a posto. E sarà pure una spesa modesta (sempre di qualche milione di euro si tratta), ma rifare tra un mese e mezzo la parata militare del 2 giugno sarebbe una scelta sbagliata e inopportuna. La nostra Repubblica (primo articolo della Costituzione) è fondata sul lavoro. In un momento in cui l'assenza di lavoro è il dramma di questi mesi, celebrare la festa del 2 giugno (spendendo un po' di soldi) con i carri armati e le frecce tricolori non è accettabile. Non è il momento dei trionfalismi patriottardi, ma di occuparsi dei lavoratori, dei disoccupati, dei precari.