Autore: Aldo Zanchetta Data: To: forumlucca Oggetto: [Forumlucca] CHI E' ALCOA
L’arte della guerra
L’Alcoa vola via sull’F-35
Manlio Dinucci
Ne è passato di tempo da quando gli operai avevano di fronte il
padrone delle ferriere. Lo ignorano però i politici e sindacalisti che
trattano la vicenda Alcoa solo come vertenza di lavoro, tacendo sulla
reale identità della controparte. Che cos’è l’Aluminum Company of
America?
Nata nel 1888 a Pittsburgh, è oggi leader mondiale nell’estrazione e
raffinazione della bauxite e nella fabbricazione di alluminio e
prodotti derivati. Gli Stati uniti hanno però poca bauxite, i cui
giacimenti si concentrano in Sudamerica, Africa, Russia, Cina, Sud-Est
asiatico e Australia. L’Alcoa ha quindi sempre cercato di accaparrarsi
la materia prima, ovunque e comunque. La sua storia è perciò intessuta
con quella dell’imperialismo Usa.
Non a caso, dopo il colpo di stato orchestrato dalla Cia in Indonesia
nel 1965, con il massacro di oltre un milione di persone, fu l’Alcoa a
ottenere dal dittatore Suharto la più grossa fetta della bauxite
indonesiana. Fu ancora l’Alcoa che, dopo il colpo di stato organizzato
dalla Cia in Cile nel 1973, riottenne da Pinochet il controllo della
bauxite, nazionalizzata da Allende. Non è neppure un caso che il
presidente del Paraguay, l’ex vescovo Fernando Lugo, che voleva
nazionalizzare le miniere di bauxite dell’Alcoa, sia stato destituito
lo scorso giugno con un golpe bianco organizzato dalla Cia.
Il potere dell’Alcoa, che possiede oltre 200 impianti in 31 paesi di
tutti i continenti, va ben oltre l’attività industriale. Come emerso
da Wikileaks, dietro l’Alcoa ci sono le più forti oligarchie
finanziarie Usa, dalla Citicorp alla Goldman Sachs (di cui Monti è
stato consulente internazionale). C’è il complesso
militare-industriale: l’Alcoa Defense, il cui fatturato è in forte
crescita, fabbrica speciali leghe di alluminio per missili, droni,
blindati, navi e aerei da guerra. Per i caccia F-35 produce elementi
strutturali di primaria importanza (trasversali alla fusoliera in
corrispondenza delle ali e interni alle ali).
In tale quadro di poteri forti è maturata la decisione strategica
dell’Alcoa, dovuta a ragioni non solo economiche ma politico-militari:
quella di realizzare in Arabia Saudita il più grande ed economico
impianto integrato per la produzione di alluminio. Nel maxi impianto,
che entrerà in funzione l’anno prossimo con energia e manodopera
(soprattutto immigrata) a basso costo, sarà trasferita anche la
produzione Alcoa di Portovesme e forse di Fusina.
Si conclude così l’operazione varata e perfezionata dai governi Dini,
Prodi e D’Alema. Nel 1996 l’Italia cedette all’Alcoa il gruppo Alumix
a partecipazione statale, base dell’industria nazionale
dell’alluminio, quindi le fornì tramite l’Enel energia elettrica a
prezzi fortemente scontati. Tale agevolazione, concessa tramite
rimborsi anche dai successivi governi (Amato, Prodi e Berlusconi), è
stata pagata dagli utenti italiani con un aggravio delle bollette per
miliardi di euro, finiti nelle casse dell’Alcoa.
Spremuto il limone, l’Alcoa se ne va. Lasciandosi alle spalle non solo
lavoratori sul lastrico, ma danni ambientali e sanitari provocati da
emissioni chimiche e rifiuti di lavorazione, che richiedono altri
esborsi di denaro pubblico. Non tutto è perduto però: l’alluminio
Alcoa tornerà in Italia. Dentro gli F-35, che ci costeranno altri
miliardi di euro.