Poco meno di un anno fa i tecnici salivano al Governo con appoggio e plauso
delle istituzioni europee per dare il via ad una stagione in cui la crisi
finalmente sarebbe stata affrontata con i criteri “oggettivi” del mercato.
Allo stesso tempo la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario
Internazionale imponevano tagli drastici specialmente in Spagna, Portogallo
e Grecia, con buona pace e complicità delle rappresentanze governative di
quei paesi a dimostrazione non solo della propria inettitudine ma anche
dell’abissale distanza dagli interessi e bisogni delle popolazioni che
erano chiamate a rappresentare.
Non c’era motivo di pensare che in Italia la ricetta anticrisi potesse
essere diversa e\o applicata in altro modo, e infatti così è stato.
Così è tuttora.
Di fronte al rischio del collasso del sistema si è messa in moto una
macchina discorsiva che a partire dai governi e per mezzo dei media, non ha
fatto altro che confezionare motivazioni “oggettive” e puramente “tecniche”
per tagliare e ridurre la spesa pubblica, privatizzare i residuali servizi,
precarizzare ulteriormente le esistenze già acrobatiche di migliaia
persone. Si spreme la vita di chi non ha alcuna responsabilità della crisi
del debito, per salvare invece proprio chi n’è stato causa: banche, gruppi
affaristici e lobby.
Un attacco indiscriminato e inarrestabile, giustificato per mezzo di una
potente retorica che incide profondamente sulla vita di tutti e tutte: la
meritocrazia.
Con la scusa di dover tagliare gli “sprechi” si diminuiscono i fondi alle
strutture pubbliche, in nome di una maggiore efficienza si privatizza, in
virtù di rivitalizzare le imprese si consegnano masse di lavoratori e
lavoratrici alla mercè del ricatto, dei contratti ad una settimana e dei
licenziamenti per telefono; Sotto la falsa necessità di riorganizzazione si
concentrano le decisioni nelle mani di pochi, che decidono per le esistenze
di tutti. Gerarchizzazione ed esclusione con una logica talmente raffinata
che sono in molti a introiettare il discorso meritocratico e a
“giustificare” questa competizione darwiniana, che ha come immediato
prodotto una lotta tra poveri.
I messaggi che vengono lanciati sono molto semplici, ridicoli, eppure
incisivi, e in un paese come il nostro che ha conosciuto a fondo la
corruzione e l’idiozia dei potenti, questi messaggi fanno presa sul
sentimento di indignazione generale: tu ce la puoi fare, dice il Verbo, tu
puoi emergere, dice il Verbo, tu potrai avere un futuro differente da tutti
gli altri, solo se ti rimboccherai le maniche, chinerai il capo, rimarrai
in silenzio e seguirai acriticamente tutte le regole del gioco. Se ti
comporterai così allora avrai successo perché te lo sarai meritato. Questa
corsa alla “realizzazione”, porta ad uno spirito di competizione smisurato
nei confronti di chi è nella tua stessa misera condizione. D’altronde, si
sa, nella crisi non tutti possono sopravvivere, qualcuno dovrà soccombere.
I nuovi fascismi che proprio nella crisi ritrovano linfa vitale poggiano
esattamente su questo principio: frammentazione, isolamento,
individualismo, concorrenza sfrenata.
Per stare al passo, per “realizzarti” devi impegnarti al massimo e anche
oltre: l’adolescente che per accedere all’Università deve superare test
senza senso, lo studente che deve collezionare esami e voti a raffica, il
precario che è costretto ad accettare lavori a qualsiasi condizione, le
esistenze di ciascuno che si adeguano ai ritmi imposti pur di raggiungere
quel Santo Successo che ci viene prescritto come unica ragione delle nostre
vite e che in ogni caso non arriverà mai. Produci, consuma ogni tua energia
finché non te ne rimarrà nessuna. Svuotati e svendi i tuoi desideri, il tuo
tempo, le tue passioni vive.
Per ottenere cosa? Il futuro che ci viene promesso non esiste, o si tratta
di briciole per pochi “privilegiati”, è bene sottolinearlo, quel futuro è
solo un’illusione, è tutta una farsa, una beffa costruita ad arte da
“tecnici” del mestiere.
La meritocrazia però sembra aver vinto, sono in molti ad accettare i
diversi e brutali ricatti perdendo di vista il limite oltre il quale dire
“No”, nella speranza, che diviene convinzione, di “meritare” così qualche
possibilità in più degli altri.
Ma chi sono questi “altri”? Chi non rientra nella nuova norma del merito, e
quindi diviene il fannullone, il mammone, lo sfigato, il choosy, che
diventa immediatamente il nemico, il “parassita” della società.
Ostracizzato, condannato non solo dai media, dato che la retorica della
meritocrazia ormai è entrata nelle parole di chi vive nelle difficoltà e
che vorrebbe rifiutare i ricatti che gli vengono imposti.
Eppure fuori dalla norma del merito si trovano in realtà tantissime
persone, senza ormai distinzione tra migranti e nativi, giovani e meno
giovani: chi si affanna ogni giorno in lavori senza alcuna speranza di
avanzamento, chi il lavoro non lo trova e chi lo perde a 40, 50, 60 anni e
trova ogni porta sbarrata, i loro figli che non sanno se l'anno prossimo
potranno ancora permettersi di andare a scuola, chi non sa come curarsi dai
veleni della produzione, chi non può permettersi di lavorare gratis per
dodici mesi di "stage formativo" perchè deve pagarsi l'affitto, o anche
semplicemente chi tenta di non farsi sfruttare.
Tutte persone per cui il “merito” di cui tanto sentiamo parlare è una
parola vacua. Fannullone è allora chi alla favola del futuro promesso non
ha l’ingenuità per poterci credere, perché al futuro non può pensarci, la
miseria del suo presente urgentemente gli impone di fermare la mente al qui
e all’ora. La meritocrazia impone dei doveri e ha un disegno,
individualizza e separa, pochi sono, e ancor di meno saranno, coloro ai
quali sarà concesso “gareggiare” per il “successo”, cedere al ricatto e
consegnare la propria esistenza ad un sistema privatizzato e selezionato.
Molti, e ancor di più saranno, coloro che ad un tale sistema non potranno
accedere: i “premi” restano per pochi.
E allora proviamo a ribaltare questa logica. Proviamo a dire che essere
#choosy è un diritto, è motivo di orgoglio, perché significa rifiutarsi di
nullificare se stessi, significa smettere di vedere un avversario in chi ti
sta accanto.
Nella forza di questa esclusione e rifiuto - da organizzare e generalizzare
- c’è la possibilità di una vita differente. La nostra ambizione è quella
di liberare la voglia di avere una vita che non sia basata sulla
competizione tra singoli, ma sulla solidarietà e la cooperazione fra molti,
non sulla separazione tra chi avrà la possibilità di gareggiare verso il
successo e chi alla corsa non sarà proprio ammesso.
La nostra ambizione è avere la possibilità di poter rifiutare ricatti e
precarietà, ribellarsi a un'idea univoca di realizzazione, accedere
liberamente ai saperi, scegliere i nostri percorsi di vita in piena
autonomia e indipendenza. Essere #choosy vuol dire questo.
La nostra ambizione è la riappropriazione collettiva di tempi, spazi,
saperi, è l’appropriazione di un reddito di esistenza che infranga le
barriere e ci ponga tutte e tutti nella possibilità di accedere
all’immaginazione di un futuro da costruire con i nostri desideri,
passioni, aspirazioni, diverse, eccentriche.
Per questo rifiutiamo i modelli “realizzati”, ben educati e obbedienti che
ci vengono proposti.
Per questo convochiamo una giornata di manifestazione, con la voglia di
proclamare al mondo il nostro orgoglio nell’essere, felicemente e
ostinatamente, choosy.
Discutiamone insieme Lunedì 3 Dicembre alle ore 20, a Bartleby in via San
Petronio Vecchio 30\A