[RSF] Chiedere conto delle vite a chi decide di non farle co…

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Szerző: le venticinqueundici
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Tárgy: [RSF] Chiedere conto delle vite a chi decide di non farle contare
*Chiedere conto delle vite a chi decide di non farle contare
*
Più di 80 persone disperse. E’ questo il racconto che ci arriva dai
sopravvissuti dell’ultimo naufragio sulle coste di Lampedusa avvenuto nella
notte di giovedì 6 settembre. E mentre l’Italia metteva in scena la
macchina dei soccorsi, ormai rodata in anni di abitudine, in Tunisia stava
accadendo qualcosa di nuovo. Dapprima in rete e poi da ieri, lunedì 10
settembre, una protesta a Tunisi davanti al Ministero degli esteri, una
manifestazione in serata, un’altra manifestazione a Sfax, uno sciopero
generale a El Fahs, nel governatorato di Zaghouan, luogo di provenienza di
alcuni dei dispersi e la collera dei genitori e dei parenti, hanno fatto
muovere il governo tunisino, accusato nei primi giorni non solo di
immobilismo ma addirittura di indifferenza per aver partecipato alla
celebrazione di un matrimonio collettivo anziché proclamare il lutto
nazionale. Attualmente, una delegazione con a capo il segretario
all’immigrazione Jaziri si trova sull’isola di Lampedusa, da cui, per la
prima volta, anche questa un’assoluta novità, giungono parole di lutto non
trattenute da frasi di circostanza dalla neo-eletta sindaca dell’isola,
Giusi Nicolini, che si spinge a suggerire quanto “sia assurdo farli
arrivare in questo modo”. Un’allusione, seppur velata, alle responsabilità.

Già, perché questo è il punto, di chi sono le responsabilità? Il naufragio
di giovedì è solo l’ultimo di una lunga serie di morti e dispersioni
avvenute nel corso di ormai lunghi anni nel Canale di Sicilia e in altri
luoghi del Mediterraneo. Un cimitero marino che ha sommerso le vite e i
desideri di migliaia e migliaia di corpi, di donne, uomini e bambini. Ad
ogni naufragio un fiume di parole di commenti, molte o poche, a seconda
dell’emozione suscitata, e poi un nuovo silenzio in attesa di quello
successivo. Certo, sta accadendo qualcosa di nuovo dopo il naufragio di
giovedì, sarebbe assurdo non vederlo, come qualcosa di nuovo è già accaduto
in Tunisia da molti mesi, da quando le mamme e le famiglie di altri
“dispersi” hanno cominciato a chiedere conto alle istituzioni del loro
paese così come a quelle italiane della vita dei loro figli, partiti subito
dopo la rivoluzione e declinando così, come libertà di movimento, la
libertà appena conquistata. Come gruppo di donne che in vari modi ha
sostenuto la lotta di queste famiglie, non vorremmo, però, che anche questa
volta, in cui accanto alle parole ci sono azioni di rivolta, si eludessero
alcune verità.

Non è dell’acqua del mare la responsabilità di quei morti e dispersi. Non è
dell’eventuale lentezza dei soccorsi, seppure anche su di essa di volta in
volta sia necessario indagare. Non è nemmeno un problema di affinamento dei
sistemi e delle tecnologie di controllo, come in questi giorni con stupore
abbiamo letto sulla rete in alcuni appelli di associazioni europee. I
controlli sono già lì, con tutte le loro tecnologie, tra le più affinate e
avanzate, volte a produrre esattamente questo: corpi che passano e corpi
fantasmi, morti o dispersi che li si voglia chiamare. Non è la rete del
“traffico degli umani” quella a cui chiedere conto, perché, insieme alle
morti, quella rete è prevista e voluta dalle attuali politiche migratorie.
Non è, da ultimo, il governo tunisino quello a cui addossare la colpa dei
suoi pochi controlli lungo le coste, della sua iniziale immobilità e della
sua insensibilità, per quanto offensiva. O meglio, non è questo il vero
problema. Certo, la proclamazione di un lutto nazionale, anziché la
celebrazione di un matrimonio, sarebbe stato un passo significativo, ma
persino il lutto e il pianto collettivo, a volte, possono servire a coprire
anziché a svelare le responsabilità.

Rischiamo tutte e tutti, in questi giorni, proprio mentre qualcosa di nuovo
sta accadendo, di lasciarci prendere da un inganno, o da un “grande
inganno” se ci fermiamo a questo senza chiedere conto sino in fondo di
quelle vite. A chi farlo? Alle politiche di governo delle migrazioni,
dettate dall’agenda dell’Unione europea, e ai loro molteplici attori:
l’Italia e il precedente e l’attuale governo tunisino per la loro
complicità nel permettere tali politiche, in questo caso, le agenzie di
controllo delle frontiere, le organizzazioni intergovernative a loro volta
portatrici di un’idea di governo della mobilità. Uniche e unici
responsabili di quelle morti e ancora una volta di non rispondere alla
domanda essenziale: perché quelle donne e quegli uomini non hanno potuto
prendere una nave di linea, un aereo, un qualsiasi mezzo di trasporto
concesso ai cittadini europei per attraversare quel breve tratto di mare
che divide le due sponde del Mediterraneo? Chi decide e perché questa
differenza tra le due possibilità di mobilità? Il resto è un “resto”,
previsto nella logica di tali politiche: a partire da quelle morti, dal
Mediterraneo come cimitero marino, dalla lentezza o dalla solerzia dei
soccorsi, dalla macchina tecnologica di un sapere più o meno affinato per
il filtro del passaggio delle esistenze che potranno arrivare, per essere
espulse o clandestinizzate, e di quelle che dovranno essere sommerse
dall’inconsapevole complicità del mare.

“Un resto”, in cui, proprio i migranti tunisini con il loro agire la
libertà, compresa quella essenziale di movimento senza cui la parola
libertà rimane una parola vuota, ci hanno detto di non voler rimanere
imbrigliati. “Un resto” di cui dapprima le madri e le famiglie dei giovami
dispersi nel 2011 e ora le famiglie dei dispersi di quest’ultimo naufragio
chiedono conto, insegnandoci che quel “resto” sono vite, figli, esistenze e
desideri.

Quel “resto” sono vite che contano e di cui chiedere conto a chi decide di
non farle contare.

Crediamo sia questo il messaggio che ci arriva in questi giorni dalla
Tunisia: una ribellione collettiva contro le politiche migratorie come
parti integranti di un governo economico sulle vite che le sta inghiottendo
su entrambe le sponde.

Le venticinqueundici
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