ROBERTO ROVERSI, UOMO DI PARTE
Il nostro ricordo, i suoi articoli per Zic, l’intervista a Gilberto Centi
Partigiano e poeta, Roberto Roversi collaborò con Zero in condotta
(nella sua versione di quindicinale cartaceo) dal 1995 al 2001. Il
ricordo di Roversi nel nostro editoriale, alcuni dei suoi articoli
pubblicati su Zic (che nei prossimi giorni verranno ristampati in un
numero speciale) e l’intervista rilasciata da Roversi a Gilberto
Centi, sempre per Zic, a metà degli anni Novanta.
Gli articoli al link:
http://www.zic.it/roversi-speciale/
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Editoriale / Roberto Roversi, uomo di parte
Roberto Roversi non ha mai amato che si parlasse troppo di lui, chissà
se sarà infastidito dalle tante luci che la Bologna ufficiale ha
acceso sulla sua persona, dopo la sua scomparsa.
L’attuale rettore dell’Università ha detto: “Si tratta di vedere se
noi sapremo essere all’altezza di questi maestri”. C’è poco da vedere,
la classe dirigente di questa città non è assolutamente all’altezza di
un intellettuale rigoroso, di un uomo di cultura “vero” come Roberto
Roversi. Soprattutto, come nel caso dell’Ateneo, se Senato Accademico
e Rettore elargiscono per “servilismo ignorante” lauree honoris causa
come quella all’ex presidente della Banca Centrale Europea Jean Claude
Trichet o contribuiscono, come fece l’Università nel 1999, alla
scrittura della Carta di Bologna, che fu una vera e propria
dichiarazione di sottomissione del sapere all’impresa.
Roberto Roversi era allergico alle celebrazioni, alla frequentazione
dei poteri e delle autorità, se ne stava alla larga dagli ambienti
accademici e da quelli contaminati dal presenzialismo. La sua coerenza
aveva tenuto lontani gli ammiccamenti provenienti dai palazzi del
potere. Non si fidava delle istituzioni perché le considerava “sempre
tremende, inesorabili, sostanzialmente indifferenti e solo parolaie”.
Del resto, Bologna non aveva mai recepito le sue scosse. Lui non
cercava consensi e diceva: “Non si vive senza nemici. Uno dei vuoti
che più si avverte in giro è questa generalizzazione del consenso
seppure mistificato dentro ai mugugni. Bisogna risvegliare i leoni
perché ci azzinnino. Perché nella maretta non si vive: ci vuole mare
forza dieci per poter navigare nel mare che cerchiamo”.
La sua coerenza gli fece pagare dei prezzi, ma il suo stare ai margini
non lo faceva essere né schivo né solitario. Anche se non partecipava
ad eventi e a dibattiti, era sempre bene informato. Con la mente non
se ne stava rintanato. Prima dalla libreria Palmaverde, poi dalla sua
casa vicina la Mercato delle Erbe, guardava senza condizionamenti e
con curiosità quello che avveniva in città. Lui non dava giudizi
morali, ma trovava le parole necessarie come nessun altro. Come quando
un bambino di una coppia di genitori senza casa morì per il freddo in
Piazza Maggiore: “La verità è che questa società fa schifo e Bologna
ci sta in mezzo”.
Roversi era un uomo di parte. Era brusco con gli accomodanti, ma aveva
una grande pazienza e attenzione con i giovani, poco immportava se
fossero poeti o scrittori. Leggeva le loro cose, li incontrava, li
esortava di continuo. Gilberto Centi, che era stato suo allievo e
grande amico, sosteneva che la sua “intransigenza” fosse
sostanzialmente rabbia politica. Che nasceva dalla convinzione di non
aver nulla da insegnare e di voler continuamente imparare.
Una delle scelte più forti che ha fatto nella sua vita è stata quella
di rifiutare le proposte che, in vari momenti, grandi editori gli
fecero. Infatti, sosteneva: “All’interno di questo mondo così
fortemente scompaginato, in cui le situazioni si radunano e si
consolidano solamente al vertice, in basso c’è ancora una quantità di
buchi-neri, di vuoti che si possono riempire”.
Seguendo questo filo conduttore, perseguì la più totale e radicale
indipendenza per la diffusione delle sue idee. Continuò negli anni la
sua ricerca culturale e politica con produzioni editoriali
autogestite, attraverso ciclostilati, libretti e riviste autoprodotte.
E a spedirli, su richiesta, era direttamente lui. Erano fogli quasi
clandestini, ma per chi aveva la fortuna di leggerli erano molto
preziosi. Roversi pensava che attraverso la letteratura si potesse
fare realmente un discorso che scavasse nel politico, senza perdere di
intensità. Aveva profondamente ragione.
Roberto Roversi era nato a Bologna nel 1923. Prese parte alla lotta di
Liberazione, combattendo nella Resistenza in Piemonte. Oltre ad essere
uno dei più grandi poeti italiani è stato saggista, drammaturgo,
narratore, scrittore di testi musicali e, soprattutto, un grande
promotore culturale antagonista. Nel maggio 1955, con Pasolini e
Leonetti fondò la rivista “Officina”. La copertina era di un
cartoncincino solitamente usato per gli imballaggi. Nel retro del
primo numero c’era scritto: “fascicolo bimestrale di poesia”. Le
pubblicazioni proseguirono fino al 1958.
Nel 1961 fondo il quarimestrale di ricerca letteraria “Rendiconti”. Il
primo ciclo di pubblicazioni durò 17 anni. Dopo una lunga sospensione
per motivi economici, la pubblicazione della rivista riprese negli
anni novanta.
Negli anni settanta Roversi scrisse numerosi testi di canzoni per
Lucio Dalla negli album “Il giorno aveva cinque teste”, “Anidride
solforosa” e “Automobili” e per gli Stadio scrisse “Chiedimi chi erano
i Beatles”. Negli stessi anni diede anche il suo nome come direttore
responsabile di Lotta Continua, in solidarietà col giornale, contro
una legge fascista sulla stampa che richiedeva un giornalista iscritto
all’Ordine per dirigere la testata.
Roversi ha gestito per quasi sessant’anni, dal 1948 al 2006, con la
moglie Elena, la libreria antiquaria Palamaverde.
Zero in condotta, nel periodo in cui era quindicinale cartaceo, ebbe
la fortuna di averlo come collaboratore, dal 1995 al 2001. Con alcuni
dei suoi articoli, nei prossimi giorni, stamperemo un numero speciale
che gli sarà dedicato.
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