Autor: tonino Data: A: intergas Assumpte: [Intergas] Tutela dei Semi,
Terra e Economie locali. Per nutrire i popoli e raffreddare il
pianeta
dal Forum Sociale Mondiale di Tunisi :
Marica Di Pierri e Matilde Cristofoli / A Sud –
Come ad ogni incontro internazionale, anche a Tunisi uno dei temi
centrali che tiene banco è quello della terra e le questioni ad esso
collegate: sovranità alimentare, economie locali, modello di produzione
e consumo. Tra assemblee, seminari e gruppi di lavoro, gli attivisti di
diversi paesi di ritrovano con problemi comuni: indipendentemente da
latitudine ed emisfero, il saccheggio delle terre da parte della
produzione agricola e alimentare, gli effetti sempre più lampanti del
cambiamento climatico e le sempre più aggressive pratiche di estrazione
rendono necessaria una continua e profonda riflessione.
Dal 1996, quando nove contadini del Movimento Sem Terra vennero
massacrati in Brasile, 17 aprile, è la Giornata Mondiale di Lotta
Contadina e concentra in tutto il mondo azioni in difesa dei contadini
che lottano per il diritto alla terra.
Tra le realtà registrate al campus El Manar di Tunisi, come sempre La
Via Campesina, il più grande movimento di contadini del mondo, che
riunisce oltre 200 milioni di piccoli produttori, è presente nei
dibattiti legando il tema della terra ad altri assi di riflessione:
progetti estrattivi e produttivi, land grabbing, accesso all’acqua.
Presente è anche una folta delegazione della Women Rural Assembly,
l’alleanza di donne contadine dell’Africa del Sud in prima linea già a
Durban per affermare che l’agricoltura contadina, oltre che la base
della sovranità alimentare delle comunità, è anche strumento per far
fronte al deterioro ambientale e ai cambiamenti climatici.
I movimenti contadini sono diffusi ormai ovunque nel mondo, e le loro
parole d’ordine sono le stesse ovunque: sovranità alimentare, accesso
alla terra, tutela dei semi. In America Latina, Asia, Africa e anche da
noi.
In Italia la rete Genuino Clandestino lavora attorno a questi tre assi
già da alcuni anni, e si ritroverà per l’incontro nazionale di tutte le
reti regionali dal 19 al 21 aprile prossimi in Val di Susa. Obiettivo:
rilanciare la campagna per la terra bene comune, sventare il tentativo
di vendere ai privati i terreni demaniali agricoli, denunciare la
decisione della Corte di Giustizia europea che mette fuori legge le
sementi non iscritte nel registro ufficiale e assieme ad esse una
pratica atavica portata avanti dai contadini da che mondo è mondo: la
rigenerazione dei semi. Contro questa sentenza, e contro la Pac europea,
le proteste delle organizzazioni contadine sono forti e ben argomentate.
Alcuni dei contadini della rete sono presenti al forum di Tunisi per
intrecciare e rafforzare relazioni con altre realtà contadine del mondo.
Il Land Grabbing
Altra frontiera di sfruttamento dei campi coltivabili è rappresentata
dall’allarmante fenomeno del Land Grabbing. Il land grabbing
(accaparramento di terreni) consiste nell’acquisto o nell’affitto di
terreni nei paesi più poveri da parte di multinazionali o governi
stranieri, in particolare quelli con una grande crescita della domanda
interna di prodotti alimentari.
La terra coltivabile è al momento una delle risorse più preziose.
Secondo Actionaid, su 4 miliardi di ettari di terra coltivabile, più
della metà è compromesso da urbanizzazione, erosione, desertificazione e
conseguenze dei cambiamenti climatici, mentre secondo l’United Nations
Human Settlements Programme Un-Habitat e il Network Global Land Tool,
ogni anno 5 milioni di persone subiscono espropri di terra.
Quando gli investitori stranieri arrivano sui terreni delle comunità si
passa dall’agricoltura tradizionale, basata sulle varietà locali,
all’agroindustria, basata su monocolture destinate all’esportazione
(olio di palma, soia etc.) che comportano un massiccio uso di composti
chimici.
La maggior quantità di terre accaparrate si trova nel continente
africano. E il Maghreb non fa eccezione. Come non fanno eccezione le
imprese e gli istituti di credito italiani, diversi dei quali sono
coinvolti in progetti di acquisto massiccio di terreni agricoli.
La questione del “land grab” è strettamente correlata al problema
dell’insicurezza alimentare: 1 miliardo di malnutriti provenienti
soprattutto da aree rurali ne sono la prova. Come lo sono le primavere
arabe: l’aumento del prezzo dei generi alimentari è stato tra gli
elementi propulsori delle mobilitazioni di due anni fa.
Accesso alla terra e migrazioni
Quest’anno, il luogo di svolgimento del forum sociale mondiale, nel
cuore del Mediterraneo, permette di allargare ulteriormente la
riflessione.
Dagli anni 60 ad oggi l’Africa è diventata da regione esportartice di
alimenti a continente dipendente dalle importazioni. Terra di
agricoltura e pesca, la Tunisia è da tempo diventata un porto di
partenza di migliaia di persone, costrette ad abbandonare le loro terre,
distrutte dalla scarsità di acqua, dalla desertificazione e dallo
sfruttamento delle risorse, in cerca di opportunità di vita altrove.
Sebbene siano molti i paesi in cui il cambiamento climatico e
l’industrializzazione crescente delle produzioni agricole impongono
l’abbandono delle terre d’origine, i paesi del Maghreb, finestra di
fronte dell’Europa Mediterranea, rappresentano perfettamente le
criticità di un sistema a circolo vizioso che impone come estrernalità
negativa crescenti flussi migratori (distruggendo i mezzi di sussistenza
nei paesi di origine) ma pratica come politiche migratorie i
respingimenti o, una volta sul territorio nazionale, accetta
sostanzialmente un modello lavorativo di semi schiavitù.
Basti pensare alle centinai di braccianti che contribuiscono ogni anno
alla produzione industriale di pomodori o agrumi – solo per citare un
esempio – coltivati in condizioni di lavoro degradanti nel Sud di Italia
e Spagna.
All’occhio ormai esperto dei movimenti internazionali che da anni
lottano per la sovranità alimentare e per un produzione agricola che sia
in armonia con l’equilibro del pianeta, industrie agroalimentari e
istituzioni politiche sono egualmente coinvolte in quella che sembra
essere una deportazione organizzata : i contadini che ancora riescono ad
ottenere qualche piccola produzione dalle loro terre – quando queste non
sono spossate dai ritmi imposti dalla produzione industriale – non
possono competere con i prezzi delle industrie agroalimentari che qui in
Maghreb si espandono ad un ritmo impressionante. Ad alimentare questa
condizione, la Politica Agricola Comune implementata dall’Unione
Europea, arrivata sull’area mediterranea come una scure a causa dell’
abbassamento dei prezzi dei prodotti agricoli che comporta.
Le migrazioni sono insomma strettamente legate al modello economico che
abbiamo imposto ai paesi del sud. Lo dimostrano i 2 milioni di persone
che ogni anno tentano di entrare illegalmente in Europa, spesso finendo
tragicamente e andando ad ingrossare la lista delle migliaia di africani
morti o dispersi nel mediterraneo.
“Mentre da un lato si organizza la fame nel continente africano,
dall’altra si lavora alla criminalizzazione dei rifiugiati spinti dalla
fame che noi stessi abbiamo prodotto” è l’efficace riassunto del
sociologo Ziegler.
Una volta persi i mezzi di sussistenza alle comunità rurali non resta
che migrare. Dalle campagne alle periferie delle città, dai paesi del
sud al miraggio del benessere europeo, fornendo in ogni caso manodopera
a prezzi stracciati che ingrossa le fila degli sfruttati nel disumano
meccanismo dell’economia globale.
Nel caso del Nord Africa, ciliegina sulla torta sono le politiche
migratorie repressive e criminali attuati dai paesi dell’Unione Europea.
Tutti questi elementi sono utili a comprendere come la difesa della
terra e la tutela dell’agricoltura contadina siano elementi di una
battaglia, più grande, per il riconoscimento della sovranità alimentare
come diritto umano fondamentale. Dai movimenti emerge la necessità di
far convergere misure drastiche per far fronte al cambiamento climatico
e riconoscimento del diritto al cibo, tenendo assieme tutela del
territorio, diritti dei lavoratori, tutela delle condizioni di vita dei
migranti.
In questo quadro, attuare politiche agricole orientate prima di tutto
al soddisfacimento delle esigenze alimentari delle comunità locali,
proteggere i semi locali e le tecniche di produzione tradizionali,
tutelare i piccoli agricoltori e rafforzare le economie locali sono
scelte obbligate per investire in un futuro sostenibile ecologicamente e
socialmente e capace di garantire sovranità alimentare ai suoi popoli.