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G8: undici anni dopo la Diaz, Genova ricorda e si interroga


Genova. Ieri piazza Alimonda, oggi la Diaz. Undici anni dopo Genova ricorda i tragici giorni del G8 di quel lontano, ma sempre vicino, luglio 2001 e si interroga: dopo le recenti sentenze della Cassazione, quanta giustizia è stata fatta? La riflessione, a poche ore dalla fiaccolata che come ogni anno da piazza Terralba ripercorre le vie del capoluogo fino alla scuola di Albaro, che proprio un sabato di undici anni fa fu teatro della “macelleria messicana”, è stata affidata ad alcuni di coloro che il G8 lo vissero sulla propria pelle.

In mattinata invece Marc Covell, una delle vittime dei pestaggi del 20 luglio 2001, a cui l’anno scorso l’allora sindaco Vincenzi conferì la cittadinanza onoraria, ha scritto una lettera aperta al nuovo sindaco Marco Doria per chiedere che la scuola Diaz venga aperta alle vittime almeno un giorno all’anno. Una richiesta fino a oggi caduta nel vuoto per le resistenze della preside dell’istituto e nonostante la ricorrenza dei fatti della Diaz cada a luglio inoltrato, periodo di inattività scolastica.

“Dopo le sentenze, la lezione di Genova 2001″, il titolo del dibattito con cui oggi Genova ricorda la ferita inferta undici anni alla democrazia. L’avvocato Emanuele Tambuscio, uno dei legali delle vittime dei pestaggi alla scuola Diaz, ha fatto il punto sullo stato dei processi, alla luce dei punti messi dalla Cassazione e dei procedimenti che ancora oggi invece rimangono aperti. L’avvocato, come annunciato nei giorni scorsi, ha ribadito che i legali delle parti civili presenteranno ricorso alla Corte di Strasburgo contro il governo italiano per il mancato rispetto dell’art.3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”), dal momento che i reati di lesione sono stati prescritti prima della condanna definitiva.

Sull’altro fronte processuale, quello che ha visto la conferma della condanna da parte della Suprema Corte per dieci persone accusate di devastazione e saccheggio, Simonetta Crisi, difensore di Alberto Funaro, uno degli imputati, oltre alla sproporzione della pena (fino a dieci anni di carcere) ha evidenziato quanto sia pericoloso, in un periodo di profonda crisi economica come l’attuale, convalidare questo tipo di reato dal punto di vista sociale.

Monito e autocritica da parte di Haidi Giuliani, madre di Carlo, il ragazzo ucciso il 19 luglio da un proiettile sparato da una camionetta dei carabinieri. “Ieri in piazza Alimonda ho visto tante facce che ormai posso dire di conoscere una per una, ma il resto d’Italia si è mai ribellata ai fatti di Genova? Forse ci meritiamo questi pm e questi parlamentari che non hanno introdotto il reato di tortura, perché non ci siamo mai ribellati abbastanza”, ha detto la madre di Giuliani durante il dibattito.

E sul reato di tortura, la cui introduzione è stata affossata dal parlamento nel 2008, si è pronunciato anche Michele Miravalle, dell’associazione Antigone che ha dato il via a una petizione online “Chiamiamola tortura” per chiederne l’inserimento nell’ordinamento giuridico. “Al dipartimento Giustizia ci hanno sempre ripetuto che in Italia la tortura è cosa rara – ha raccontato Miravalle – ma non è così, in carcere ad esempio è una terribile quotidianità”.

“Riprendiamo il filo di chi eravamo undici anni fa”, ha rilanciato poi l’ex portavoce del Genoa Social Forum, Vittorio Agnoletto. “Oltre a spingere sul percorso di democratizzazione delle forze di polizia, riprendiamo le ragioni per cui nel 2001 nacque quel preciso movimento”.

E per non dimenticare Genova si dà appuntamento stasera alle 21 in piazza Terralba per la fiaccolata che arriverà sotto i cancelli della scuola Diaz.