Author: pasky Date: To: hackmeeting Subject: [Hackmeeting] Una risata li seppellirà... speriamo...
Buondì,
visto che siamo in tema vi lascio qualcosa di veramente esilarante
scritto dal grande Alessandro Robecchi (quello della gloriosa Radio
Popolare e di Piovono Pietre) proprio sulle promesse elettorali,
vediamo se almeno da una risata può nascere la scintilla della
rivolta... :^)
Chi vince l’oscar delle balle elettorali?
di Alessandro Robecchi
Naturalmente scalare il Cervino a mani nude, o lanciarsi da un jet con un
paracadute di mutande, o attraversare a nuoto l’Atlantico senza pinne, sono
imprese alla portata di tutti. Più difficile, come sport estremo, è
credere alle
promesse elettorali. Una pratica che lascia immancabilmente sul campo morti e
feriti, delusioni feroci e l’intimo fastidio che ci fa dire: ci ho
creduto, che
fesso! Come sempre quando si ha a che fare con dei feticci – teste impagliate
della Guinea, boomerang d’osso aborigeni o promesse elettorali italiane –
scatta
la sindrome del collezionismo. Dal Matteo Salvini che tuonava: “Lega, mai più
con Berlusconi!” (luglio 2012), fino al Mario Monti di “Non mi presento alle
elezioni” (settembre 2012), passando magari per l’Angelino Alfano del
“Faremo le
primarie, nessuno stop” (dicembre 2012), il problema è quello della raccolta
infinita, come dire che l’album non lo completeremo mai.
Perché, come in ogni collezione che si rispetti, anche per quella delle
promesse
elettorali esiste il problema dei doppioni. Per esempio sulle primarie del
Pdl,
per dirne una, ci sono infinite varianti: figurine di merda di fronte, di
profilo, di schiena, eccetera. Buone da scambiare con altri collezionisti,
insomma, ti do un Alfano che dice una cazzata in cambio di un Maroni che
ne dice
due. Poi – spero capiate il dramma di noi collezionisti – c’è anche un
problema
di scadenza. Sì, perché le promesse scadono proprio come lo yogurt, ma
nessuno
scrive sulla confezione “da consumarsi entro…”. Per dire: “Non faremo
campagna
elettorale contro Monti”, prometteva Silvio Berlusconi in dicembre,
nemmeno un
mese prima di dare del “mascalzone” al professore. Ma un mese è già
parecchio.
C’è anche chi scade in poche ore, come la rara figurina del Maroni stratega:
“Facciamo l’election day in aprile!”, detto il primo novembre 2012, cioè due
giorni prima della decisione di votare a febbraio. Una specie di cazzata
istantanea, quindi, solubile e da bere subito, prima che vada a male. Ma fin
qui, mi rendo conto, parliamo di piccole manie, di archivisti della
demagogia.
Un mio vicino di casa ricorda sempre la stoccata berlusconiana del 2008,
quell’“Aboliremo il bollo auto” che ancora gli provoca acidità di stomaco
ogni
volta che lo paga. Altri, più ecologisti, ricordano il meraviglioso
Berlusconi
che si impegnava a piantare 100.000 alberi (era il 2010), o quello che
“Sconfiggeremo il cancro”, o altre promesse dimenticate e ingiallite
dall’oblio
come le figurine Liebig di inizio ’900. Siamo all’elencazione, al ricordo,
alla
rimembranza: promesse assurde e impossibili come un cameo dei tempi andati,
piccole madeleines proustiane del nostro scontento.
Più difficile (ci vorrebbe un filosofo, un poeta, il Roland Barthes dei
Frammenti di un discorso amoroso), è capire come anche la promessa più
assurda,
folle, spericolata e inconcepibile attecchisca in fondo anche tra gli
scettici.
Ti amerò per sempre. Non ti tradirò mai. Ti renderò in contanti i soldi
dell’Imu, abbasserò l’Irpef. Vedrai, sarà sempre come il primo giorno. Non ci
crede nessuno, naturalmente. Eppure c’è un piccolo demone in ogni cuore
che ci
pungola, che ci dà di gomito, che ci sussurra: “Ma metti che…”. Un minuscolo
retrovirus, un globulo stronzo che rode piano piano. Che ci rende in qualche
modo complici di chi fa promesse strampalate. Come per le truffe, bisogna
essere
in due: truffatore e truffato. Anzi in tre: truffatore, truffato e chi
tiene il
conto. Che è sempre in perdita.