[NuovoLab] Italia, la portaerei di Israele

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Szerző: Edoardo Magnone
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Tárgy: [NuovoLab] Italia, la portaerei di Israele
da Il Manifesto - ilmanifesto.it

Italia, la portaerei di Israele

di Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi

24/10/2012

L'Italia è la nuova «portaerei» di Israele. In meno di dieci anni, un
tassello alla volta, si completa il disegno del puzzle. Strategico,
militare, commerciale e politico. Basta avere la pazienza di
intrecciare notizie, protocolli, fotografie. Oppure seguire le scie
degli aerei, degli appalti e della diplomazia formato Finmeccanica.
Tutto funzionale alla guerra all'Iran?

Caccia israeliani in volo radente sulla Sardegna. Tornado italiani nel
deserto del Negev. Scambi di "carte" tra mercanti d'armi, benedetti
dalla Nato e dai governi (più o meno tecnici). Ecco l'alleanza «a
contratto» fra Roma e Tel Aviv.

Commesse a «somma zero»

Un preliminare «blindato», previsto dalla legge, affidato ai militari.
Chiude il cerchio della «collaborazione» avviata dall'ex ministro
della difesa Antonio Martino. Sacheon, Corea del Sud, gennaio 2012. I
vertici di Korean Aerospace Industries inoltrano l'ultima offerta ai
militari israeliani: 25-30 addestratori Golden Eagle in cambio dei
droni con la stella di David. È un affare da 1,6 miliardi di dollari.
Per di più fa contenti anche gli americani: gli aerei sono firmati
Lockheed-Martin e i robot-volanti servono a spiare la Corea del Nord.

Ilsoo Kim, ambasciatore sudcoreano in Israele, ha reso noto attraverso
le colonne del Jerusalem Post: «Spendiamo 30 miliardi di dollari
all'anno nel settore della difesa». Il governo di Seul sarebbe
disposto a dirottarne almeno 5 in radar e sistemi anti-missile made in
Israel. È quanto provano a spiegare i contractors locali: da mesi
giocano di sponda con i lobbisti al ministero della difesa. Tuttavia,
sono manovre "acrobatiche". L'aeronautica militare israeliana (Iaf) ha
diffuso una nota che tecnicamente chiude la partita. Contiene la
raccomandazione d'acquisto al proprio general staff di 30 addestratori
Aermacchi M-346 Master prodotti da Finmeccanica già selezionati da
Emirati Arabi e Singapore. Non è una specifica vincolante per il
governo Netanyahu, ma nel quartier generale di Alenia a Venegono
Superiore (Varese) stappano le bottiglie.

Il 17 febbraio il ministero della difesa israeliano ufficializza il
preliminary agreement con gli italiani. Valore: non meno di 1 miliardo
di dollari. Per Aermacchi è fatta, con relativo ritorno d'immagine
buono per altri due mega-appalti all'orizzonte (Usaf e forze aeree
polacche). Il concorrente da battere è sempre Kai.

Diventa di pubblico domino il prezzo del "successo" di Finmeccanica,
l'altra faccia della medaglia della maxi-commessa bellica vinta dalla
holding controllata dal ministero dell'economia. In cambio degli
M-346, l'Italia dovrebbe acquistare uno stock di prodotti dalle
aziende militari dello Stato ebraico. Per un miliardo di dollari. È
una partita a somma zero. L'affare di Alenia lo pagano i contribuenti.

Emerge il controvalore: l'Italia avrebbe nel mirino due aerei-radar,
ma all'Aeronautica militare fanno gola anche sofisticati sistemi
satellitari, segnalano i quotidiani a Tel Aviv. Particolari tecnici,
per addetti ai lavori, tutt'altro che secondari.

Un passo indietro

Epoca Berlusconi, con il ministero degli esteri affidato a Franco
Frattini. Già nel 2003 scatta la sintonia: il ministro Martino e il
collega israeliano (generale di corpo d'armata) Shaul Mofaz firmano a
Parigi l'accordo di cooperazione Italia-Israele nel settore della
difesa. Scenari integrati tra i due Paesi e piena collaborazione su
tutti i fronti: da licenze, royalties e informazioni tecniche
scambiate «con le rispettive industrie nella ricerca di progetti e
materiali di interesse per le parti» normate dalla legge 94/2005,
all'«importazione, esportazione e transito di materiali militari e di
difesa» con lo scambio di informazioni e hardware.

Gli effetti vengono letteralmente fotografati nell'autunno 2011. A
Decimomannu (Cagliari) gli spotter immortalano l'atterraggio di F-16 e
Gulfstream con la stella di David. Ufficialmente, manovre nell'ambito
dell'esercitazione «Vega» condotta con piloti italiani e della Nato.

Missioni non sempre regolari, come risulta dal resoconto stenografico
della seduta della Camera dei deputati del 18 novembre. All'ordine del
giorno, plana l'interdizione al volo comminata da un tribunale
militare israeliano a un pilota Iaf per aver effettuato tonneau a
bassa quota. Sulle coste della Sardegna.

La segnala il deputato Augusto Di Stanislao (Idv) con
un'interrogazione al ministero della difesa che giusto in quelle ore,
cambia: Ignazio La Russa cede il posto all'ammiraglio Giampaolo Di
Paola. La vicenda è coperta dal programma di cooperazione individuale
con Israele ratificato dalla Nato nel 2008. Di Stanislao però, ricorda
che «l'unica potenza nucleare della regione» rifiuta di firmare il
trattato di non-proliferazione.

Negli stessi giorni, dal sito internet dell'Iaf decollano altri segni
dell'«amicizia» tra Italia e Israele. A disposizione, la cronaca degli
«Hawk over Sardinia» insieme alle dichiarazioni del maggiore Baruch
Shushan, comandante dell'Aerial maintenance formation («Ci siamo
preparati per questo cinque mesi»).

Dopo i sigilli di Erdogan allo spazio aereo turco, le sessioni
congiunte Israele-Nato in Italia sono imprescindibili. Necessarie,
anche per lo stato maggiore dell'Aeronautica; in cambio, partecipa
all'esercitazione «Desert dusk» (5-15 dicembre 2011) facendo decollare
dalle basi di Grosseto, Gioia del Colle e Piacenza 25 caccia che
compiono un centinaio di missioni di volo nei poligoni della base di
Ovda, nel deserto del Negev. Un altro corollario a somma zero.

Convergenze armate

Resta da capire se gli indirizzi strategici che palazzo Chigi
impartisce all'Aeronautica corrispondono ai notam inviati dal governo
israeliano ai suoi piloti. In Sardegna si vola in funzione di
obiettivi reali: l'orografia si presta a missioni precise,
l'addestramento risulta sempre allineato agli scenari «prossimi». Si
simula un'operazione militare alle installazioni nucleari iraniane? Il
governo Monti ne è tecnicamente al corrente? Un altro dettaglio
alimenta i dubbi. Nelle esercitazioni congiunte gli aerei militari
italiani provano i sonic-boom a bassa quota con lo stesso intento
degli alleati israeliani, che lo utilizzano contro la popolazione
palestinese a Gaza?

Comunque, per testare l'inossidabilità del «patto d'acciaio» con
Israele conviene girare nuovamente il binocolo. In parallelo alle
manovre militari, dal 6 ottobre 2009 è operativo un altro fondamentale
corridoio. È il Gruppo di collaborazione parlamentare presieduto dalla
vicepresidente della commissione esteri Fiamma Nirenstein, con Luca
Barbareschi (Pdl), Emanuele Fiano (Pd) e Massimo Polledri (Lega Nord).
Lavori articolati su piani di interscambio finalizzati a solidificare
relazioni bilaterali in campo culturale e scientifico. Un ponte
diplomatico permanente, tra «democrazie occidentali», politicamente a
tutto campo. La cornice istituzionale perfetta per tenere insieme il
quadro affrescato da Finmeccanica.

L'aprile scorso il presidente Monti ha trascorso le vacanze di Pasqua
tra Ramallah e Cesarea, ribadendo il sostegno italiano al piano dei
due popoli in due Stati. Ad Abu Mazen come a Netanyahu ha ricordato la
necessità di superare lo stallo negoziale «facendo il possibile per
scongiurare il ritorno della violenza». Corrisponde al mandato Onu
affidato al generale degli alpini Paolo Serra, che dal 2 gennaio è il
comandante dei 10.988 caschi blu (di 36 Paesi) della missione Unifil
nel sud del Libano.

E qui scatta il cortocircuito: la piena esecutività di accordi,
obblighi e contratti stipulati con Israele compromette di fatto
l'«interposizione» nelle operazioni di peacekeeping. D'ora in poi,
sarà più difficile per i governi, non solo arabi, chiudere un occhio
sulla "cobelligeranza" italiana. Con tutte le conseguenze del caso.