Il funerale di Antonio Caronia, di quel ragazzaccio coltissimo,
infaticabile attivista e generosissimo educatore e studente al contempo,
che era Antonio Caronia, e' stata una celebrazione straziante per me,
come per molti giovani presenti. C'era gente di tutte le eta', c'erano
svariate generazioni a rendergli omaggio. Ci ha accolti la musica
dell'angosciante ed al contempo leggera performance "Superman" di Lori
Anderson, a sottolineare la tensione, l'ansieta', l'urgenza di
quell'uomo cosi' speciale: il discorso di Antonio sempre teso ad una
critica all'Occidente, alla nostra ragion d'essere, una critica molto
utile, su cui meditare, per chi si sente sempre e comunque titolare del
bene, della ragione e del diritto di sentirsi vincitore sulle macerie.
Il vuoto lasciato dalla perdita di Antonio Caronia per la cultura hacker
Italiana e' grande. Anche piu' grande se si considera quanto manchera'
alle generazioni future, Cyborg inconsapevoli, utenti di una tecnologia
che a sua volta li usera' nella loro inconsapevolezza. Le generazioni
di nativi digitali a cui sempre piu' vengono nascoste le vere radici, il
corpo degli elementi che manipolano: a costoro che sono entusiasti
cyborg contaminati Antonio sapeva insegnare le gioie e i dolori della
contaminazione. Antonio non trasmetteva insegnamenti, ma coltivava
consapevolezze e lo faceva con il ritmo spasmodico di un adolescente
erudito, pazzo d'amore, pazzo per parlare, pazzo per vivere.
Antonio non voleva morire. Questo mi fa piangere oggi. Antonio era avido
di vita, del sapere sempre nuovo che era linfa per i suoi intrecci di
senso, intuizioni trasversali, evoluzioni sul filo d'acciaio ben teso
della sofferenza umana e della tecnologia che ad oggi la leviga e
l'affila.
In un mondo in cui gli unici veri confini rimasti sono quelli della
lingua, Antonio ha portato all'Italia il genio visionario e asimmetrico
di Ballard e quell'esploratore insaziabile di entropia, poesia e futuri
sorprendentemente possibili di P.K.Dick. Ma non solo. Antonio ci ha
anche portato la profondita' delle riflessioni di Donna Haraway,
attualizzando l'eredita' del movimento femminista ad una realta' di
lotta che va oltre i generi e identifica nei corpi il terreno
demilitarizzato tra i confini aspri di capitale e biopolitica.
Nel mezzo di discorsi sempre attuali che hanno a che fare con la
privacy, con l'approccio od il rifiuto della tecnologia, in definitiva
con l'accettazione o meno della purezza, trovo gli scritti di Antonio
incredibilmente, sorprendentemente, eroticamente attuali, inviti a
confrontarsi con l'empieta' del reale, con l'amore per quella che e' e
rimarra' sempre l'eredita dei diseredati nelle modalita' di ibridazione
tra presente e futuro, tra esseri umani e macchine.
Antonio aveva una conoscenza enciclopedica, sterminata, dei suoi tanti
libri, che conosceva uno per uno, pagina per pagina. Era al contempo un
matematico ed un filosofo ed era in grado di citare e combinare pensieri
colti da ambiti estremamente diversi, seppur tenendo un rigore tagliente
nel farlo. Ma era anche un artista lui stesso, di quelli che plasmano
identita', esistenze, relazioni. La prima volta che lo vidi in vita mia
mi colpi' la sua presenza: mi sembro' di incontrare per la prima volta
quel famigerato Dottor Sax che saltava fra tetti ed ombre nei sogni di
Kerouac. Sono ancora convinto quella sera uggiosa di una Milano come
sempre ingrata e nebbiosa, tenesse un serpente magico arrotolato sotto
il suo cappello nero a falde larghe. Piu' tardi, negli ultimi anni, ho
avuto la fortuna sfacciata di poter studiare con lui ed ho compreso
quanto non sia solo un'apparenza spiazzante la sua, ma anche una
sostanza, cioe' un'erudizione sconfinata, disarmante, unica ad una
pulsante passione per la letteratura, ed a una rigorosa pratica da
militante politico che non ha mai abbandonato.
Antonio si e' sempre dato tutto, completamente, per gli altri. La vita
di Antonio e' un monito per tutti i sessantottini che si dilettano a
ricordare i tempi passati ed oggi son forti di posizioni di privilegio
guadagnate nel progressivo abbandono della militanza: Antonio non ha mai
ceduto al privilegio. Antonio quella militanza non l'ha mai abbandonata
e nel continuare ad insegnare fino agli ultimi goccioli della sua vita,
negli ultimi giorni, ha dato prova di una passione maniacale per i suoi
studenti, per le loro ricerche, percorsi, per la loro liberta' di
sentire. Lo abbiamo visto impegnato sin negli ultimi giorni in
occupazioni a piazza affari con il megafono in mano, fino al punto di
rischiare il suo contratto con l'Accademia di Brera, una posizione che
ci ricorda artisti come Beuys. Antonio e' uno di quelli speciali che non
ci lascia semplicemente un'icona di se, ma un'esempio nella pratica
quotidiana della lotta politica contro l'ingiustizia sociale.
Non c'e' nessun'altro che possa sostituire Antonio Caronia in Italia
oggi, questo e' un nodo che si stringe alla gola di tanti,
inesorabilmente, la cui morsa puo' venire addolcita solo dal ricordo
della sua passione per quella descolarizzazione di Ilich a lui tanto
cara: e' ora di camminare da soli, anche se ci cedono le gambe, a costo
di metterci sui cingoli o sui trampoli.
Non mi basta il fiato, dannazione. Vi riporto un passo del suo libro
Cyborg, edito dalla Shake gia' tanti anni fa, ancora assolutamente
attuale, per concludere questo sofferto fiume di parole con le sue,
tanto migliori, tanto piu' utili di una celebrazione che a lui non
sarebbe mai piaciuta. Raccomando a chi non l'ha fatto, la cosa piu'
giusta da fare e' leggere Antonio Caronia sforzarsi di condividere il
suo punto di vista mai scontato, raramente allineato, sempre teso a
superarsi e, piuttosto di appiattirci sulla dicotomia tra transumanesimo
e primitivismo, farci prendere per mano lungo le sue strade non-strade,
battute da pochi e senza alcuna divisa agli angoli per rassicurarci che
sia la via giusta o sbagliata: bugia inutile, che' sappiamo morire anche
da soli.
Ciao Antonio. Torna presto.
"I am the ocean lit by the moon
I am the mountain this is my name
I am the river touched by the wind
I am the story, I never end"
Peace - A Beginning, King Crimson
"""
Questa sovrapposizione di comunicazione e produzione ha, tra le varie
conseguenze, questa, fondamentale per la nostra analisi: che il corpo,
il nostro principale strumento di comunicazione con l'esterno, la
nostra interfaccia con il mondo, viene direttamente integrato nel
processo di valorizzazione capitalistica, per cosi' dire "a tempo
pieno", e si integra anche con la tecnologia in modo ben piu'
pervasivo e fine che per il passato. E dal momento che la produzione e
la valorizzazione sono processi linguistici in modo ben piu' integrale
e massiccio di ieri, ecco che il linguaggio attraversa oggi tutto il
corpo, e lo struttura secondo posture, ritmi e tecnologie che l'era
industriale fordista non conosceva.
[...]
Questa nuova invasione immateriale del corpo a opera del linguaggio
porta con se', naturalmente, una serie di nuovi problemi e apre nuove
configurazion conflittuali nella societa' postfordista. Da un lato
mette in luce tutta una dimensione "corporale", biologica della
politica, i cui dispositivi non si limitano piu' ad assoggettare il
corpo a un regime disciplinare (e carceri e galere, a volte travestite
da "centri di accoglienza", sono sempre piu' riservate ai corpi
allogeni che vengono dall'esterno del territorio, agli immigrati
ancora esclusi dalla cittadinanza), ma delegano in qualche modo
direttamente alla tecnologia il compito di trasformare in valore la
varieta' di comportamenti che viene adesso concessa ai corpi, con una
"tolleranza" relativamente maggiore. Questo investimento politico sui
corpi, pero', d'altro lato riduce pericolosamente la loro autonomia
facendo leva direttamente sul dispositivo linguistico: il corpo
rischia di non riuscire piu' a mantenere e a far giocare contro il
linguaggio quel residuo extralinguistico che e' presente, visibilmente
e quasi platealmente, nella comunicazione orale facca a faccia, e che
nella scrittura rimane invece nascosto, ma produce effetti sottili e
riposti, soprattutto quando essa mantiene una dimensione poetica o
comunque orientata verso l'aspetto espressivo della comunicazione. E'
quell'aspetto residuale del corpo rispetto al linguaggio che e' stato
espresso con tanta forza, anche se in modo criptico, da Artaud nella
sua invocazione al "corpo senza organi", e che Deleuze e Guattari
ripresero qualche decennio dopo per farne una delle loro piu'
affascinanti "pratiche limite".
Il quadro generale, non c'e' dubbio, e' quello che era stato gia'
delineato da Michel Foucault nelle sue ricerche sulla storia della
sessualita', quando individuo', all'origine della modernita', il
passaggio da un potere del "diritto di morte" a un potere che
interviene positivamente sulla vita: "al vecchio diritto di far morire
o di lasciar vivere si e' sostituito un potere di far vivere o di
respindere nella morte" E' l'emergere del biopotere, o della
biopolitica.
[...]
I dispositivi di potere biopolitici che si affacciano all'inizio del
nuovo secolo, nell'era del cyborg, paiono pero' oltrepassare entrambe
le categorie individuate da Foucault, quella della "anatomo-politica
del corpo umano", cioe' l'integrazione disciplinare del corpo del
singolo nei sistemi di controllo sociale, e la "bio-politica della
popolazione", cioe' l'insieme delle misure tese a regolare i
macroparametri biologici delle collettivita' (natalita' e mortalita',
condizioni sanitarie ecc.). L'investimento linguistico sul corpo
sembra infatti delineare, sullo sfondo di questi due meccanismi che si
autoperpetuano ormai con un minimo di intervento esplicito
(smantellamento dello stato sociale), un processo di coordinamento dei
corpi all'immaginario sociale di dimensioni mai viste prima. Con
l'estensione del processo di valorizzazione all'insieme della societa'
e non solo piu' ai "luoghi di produzione" in senso stretto (le
fabbriche), il capitalismo postfordista appare infatti ormai in grado
di trarre profitto da ogni modulazione spaziale e temporale dei corpi,
da ogni articolazione dell'immaginario, da ogni erogazione di energia
sociale, anche incontrollata: dai centri commerciali alle
discoteche. Qualsiasi linguaggio parlino i corpi, esso rischia sempre
di diventare un dialetto della neolingua che parla attraverso di noi
anche quando noi crediamo di beffarla: per questo il Grande Fratello
ha potuto abbandonare la stanza dei bottoni del potere politico (se
mai l'ha davvero abitata) per trasformarsi in un format televisivo,
che solo i piu' ingenui tra noi possono credere una innocua buffonata.
[...]
Ma oggi che una prospettiva biopolitica non puo' piu' assumere la vita
come un dato su cui costruire i propri interventi macro e
microregolativi, oggi che il corpo e' investito dai linguaggi, non
solo piu' dell'immaginario ma della tecnoscienza, e sottoposto a un
vero e proprio processo di produzione, oggi come possiamo ancora
sperare di lavorare su un "rovesciamento tattico" dei linguaggi?
L'amalgama di biologia e tecnologia in cui e' trasformato il corpo del
cyborg non ci taglia forse ogni possibilita' di sottrarlo alla presa
dei dispositivi di potere che agiscono, come una morbida tenaglia, sui
due lati dell'immaginario de del simbolico?
Donna Haraway, con determinazione coraggiosa e quasi beffarda,
suggerisce che l'unica via per evitare di essere ingoiati dalle fauci
del lupo postfordista e' proprio quella di cacciarvisi dentro, di
assumere fino in fondo la prospettiva dell'artificiale e di giocare
con astuzia le carte dell'ibridazione e dell'impurita' che esso ci
offre. "Mi propongo di costruire un ironico mito politico fedele al
femminismo, al socialismo e al materialismo. E forse piu' fedele
ancora: come l'empieta', e non come la venerazione o
l'identificazione. (...) Al centro della mia fede ironica, della mia
empieta', c'e' l'immagine del cyborg," dichiara in apertura del suo
Cyborg Manifesto. E prosegue: "Vorrei sostenere il cyborg come
finzione cartografica della nostra realta' sociale e corporea, e come
risorsa immaginativa ispiratrice di accoppiamenti assai fecondi. La
biopolitica di Michel Foucault non e' che una fiacca premonizione di
quel campo aperto che e' la politica cyborg".
Che cosa c'e' in questo "campo aperto"? In primo luogo, dice Haraway,
i "cedimenti di confine". E ne indica tre, fondamentali, che stanno
alla base della condizione di cyborg: e' stato violato il confine tra
animale e umano, quella tra organismo e macchina e quella tra fisico e
non fisico. Questi cedimenti di confine, che si sono realizzati
storicamente in una nuova influenza diretta della scienza e della
tecnologia sui rapporti sociali, creano una fluttuazione, una
indeterminazione delle identita' tradizionali (per esempio l'identita'
"femminile"), che oggi divengono transitorie e fluide, e devono essere
costantemente negoziate, ricontrattate per mezzo delle tecnlogie della
comunicazione e della vita.
[...]
E infatti "il cyborg e' una sorta di se' postmoderno collettivo e
personale, disassemblato e riassemblato. E' il se' che le femministe
devono rielaborare". Questa visione fluida, processuale della societa'
e dei rapporti che essa costantemente produce tra i suoi membri e tra
questi e i loro oggetti di conoscenza e di intervento, e' quella che
consente a Haraway di vedere le categorie concettuali e le pratiche di
intervento in costante movimento, e non in una raggelata staticita'. E
che consente quindi ai nuovi "soggetti cyborg" di inserirsi nelle
giunture tra i concetti e i protocolli modularizzati che definiscono
il mondo per rovesciare, anche localmente, la direzione di quel
movimento e affermare nuovi rapporti, nuovi saperi, nuove
pratiche. Per rovesciare l'"informatica del dominio" nel piacere di
vivere. Se non e' piu' di organismi che si deve parlare ma di
"componenti biotiche", se le strategie di controllo si concentrano
sulle interfacce e non sull'"integrita' degli oggetti naturali", se
"qualsiasi componente puo' essere interfacciata con ogni altra",
allora e' in questi processi di comunicazione, di transito
dell'informazione, che consistera' la biopolitica del Ventunesimo
secolo, non in uno scontro tra identita' ben definite e
contrapposte. Si parla sempre a partire da un luogo, da una
situazione, da una condizione, da un corpo, non c'e' alcun discorso
disincarnato, alcun punto i vista assoluto e non marcato. I nostri
saperi sono sempre "saperi situati". E se sto cercando, nel
ricostruire il discorso di Haraway, di ridurre al minimo i riferimenti
alla condizione della donna e al dibattito interno al femminismo da
cui quel discorso nasce, non e' per ignorare queste determinazioni o
per togliergli "parzialita'"; al contrario, e' per mostrare che solo
una riflessione che parta da una condizione storicamente determinata e
che di questo sia consapevole, puo' produrre indicazioni
"esportabili", metodologie efficaci per la comprensione e l'intervento
sulla realta'.
[...]
Il punto chiave del discorso di Haraway sul cyborg e' che i processi
di ibridazione con la tecnologia esonerano i corpi e i soggetti dalla
necessita' di riferirsi a un "mito della fondazione", a un
vagheggiamento dell'origine come ancoraggio dell'identita' individuale
e collettiva. Al mito dell'origine non si sono riferiti solo il
capitalismo e il patriarcato, ma anche i loro antagonisti nel corso
della modernita'. "Il femminismo e il marxismo si sono arenati
sull'imperativo epistemologico occidentale di costruire un soggetto
rivoluzionario a partire da una gerarchia di oppressioni e/o da una
posizione latente di superiorita' morale, di innocenza e di piu'
intimo contatto con la natura.". Ma il cyborg non ha "origine", e'
elemento processuale fluido e in costante mutazione. Qui sta la sua
forza, nella sua estraneita' al mito della trasparenza del linguaggio,
nella sua capacita' di tornare a parlare una lingua radicata nel corpo
senza doverla riferire a una presunta dimensione originaria, nel far
agire insomma dentro al linguaggio il residuo extralinguistico e
corporeo che l'informatica del dominio tenderebbe a cancellare.
- Antonio Caronia, 1985, estratto da "Cyborg"
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