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Banche, grandi opere e debito pubblico - Alberto Ziparo da Il Manifesto

COMMENTO - Alberto Ziparo
La grande Tav europea perde pezzi: via Lisbona e via Kiev, niente
Slovenia, Ungheria e Polonia, la Spagna non ha soldi. E l'alta
velocità si conferma per Madrid il più grosso fattore di default
producing. Solo in Italia c'è ancora chi, nel Pd, teorizza la
formazione di capitale finanziario a debito
La Spagna non resta al centro dell'attenzione per i cento miliardi di
euro di "soccorso europeo", che ovviamente non vanno agli spagnoli, ma
alle banche del paese, piene di poste insolvibili, di debito pubblico
e privato. Ma cosa hanno finanziato negli anni scorsi con capitale che
adesso si è liquefatto? A cosa sono dovuti i titoli tossici che oggi
il grande management politico - finanziario si affanna a voler
rimuovere? Al finanziamento di un modello di sviluppo vacuo, fasullo e
dispendioso, che nel recente passato ha posto la Spagna in perfetta
linea con l'iperconsumismo folle e dannoso che ha caratterizzato
praticamente tutto il sistema economico occidentale; fino a
sprofondare nella crisi attuale.
Si sono allora favoriti anche in quel paese mutui privati per prime,
seconde e terze case, villaggi turistici, alberghi, esercizi e centri
commerciali. Mentre si spingeva il settore pubblico "verso l'Europa",
con un'inflazione di grandi opere: l'unica direttrice di mobilità
iberica che avrebbe giustificato l'alta velocità (il più grosso
fattore di default producing , come ammesso dallo stesso Zapatero) era
la Barcellona- Madrid. Invece di limitarsi alla realizzazione di
quella linea, gli spagnoli si sono fatti travolgere dall'arrogante,
quanto stupida ed interessata, retorica delle grandi opere per
modernizzare il paese, collegarsi al continente e simili panzane che
ascoltiamo quotidianamente anche dalle nostre parti. Si sono così
realizzate cinque tratte di alta velocità, aprendo una voragine di
risorse pubbliche; all'inizio coperte dall'azione degli istituti
bancari e finanziari, ma che lo stato oggi non riesce a rifondere.
Tra le altre si è realizzata la discutibile linea Barcellona -Lione,
che dovrebbe adesso proseguire con la Torino-Lione, una direttrice la
cui domanda di traffico non giustificherebbe neppure i lavori di
ristrutturazione della vecchia linea storica, ma che trova invece
massimo sponsor nella fondazione Banco San Paolo,una struttura in
grado di condizionare molta governance, il cui vicepresidente è oggi
l'ex "bravo sindaco" di Torino, Chiamparino, da sempre un ultrà della
Tav in Val Susa.
Se si vanno invece a verificare la condizioni del famoso corridoio 5
Lisbona - Kiev, in nome della cui urgenza si bastonano i valsusini, si
scopre che quasi non esiste, neppure nella pianificazione ufficiale
Ue, al di là di qualche schema di massima e delle note stampa. Dal
punto di vista dell'attuazione reale si è davvero in alto mare: il
tratto portoghese è stato cancellato ufficialmente da quel governo;
del tratto spagnolo oltre Barcellona, l'attuale governo iberico non
vuole neppure sentire parlare (ovvio per un'economia già affogata da
grandi opere); poi c'è il citato tratto Barcellona - Lione, quindi il
contestatissimo segmento fino a Torino -per la gioia dei valsusini- e
quello fino a Milano, realizzato, ma tuttora non usato (ad oggi l'alta
velocità passa per la linea storica). Il tratto Milano - Brescia
dovrebbe essere almeno progettato con la prossima cascata di miliardi
promessa da Passera. Per il resto della tratta italiana non c'è
neppure il progetto di massima. Usciti ad est dall'Italia, della linea
non esiste praticamente nulla: la Slovenia ha addirittura interrotto i
collegamenti storici con Trieste, in Ungheria e Polonia non sanno di
cosa si parla, l'Ucraina chiede un sistema di collegamenti moderno per
l'area metropolitana di Kiev, non l'AV.
In Italia invece sembra di essere ancora nello scorso decennio, se non
nel novecento. Non solo in Val Susa, ma anche a Firenze, dove
istituzioni locali e Rfi insistono nel volere attraversare la città
con un megatunnel ed una stazione sotterranea ad altissimi impatti e
costi, litigando anche con l'università che rilancia il semplicissimo
passaggio di superficie.
In questo Bassanini e Violante teorizzano ancora la formazione di
capitale finanziario a debito, mirato alle grandi opere per l'Europa,
la modernità, la crescita, e amenità varie, condizionando tuttora la
dirigenza del Pd ed evidenziando ancora -ove ce ne fosse bisogno- i
legami tra apparati di partito e imprenditoria finanziaria e
immobiliare. Rischiando però su questo di acuire uno dei fronti di
crisi più aspri per qualsiasi potenziale coalizione politico
elettorale di centro- sinistra (a meno di voler rinunciare alle grandi
soggettività che hanno permesso di vincere, oltre al referendum, le
amministrative di Milano, Napoli e Cagliari prima, di Palermo e Genova
più di recente). E Grillo incombe.
Già, perché l'idea della centralità delle strutture finanziarie
bancarie è contestata, oltre che da parti rilevanti della sinistra
istituzionale e radicale (da Idv a Sel a Fds) certamente dai
rappresentanti dei movimenti, compresa la neonata "Alba", che
richiedono la priorità di politiche sociali (lavoro) a forte
connotazione ambientale (beni comuni).
Il Pd dunque deve riuscire a fare i conti realmente con la fase
attuale, e assumere la centralità di temi come lo stop alle grandi
opere e al consumo di suolo, la necessità di una green economy
territorializzata a base locale, la creazione di lavoro su istanze
socialmente innovative di cui il paesaggio fornisca limite e cifra,
qualitativi, quantitativi ed eco morfologici. Oppure è bene che quel
partito segua il suggerimento di D'Alema, tuffandosi nell'abbraccio
del Grande Centro. E lasci provare ad una nuova classe dirigente
realmente democratica e progressista di candidarsi a governare
l'Italia in nome degli interessi della società presente e futura e non
delle lobby.