[NuovoLab] l'altra Colombia

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23/09/2012 14:18 | POLITICA - INTERNAZIONALE | Fonte: il manifesto | Autore: Geraldina Colotti
L’altra Colombia











«I movimenti sociali appoggiano con forza i negoziati di pace in Colombia», dice al manifesto Dolly Lopez. Insieme a Francisco Tolosa, come lei rappresentante all’estero del Consiglio patriottico nazionale, organo direttivo della Marcia patriottica, Lopez è venuta in Italia per un giro di contatti con movimenti e sindacati, su invito di Nueva Colombia: dalla Rete dei comunisti, alla Fiom, dalle lunga, anche una parte della borghesia sembra aver capito che questo clima non le conviene. Tantopiù che, al contrario di quel che sostiene la propaganda governativa, la guerriglia è tutt’altro che sconfitta.
Altrimenti, perché sedersi al tavolo delle trattative?». Pur avendo subito grosse perdite durante il decennio Uribe (2002-2010), le Farc hanno ricostruito i loro effettivi e, dal 2008, sono tornate all’offensiva. Secondo un rapporto del Congresso colombiano, nel 2011 contavano una «presenza significativa» in un terzo dei municipi colombiani. Nei vent’anni che hanno preceduto la presidenza Uribe, ci sono stati tre tentavivi di negoziato, tra il 1982 e l’85, tra il ’90 e il ’92 e tra il ’98 e il 2002. L’ultimo, venne avviato dal presidente conservatore Andrés Pastrana e fu affossato soprattutto dagli Stati uniti, interessati a finanziare la macchina da guerra e il business securitario attraverso il Plan Colombia col pretesto della «lotta alla droga».
Dopo tanti negoziati andati a monte, sempre disattesi o esplicitamente boicottati dai governi, perché questo potrebbe adesso andare a buon fine? Cos’è cambiato da allora? «Intanto – dice ancora Tolosa – c’è un contesto regionale diverso, in America latina, sia in termini politici che geopolitici. Vi sono alcuni governi progressisti, come il Venezuela, la Bolivia, l’Ecuador, che insieme a Cuba stanno giocando il ruolo di facilitatori. Ci sono organismi di integrazione come l’Alba, Unasur. E c’è la Celac, la Comunità di stati latinoamericani e dei Caraibi, la cui direzione è ora del presidente cileno Sebastian Pinera».
Il miliardario Pinera, le cui politiche neoliberiste hanno portato in piazza il vasto movimento studentesco che non è ancora rientrato, serve anche a garantire le sponde più moderate, pungolate da chi ha scelto un’altra strada: come nel caso del colpo di stato «istituzionale» che ha deposto il presidente Lugo, contro il quale anche il Cile ha preso posizione, seppur con qualche distinguo. Inoltre – aggiunge ancora Tolosa – c’è il relativo cambio di indirizzo dell’amministrazione Obama, «che sostiene i passi di Santos e che, troppo impegnata sul fronte mediorientale, non sembra per ora intenzionata a tornare alle vecchie politiche in America latina». Gioca un ruolo anche il profilo di Santos, che rappresenta un’élite diversa da quella del suo predecessore, uomo dell’oligarchia provinciale, dei grandi proprietari terrieri come il cui padre – ucciso durante un tentativo di sequestro delle Farc, nell’83 – dei baroni della droga e amico dei paramilitari. Santos viene dalle grandi famiglie avvezze alla politica e al governo dei media, proprietari dell’unico quotidiano nazionale, El Tiempo , dal 1913 al 2007. Santos, che si è formato ad Harvard, non è insensibile ai processi di integrazione latinoamericani, che aprono più spazi per gli affari alla Colombia, la seconda economia del Sudamerica, davanti all’Argentina. A Santos che, a garanzia di fermezza, ha messo nel pool di negoziatori due generali in pensione, a lungo sostenitori della linea dura contro la guerriglia, le Farc hanno per parte loro voluto imporre che «anche un guerrigliero prigioniero negli Usa sieda al tavolo delle trattative», dice Dolly Lopez. Accetteranno gli Usa? «Dovrebbero considerare la portata del risultato, e non il destino di un uomo, detenuto ingiustamente nel loro stato», dice ancora Lopez. E Tolosa spiega: «Il negoziato si basa su sei punti principali, il primo dei quali riguarda la riforma agraria, gli altri attengono all’apertura di spazi di agibilità politica e di democrazia, alla fine del terrore per l’opposizione politica, a misure sociali che avvantaggino le classi popolari. Per far finire la guerra, bisogna risolvere le cause strutturali del conflitto, non si tratta di raggiungere un accordo politico di forma, una pax romana». Per questo – interviene Lopez- «la strada da seguire è quella aperta dai movimenti venezuelani, boliviani, ecuadoregni, che hanno portato al governo le loro istanze di trasformazione». Le trattative prenderanno il via ad Oslo il prossimo 15 ottobre per proseguire poi all’Avana, sempre con la mediazione di Norvegia e Cuba e il sostegno attivo di Venezuela e Cile. E mentre da Bruxelles la deputata colombiana Piedad Córdoba, da sempre in prima fila nella costruzione di una soluzione politica, chiede all’Unione europea di sostenere il processo di pace in Colombia, i rappresentanti della Marcia patriottica annunciano «una giornata di mobilitazione e uno sciopero generale per il 12 ottobre»: la giornata dell’orgoglio indigeno. «Gran parte delle popolazioni indigene – afferma Tolosa – appoggiano con forza questo spiraglio che si è aperto. Le comunità native sono le più colpite dalla militarizzazione e dalle politiche neoliberiste. Alla fine di giugno, migliaia di contadini hanno protestato contro l’istallazione della base militare Tres Cruces, nel dipartimento del Cauca. La loro lotta raggiunge quella dei movimenti che non vogliono pagare le conseguenze della crisi. Da un lato all’altro del pianeta, i nostri obiettivi sono gli stessi. Per questo, chiediamo ai lettori del manifesto e ai movimenti sociali di appoggiare il nostro percorso». Usb a Rifondazione comunista. La Marcia patriottica – spiegano i due giovani militanti – è un fronte ampio che dà voce alle diverse istanze e organizzazioni sociali favorevoli a una soluzione politica in Colombia.
Una guerra civile lunga più di cinquant’anni, che ora sembra tornata nuovamente al tavolo delle trattative, dopo una sequela di tentativi andati a vuoto. Voltando le spalle alla politica guerrafondaia del suo predecessore Alvaro Uribe, di cui pure fu ministro della Difesa, il 27 agosto, il presidente Juan Manuel Santos ha annunciato la sua disponibilità al dialogo con la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc), la più longeva dell’America latina. Come mai? «La carta della guerra – dice Francisco Tolosa – non ha funzionato, dietro la propaganda ufficiale, c’è un paese distrutto e impoverito da un decennio di politiche uribiste sostenute dai paramilitari, dalle conseguenze devastanti prodotte dal connubio Bush-Uribe. Oggi assistiamo a una rinascita dei movimenti contadini, studenteschi, indigeni, operai, che sono tornati in piazza perché non ne possono più delle misure neoliberiste e guerrafondaie.
Alla Dopo una sequela di fallimenti, governo e guerriglia tornano al tavolo delle trattative, appoggiati dai paesi progressisti dell’America latina che stanno configurando il nuovo corso del continente. Due militanti della Marcia patriottica, un fronte ampio che raggruppa le organizzazioni sociali interessate al cambiamento e alla pace, spiegano le tappe di questo percorso e chiedono la solidarietà dei movimenti.



Ugo Beiso














Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere sempre Mahatma Gandhi