Da un testo di José Argala...

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Auteur: EHLINFO
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Sujet: Da un testo di José Argala...
Proponiamo di seguito e in allegato la traduzione italiana di alcuni passaggi dell'introduzione al libro di Jokin Apalategi "Nazionalismo e questione nazionale nel Paese Basco, 1830-1976 (1977)", recentemente apparsa in castigliano su http://borrokagaraia.wordpress.com/2012/12/21/argala-1978-2012/ .
Si tratta di un testo a firma di José Miguel Beñaran Ordeñana “Argala”, storico militante di ETA, assassinato nel '78 dalla repressione spagnola.

Questo lavoro di traduzione non ha alcuna pretesa di esaustività, ma è stato fatto per offrire in italiano qualche stralcio che possa far conoscere un po' la figura di Argala, cercando di estrapolare soprattutto l'evoluzione della sua posizione e l'avvicinamento al marxismo (nonché, poi, il contributo che egli stesso ha dato). E' parso interessante mettere in risalto soprattutto il rifiuto di una dimensione meramente "umanitaria" ed "assistenziale", anche perché, in tempi di crisi, ci par purtroppo sempre più un rischio che si presenta anche dinanzi a tanti compagni/e.

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José Miguel Beñaran Ordeñana “Argala”. Prólogo al libro di Jokin Apalategi: Nationalisme et question nationale au Pays Basque, 1830-1976 (1977)

Tradotto da http://borrokagaraia.wordpress.com/2012/12/21/argala-1978-2012/




[…]

Da quando ho l'uso della ragione ho avuto occasione di osservare lo sfruttamento della classe operaia, sebbene senza comprenderla in quanto tale per molto tempo. Ho visto lavoratori – miei vicini – che dopo una giornata lavorativa normale erano costretti a passare ore nell'impresa di costruzioni di mio padre o in altre, e tutto ciò solo per arrivare a sopravvivere con le loro famiglie. Verso i 17 anni entrai in un'organizzazione cattolica, denominata Legione di Maria; uno degli obiettivi era tuffarsi nella miseria sociale per consolare quelli che la soffrivano. Attraverso la mia partecipazione, ho conosciuto ciò che credevo non esistesse nel nostro paese, ma non conoscevo ancora i motivi della sofferenza di cui ero testimone; ciò che progressivamente mi si fece evidente è che la consolazione non elimina la fame né i malanni. Solo con le lotte operaie che ebbero luogo nella mia zona alla metà degli anni Sessanta […] arrivai alla comprensione della divisione sociale in classi con interessi opposti.Comprendevo il problema, ma non conoscevo ancora possibili soluzioni valide per risolverlo. Mi sfuggiva il carattere antagonista dello scontro borghesia-proletariato, e, in generale, tutta la razionalizzazione della problematica sociale. La mia visione era puramente esistenziale e la sua interpretazione idealista. Dovevo stare con quelli che soffrono ed aiutarli, dovevo fare qualcosa per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, ma non arrivavo a comprendere l'esistenza di un modo di produzione capitalista che causava lo sfruttamento della classe operaia e la repressione contro di essa.

[…]

Sarebbe stato più tardi, in una seconda tappa, che avrei avuto una profonda trasformazione ideologica che mi avrebbe permesso di collocare al suo posto ogni elemento del rompicapo. Affezionato allo studio e con l'esigenza di razionalizzare le mie esperienze, di comprendere il perché delle cose, la mia concezione religiosa della vita, dell'uomo e delle sue relazioni sociali entrò in crisi, a causa del fatto che non era sufficiente a spiegare alcuno dei problemi che mi si presentavano. Cominciai a studiare la teoria marxista.Allora si sentiva parlare di una nuova organizzazione politica patriottica e socialista che lottava per l'indipendenza di Euskadi: era l'E.T.A.. Nascevano le Ikastolas (scuole di lingua e cultura basca, NdT) e apparivano giovani che cantavano in euskara. La questione basca usciva alla luce con tutta la sua problematica. Il nostro popolo, quasi annichilito, risorgeve ed il suo risorgere si lasciò sentire anche ad Arrigorriaga. Cominciarono le lezioni notturne di euskara per adulti e coloro che parlavano basco iniziarono a superare il loro complesso arrivando a mostrarsi orgogliosi di parlare l'euskara.Come risultato di entrambi i fattori – studio del marxismo e risorgimento nazionale basco – presi chiara coscienza dell'esistenza di Euskadi come nazione differenziata, formata da sette regioni separate dalle armi degli stati oppressori, quello spagnolo e quello francese; della divisione della società in classi in lotta sulla base di interessi inconciliabili; del fatto che la stessa Euskadi non era un'eccezione in tal senso, compresi quello che fu l''evangelizzazione dell'America' per gli spagnoli e quello che furono “le crociate”, i “rossi” (termine usato in maniera dispregiativa sotto Franco per definire la galassia costituita da comunisti, socialisti, anarchici, repubblicani, ecc., NdT) ed la “gloriosa sollevazione nazionale” (il riferimento è alla sollevazione in armi di Franco contro la repubblica spagnola, NdT); che non si tratta del fatto che i ricchi aiutino i poveri, né solo che si aumentino i salari della classe operaia, ma della socializzazione dei mezzi di produzione; che per raggiungere la solidarietà sociale c'è bisogno di una profonda rivoluzione culturale e che, per questo, non basta la buona volontà, ma serve una trasformazione del modo di produzione capitalista, attualmente dominante, in un altro socialista; che per raggiungere questo scopo c'è bisogno che la classe operaia abbia il potere politico; che un apparato di stato non è neutrale e ciò obbliga la classe operaia a distruggere lo stato borghese per crearne uno proprio, che la borghesia fa ricorso alle armi quando vede in pericolo i suoi privilegi, il che porta a pensare che se la classe operaia non si pone il problema in termini simili, avremo occasione di essere testimoni di molti massacri e poche rivoluzioni.

[…]

Nel popolo spagnolo abbiamo trovato anche veri rivoluzionari che hanno saputo riconoscere l'esistenza ed i diritti del nostro popolo; ma, sfortunatamente, pochissimi. Se i partiti operai spagnoli fossero stati come questi pochi militanti, forse oggi, noi che lottiamo per l'indipendenza di Euskadi avremmo optato per un'altra soluzione più unitaria. A ogni modo, i popoli procedono verso la loro integrazione economica e politica e noi lavoratori dobbiamo rafforzare la solidarietà e l'unità internazionali sempre che non ci costringa a sacrificare la nostra personalità nazionale. Di qui, di fronte al compito di evitare scontri ed eliminare sospetti tra i lavoratori baschi da una parte e quelli spagnoli e francesi dall'altra, ed iniziare un processo di avvicinamento e di reciproco aiuto, questi ultimi devono smettere di pensare in termini di impero e devono comprendere una volta per tutte che noi lavoratori baschi non siamo né spagnoli né francesi, bensì solamente ed esclusivamente baschi, e che ciò che ci unisce a loro non è l'appartenenza ad una stessa nazione, ma ad una stessa classe.