Dedicato a tutte le vittime senza giustizia; dedicato a tutti gli uomini e le donne calpestati dal potere
 
 
 
 
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  27/06/2012 07:15 
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 Nel ricordo di tutte le Vittime della strage di Ustica
In questo mondo esistono coloro che 
pur avendo dedicato una vita nel rispetto innanzitutto della propria 
dignità di essere umano, non viene concessa neanche la gloria di un 
piccolo riflettore. Bisogna essere "accreditati" da qualcuno o da 
qualcosa per essere credibili per l'opinione pubblica. Così, anche chi 
dovrebbe fare Memoria cade nel gioco del potere limitandosi a vedere le 
cose che si vogliono vedere. Abbiamo pensato di andare in controtendenza
 rispetto a quanti oggi sprecheranno parole di rito per ricordare che la
 strage di Ustica grida ancora giustizia. Ma questi coloro ometteranno 
di ricordare le responsabilità italiane dirottandole su altri Stati. E 
se noi cittadini cosiddetti "impegnati", anzi di ascoltare i guru 
dell'informazione, avessimo la volontà di studiare, di andare incontro 
la nostra storia ci renderemmo conto che siamo stati ingannati dal 1943.
  L'Italia è un paese senza giustizia. L'Italia è un paese senza 
Memoria. Se non abbiamo il coraggio di chiederci veramente chi sono i 
mandanti dei Portella della Ginestra; i mandanti dell'omicidio di Pio La
 Torre; i mandati delle stragi di Stato; i mandanti della strage di 
Ustica; chi decide che la Sicilia deve diventare la portaerei dei Droni 
nel Mediterrane,... se non abbiamo il coraggio di farci queste domande, 
allora finiamola di definirci "impegnati" perché il nostro impegno senza
 Memoria è strumentale a chi ha fatto dell'oblio il sedativo di una 
intera popolazione. 
Ass. Antimafie "Rita Atria"
Riportiamo la prefazione di un libro che ad oggi rimane affidato ad un pdf.
 Ad oggi si è preferito non andare fino in fondo a quanto denunciato da 
chi dopo anni e anni sta lottando per dimostrare di essere stato radiato
 dall'A.M. con una firma del Presidente Pertini definita falsa da un 
perito calligrafico [processo ancora in corso e quindi ometteremo di 
rendere pubblica la documentazione].
IMPOSSIBILE PENTIRSI
di Mario Ciancarella 
Prefazione dell'Autore - (scritto nei primi anni '90, ndr.)
Questa è la storia di un perdente. Una
 storia iniziata sui banchi e sui piazzali della Accademia Aeronautica e
 approdata sui banchi degli imputati in procedimenti militari - penali e
 disciplinari - che si sono conclusi con l'infamante provvedimento della
 rimozione dal grado e della conseguente espulsione dalle Forze Armate. 
Ma è una storia non ancora conclusa, anche se molti ed in molti modi 
avrebbero voluto scrivere la parola "Fine".
E' anche la storia di altri perdenti. 
Perchè è la storia di una speranza - una utopia forse - perseguitata e 
violentata come tutte le speranze della storia. Essa diviene infatti un 
"pezzo" della storia del Movimento Democratico dei Militari e un pezzo 
della storia di alcuni degli uomini che si riconobbero nei valori e 
nelle speranze di quel Movimento.
Nel tentativo cioè di dare dignità e 
coscienza costituzionali ad un mondo separato, come erano le Forze 
Armate; e dare diritto di cittadinanza per la Costituzione 
"Democratica", i Suoi principi e le Sue garanzie, in una Istituzione che
 conservava invece intatta la natura "aristocratica ed antipopolare" 
della sua originaria vocazione, e che si autoriconosceva ed attribuiva 
un ruolo "sovracostituzionale" di "Potere Militare".
Questa natura e questa realtà sono 
spesso ben occultate dalla retorica di uomini ed ambienti politici che 
continuano a pensare se stessi come detentori del potere - "i Principi" -
 di cui le F.A. dovrebbero rappresentare la garanzia pretoriana per la 
conservazione. Sono al tempo stesso ben mimetizzate agli occhi della 
Pubblica Opinione dalla "apparente e dichiarata mansuetudine" 
delle stesse F.A. alle funzioni ad esse costituzionalmente attribuite. 
Una mansuetudine tuttavia smentita da vicende storiche che si 
rincorrono, senza soluzione di continuità, dalla fine della Seconda 
Guerra Mondiale: dal Sifar a Gladio, dai ripetuti "piani" - ora "Solo", 
ora "Borghese", altre volte rimasti ignoti alla pubblica opinione (ne 
illustreremo alcuni in questo libro) - alle infinite stragi impunite.
Sempre per dare corpo ai "montanti furori" più o meno dichiarati, che altri celiavano come "tintinnio di sciabole".
Non era certamente facile opporsi a 
questo sistema autoritario e violento che stravolgeva ogni previsione 
costituzionale, e tuttavia dovevamo provarci. Per fedeltà al giuramento 
fatto a quella Costituzione, per fedeltà a noi stessi ed a quello che, 
con quel giuramento, avevamo accettato e scelto di essere: i garanti 
della Democrazia e della Libertà, per i cittadini di questo Paese e le 
sue Istituzioni, a qualsiasi costo. E naturalmente abbiamo perso. Con la
 stessa consapevolezza con cui avevamo ingaggiato la lotta. Con la amara
 esperienza di aver combattuto per lo Stato, ma di non aver potuto 
combattere con lo Stato, perchè pezzi interi di quello Stato erano 
schierati contro di noi,
nel campo avverso.
La storia dei perdenti potrebbe 
sembrare inadeguata in momenti storici in cui si celebra la 
società della apparenza e del successo.
Ma è la storia ad insegnare che si può
 essere perdenti senza essere mai vinti. Che il cammino della storia è 
un cammino di civiltà solo per la ostinazione dei perdenti; mentre i 
tanti "vincenti" della storia quasi mai hanno raggiunto e raccolto la 
pienezza della vittoria. Il potere, raggiunto e conservato con la 
violenza e la ferocia più ignobili, non ha spesso resistito ai rovesci 
di una storia che conserva tutta la sua profonda ironia per le smanie ed
 i desideri di onnipotenza di piccoli uomini.
Non è necessario scomodare la memoria 
delle brevi ed effimere stagioni del Nazismo e del Fascismo e le loro 
tragiche conclusioni di cui Piazzale Loreto conserva tutto il suo 
spessore simbolico (che ben difficilmente le sequenze di un qualsiasi 
"Combatt-film" potranno riuscire a sminuire). Basta guardare alla storia
 di Hammamet, dei tanti finanzieri d'assalto degli ultimi anni, 
ai tragici ma miseri suicidi (perchè tali rimangono, cioè miseri, 
rispetto ad un gesto che in altri tempi o per altri uomini ha sempre 
avuto ed avrà una dimensione di altissima dignità e capacità di 
lottare oltre il sopportabile) dei grandi uomini della finanza e della 
politica corrotte, quando, ormai scoperti nelle loro miserie ed 
ignobiltà, non hanno saputo stare di fronte alle proprie responsabilità.
 Ed anche in questi finali amari e tragici hanno trovato il conforto dei
 "grandi" - Vescovi o politici - incapaci di analizzare i crimini contro
 i "poveri" di coloro che furono loro amici, pupilli, compagni di mense,
 non certo frugali.
Bisogna invece che noi conserviamo ed 
alimentiamo la memoria della violenza che hanno operato gli aspiranti 
vincitori. Ricordare non basta. Memoria è un ricordo "attivo" che vuole 
comprendere i meccanismi, le cause e dunque le ragioni che determinarono
 una storia, e sa rileggerle nel presente per capirne le "mutazioni" e 
le mimetizzazioni nelle forme nuove in cui quella stessa violenza 
torna e tornerà ad esercitarsi. Forme diverse sempre più evolute e 
sofisticate. E' dunque solo la Memoria a dare senso al proprio impegno 
per costruire un futuro in cui si possa sperare che quella violenza non 
torni a mostrarsi, con volti diversi ma la con medesime atrocità, per il
 nostro passivo ed ignaro consenso.
Perdere "la Memoria storica" ci rende 
estranei a noi stessi, incapaci di riconoscere le nostre radici, di 
capire il nostro presente, di costruire un qualsiasi futuro.
Non ci è lecito dimenticare che il 
desiderio di Liberazione e di Dignità di ogni Popolo, la ricerca 
di Verità e Giustizia di ogni uomo non sono mai stati completamente 
soffocati e vinti dalla repressione e dalla violenza, dalle persecuzioni
 e dagli stermini. Perchè sempre qualcuno si è alzato a rivendicare la 
forza dei Valori dell'Uomo. E la Vita è sempre stata vittoriosa sulla 
morte e sui suoi gabellieri. Non è solo il popolo Ebreo ad aver 
riconosciuto conservato e sviluppato la sua profonda dignità ed identità
 dalle persecuzioni patite nella storia. E' l'Uomo che ha ricosciuto via
 via la sua originaria sovranità come Umanità-Persona dalle infinite e 
tragiche violenze della storia.
Ed in questo cammino di liberazione 
anche i "salvatori" di un particolare e contingente frangente della 
storia sono avvertiti per quello che sono: strumenti, solo strumenti di 
una storia che "non ha bisogno di loro come uomini della Provvidenza". 
Essi spesso si fanno invece da liberatori che furono, i nuovi dispotici 
padroni. Accadde con Ciro di Persia, è accaduto con gli Stati 
Uniti d'America, accadrà ogni volta che, di fronte ad una liberazione, i
 piccoli ed i semplici non saranno aiutati a rivendicare la propria 
dignità. Perchè ogni liberazione è un atto dovuto all'Uomo, dunque a se 
stessi. E come tale è atto dovuto ogni prezzo, ogni sofferenza pagata 
per raggiungere quella liberazione: per raggiungerla insieme, vittima e 
"liberatore".
E così per quanto "i vincenti" possano
 rifugiarsi nella celebrazione del potere, dell'impotenza dei singoli di
 fronte ad esso, rimane la angosciosa domanda di Pilato: "Cos'è la Verità?",
 di fronte alla sconcertante rivelazione che gli veniva da un perdente 
assoluto e che gli ricordava quanto effimero fosse il suo potere, 
comunque condizionato dalla sottomissione ad un potere più grande del 
suo.
Eccezionale analisi politica e sociale
 di un "povero" che altri nella storia ha poi storpiato ed 
usato (volendola spacciare come affermazione della natura "divina" di 
ogni potere politico) con l'inconfessato fine di giustificare l'uso del 
"potere temporale" allo scopo di esercitare il proprio
istinto di violenza per la 
conservazione, volendo comunque conservare l'ineffabilità di un 
"ruolo spirituale" totalmente disincarnato. Disincarnato certamente dal 
destino dell'Uomo, non certo dalla ricerca del potere, però!
Ebbene quella domanda di Pilato 
condanna costoro al ruolo di "servi del potere" e non mai di "servitori 
dello Stato". Benchè vincenti, la storia li ricorda solo per le 
nefandezze compiute contro il popolo, i poveri ed i giusti, come avviene
 dei gerarchi nazi-fascisti. Perchè essi non sanno giocare la propria 
pelle per cercarla, la Verità, e leggerla nella storia degli uomini; nè 
vogliono perseguirla, la Giustizia, servendola con l'umiltà del povero e
 la forza del "profeta".
Non c'è alcuna autogratificazione 
nell'esprimere queste convinzioni. I prezzi davvero disumani 
che ciascuno di noi ha dovuto pagare - nella carriera, nella famiglia, 
nella sicurezza personale e nella stabilità psicologica - non 
consentirebbero simili atteggiamenti puerili.
Potrebbe anche pensarsi che simili convinzioni siano "scontate" per chi come me sia un credente. 
Educato cioè a riconoscere la vittoria
 nella umiliazione estrema di Gesù crocifisso, per la fiduciosa speranza
 che si fa certezza di Fede in una Resurrezione.
Tuttavia è proprio nei tanti 
"non-credenti" al cui fianco ho militato, e che hanno speso tutto per 
gli stessi valori etici che mi animavano, pur partendo da matrici 
affatto diverse, che ho potuto leggere la forza inarrestabile delle idee
 e dei valori e l'impossibilità per qualsiasi fede o ideologia 
di rivendicarne una specie di esclusiva. Essa è infatti la forza dello 
Spirito dell'Uomo. Certo, questo, per me credente, ha significato 
convincermi ancor più di quanto ogni Uomo possa partecipare 
alla Rivelazione ed al progetto di Salvezza, per quella scintilla di 
Verità e desiderio di "Eternità" che è in ciascuno, e che a me rivela la
 "nostalgia di infinito" - di Dio - che riposa nel cuore di tutti, e che
in tutti può esplodere con forza inaspettata, solo avessimo voglia di farla germogliare.
Ma è proprio questa esperienza ad 
avermi liberato da quel "sacro fuoco" di saccenteria e apologia, di 
proselitismo e becero moralismo che in qualche misura avevo condiviso 
con certa specie di "cattolici". Essi, così impegnati a proclamare la 
Legge di Dio, ed a pronunciare in Suo nome anatemi e condanne, da 
dimenticare la Misericordia e la Giustizia. Tanto impegnati a giudicare 
da non avere più il tempo ed il modo per testimoniare in prima persona, 
pagandone il prezzo, i valori del Regno nel quale dicono di credere. La 
Giustizia anzitutto, che è frutto della Verità, la quale nasce solo 
dalla Libertà totale alla quale ci conduce lo Spirito che riposa in noi.
La Giustizia. Essa non è, come ai più è
 comodo credere, il ristabilire un equilibrio manomesso attraverso una 
qualche compensazione legalmente stabilita come riparatrice: la legge 
del taglione.
Ma è solo "Fare ciò che è giusto". Ed allora non c'è più spazio per il calcolo e la convenienza.
Quando si sceglie di privilegiare i 
valori, ciò che si fa lo si fa solo perchè è giusto. Costi quello 
che costi nella oscurità di un cammino.
Ma questa consapevolezza l'ho 
incontrata piuttosto nei cosiddetti "laici", che devono rispondere solo 
alla propria coscienza, che non nei tanti cosiddetti "credenti" o 
funzionari o "ministri del culto" che - nelle F.A. come in tanti settori
 della vita ordinaria, pubblica, civile o religiosa - 
ostentano pomposamente e con retorica la propria fede nelle sole 
celebrazioni rituali; ma la negano ostinatamente e la tradiscono 
sistematicamente nelle liturgie quotidiane della vita vissuta. Non 
ho perso la mia Fede; ma essa è certamente divenuta "altro" in questa 
esperienza in cui la Parola è vera solo se si incarna ogni giorno in 
gesti e scelte conseguenti.
E' necessario però riflettere assieme a
 quanto la terribile tentazione nostrana del "tengo famiglia" ci induca 
spesso ad essere indulgenti verso coloro che hanno ceduto. Semprechè il 
loro cedimento e dunque la loro corruzione non abbia determinato costi 
diretti e mortali alla nostra vita, come è avvenuto invece per coloro 
che hanno visto devastate da stragi impunite la vita dei loro cari e 
per conseguenza tutta la loro vita di relazione. E dovremmo riflettere 
su quanto la medesima tentazione ci induca a classificare come "eroi" o 
"diversi", come fossero santi, coloro che hanno pagato 
tributi indicibili a quella che con volgarità chiamiamo solo "coerenza".
 Ad essi attribuiamo una "qualche
esemplarità" insinuando che essa è 
tuttavia difficile da imitare cosicchè solo ad essi ed ai loro emuli 
affidiamo la soluzione dei "mali del mondo". Perdiamo così la cultura 
della forza di una resistenza unita operata da diversi, e consegnamo 
alla morte ed alla inutile beatificazione quanti non vogliono rinunciare
 alla propria vocazione a vivere da uomini liberi.
Non è necessario per questa riflessione riferire ai Falcone, ai Borsellino, od a qualcuno di noi.
Basterà pensare al testimone 
dell'omicidio del Giudice Livatino: un caso del tutto fortuito ne 
aveva aveva fatto l'unico testimone del crimine consumato con assoluta 
ferocia. Di certo la sua presenza non fu rilevata dagli assassini, chè, 
diversamente, non avrebbero lasciato scampo neppure a lui. E' un uomo 
ordinario, con una vita ordinaria di lavoro, famiglia, casa, progetti, 
aspirazioni. Ma non ha giurato alcun impegno alla tutela sociale come 
quei militari che solennemente giurano di essere fedeli alla 
Costituzione a costo della vita. Ma quest'uomo, che deve rispondere solo
 alla propria coscienza, non arretra di fronte a ciò che sente giusto al
 di là di ogni condizione che gli permetterebbe di sottrarsi. E si offre
 per dare testimonianza alla verità. E perde tutto, a partire dalla sua 
sicurezza, nella nostra generale indifferenza. Perde lavoro, casa, 
affetti, senza neppure poter avvertire il calore di una solidarietà 
continua e concreta della gente.
Dunque non si può essere spettatori o 
lettori, di questa od altre storie, per provare solo emozioni 
e sensazioni senza comprendere che i giusti continueranno il loro 
cammino anche indipendentemente da noi, ma la loro sorte non è 
indipendente da noi. Che la solidarietà che avvertiamo, anche 
con genuinità, verso i perseguitati della storia, non muterà la loro 
vicenda umana se non sapremo pagare i nostri "piccoli prezzi" quando ciò
 diviene fondamentale per la salvezza di altri, quando non basta più la 
compassione delle parole.
Fu così che nel nostro Paese poterono 
portare i loro orridi frutti le Leggi razziali che escludevano i ragazzi
 ebrei dalla comune convivenza con i loro compagni. Ed i più reagirono 
con amarezza; ma fatalismo. E tornarono a rinchiudersi a salvaguardia 
dei propri cari. E' così che la maggioranza di coloro che scamparono per
 un puro caso - un ritardo, un'improvviso cambio di programma, 
uno schermo fortuito di un altro corpo o di una esile struttura - ad una
 delle troppe stragi impunite è scomparso nel proprio anonimato 
accontentandosi della propria fortunosa salvezza, piuttosto che essere 
accanto, con maggiore lucidità ed altrettanta determinazione, ai parenti
 di coloro che rimasero vittime di quegli strazi.
Una delle Madres de Playa de Mayo, le 
Locas (pazze) come le chiamano in argentina, racconta di una delle 
fondatrici del Movimento. Essa aveva una figlia prigioniera, incinta e 
torturata, ed era una vera furia nel rivendicarne la liberazione. Le 
Autorità Militari erano preoccupate che la sua forza potesse 
trasmettersi ad altri e così le restituirono la figliola, malconcia ma 
salva. Ma dopo averla posta al sicuro in Messico quella madre tornò 
sulla Piazza al Giovedì successivo a chiedere conto con la stessa 
determinazione di ogni deçapareçido. Le Autorità le chiesero cosa 
pretendesse ancora dopo la restituzione della sua figlia e lei rispose: 
"Tutti i deçapareçidos sono divenuti i miei propri figli". Finì 
deçapareçida anche lei ma è forse proprio lei ad aver dato al Movimento 
la forza di non sparire nella stanchezza e nella indifferenza.
Cosa penseremmo allora di uno di quei 
vigili, posti davanti alle scuole per garantire la sicurezza dei nostri 
figlioli, se minacciato nei suoi propri affetti avesse tradito fingendo 
di distrarsi e di non vedere consentendo che uno di quei figlioli 
finisse irretito da spacciatori? Ed una volta che fosse scoperto, 
consentiremmo ancora che continuasse ad essere retribuito per una 
vigilanza già tradita, per il solo motivo che fortunatamente la vittima 
non è stata il nostro proprio figliolo? E consentiremmo forse con le sue
 giustificazioni per i pericoli che avrebbe corso, lui con la 
sua famiglia, se avesse resistito e denunciato le minacce ed il ricatto 
per la corruzione? Pensiamoci, perchè è ciò che è stato consentito, al 
di là della sorte di ciascuno di noi, per ogni complice accertato ed 
indagato di ogni singola e di tutte le stragi.
Ecco allora che la nostra storia, di 
uomini del Movimento Democratico dei Militari, è divenuta una storia di 
veri "credenti". Di coloro cioè che hanno professato, ciascuno secondo 
le personali
caratteristiche e possibilità, il 
proprio credo con la propria vita e sulla propria pelle. 
Senza "formulari", solo apparentemente unificanti ma esclusivamente 
"recitativi". Con gli stessi valori, tuttavia, e per la medesima 
Giustizia.
Il Gen. Dalla Chiesa - che pure rimane
 totalmente "Carabiniere" nella sua specifica diversità - è la limpida 
testimonianza di un uomo che per fedeltà agli ideali (la sua idea 
addirittura "totalizzante" dello Stato, oltre la stessa Arma) ha giocato
 se stesso fino alla vita. Soffrendo la fatica della
coerenza e l'amarezza della solitudine
 in cui lo spingevano gli occupanti del potere. Senza tuttavia vincere, 
quella fatica e quella amarezza, sulla determinazione del "credente" Per
 questo le vicende degli uomini del Movimento non si sono espresse - se 
non in particolari frangenti e per il breve percorso che essi 
disegnavano (come può essere l'impegno per la approvazione della Legge 
di Riforma sui Principi della Disciplina Militare) - in realtà aggregate
 e politicamente strutturate. Il riferimento unico ed unificante divenne
 la Costituzione Italiana, nel Suo Spirito e nel Suo dettato 
fondamentale dei Diritti e dei Doveri dei Cittadini.
Per questo il Movimento di allora 
poteva schierare fianco a fianco uomini con una "cultura 
di conservazione" ed uomini con una "cultura di progresso" (che sarebbe 
infantile liquidare con la contrapposizione "destra-sinistra"), non 
dovendo noi progettare un nuovo modello politico di società; ma volendo 
solo confermare i principi fondamentali della convivenza di questo 
Paese. Per questi motivi potevamo scrivere, in un volantino del 1975, 
come fosse necessario, sulla riforma delle F.A., "...un grande dibattito
 con tutti coloro che sono consapevoli che come militari non potremo 
garantire ai cittadini altro che quei diritti che saranno riconosciuti 
agli stessi militari".
Conseguente fu la scelta di rifiutare,
 almeno allora, una strutturazione sindacale delle Rappresentanze 
Elettive che si invocavano con la Legge. Perchè un sindacato è chiamato 
a sostenere legittime "prove di forza" con una controparte. E ci 
appariva chiaro che nessun Sindacato dei Militari avrebbe potuto 
riconoscere come controparte il vertice gerarchico. La prova di 
forza dunque - era facilmente intuibile - sarebbe stata vissuta con il 
Governo e, peggio, con il Parlamento.
Scegliemmo così, per quanto poi la 
formulazione della Legge e la successiva regolamentazione abbiano 
snaturato e disinnescato lo strumento, una rappresentanza interna 
all'ordinamento perchè questo, costituzionalmente, si informasse 
finalmente allo spirito democratico della Costituzione, sapesse 
contrastare e vincere ogni tentazione di qualsiasi vertice militare di 
imporsi sulle scelte poltiche, e dunque fosse in grado di "contaminare" 
piuttosto le F.A. con le attese ordinarie e la cultura ordinaria dei 
cittadini ordinari.
Scorreranno davanti al lettore fatti e
 vicende senza una grande preoccupazione di "documentazione" saggistica.
 Non ho da dimostrare nè giustificare nulla, anche perchè so che ogni 
parola è vera e sono pronto a risponderne davanti a chiunque ed a 
qualsiasi Tribunale.
Indagini apparentemente 
documentatissime - come potrebbe essere ad esempio il "Quinto Scenario",
 libro su Ustica scritto dal giornalista Gatti -, addirittura le 
Super-perizie di Super-esperti su Ustica hanno dimostrato come si 
possano giocare facilmente le Verità con documenti costruiti e ricerche 
pilotate dagli interessi dei colpevoli assassini. Così pure abbiamo 
visto tragicamente usare validi giornalisti ed il loro impegno 
professionale di instancabile ricerca della verità su Ustica, perchè una
 sagace manina dei servizi riuscisse a fare del loro lavoro su Ustica 
una inquietante fiction tutta tesa a salvaguardare un uomo, Capo del 
Governo e che molti non hanno potuto che identificare con Cossiga. Anche
 in questo caso è stato fatto prevalere il ruolo del "tengo 
famiglia" per confermare che anche un Primo Ministro, al modo di Pilato,
 "deve" soggiacere al potere più forte e più alto ed occulto, piuttosto 
che rimanere fedele alle proprie funzioni di garanzia. Io credo che la 
vita di ciascuno sia la più inoppugnabile testimonianza per accreditare 
la Verità.
E' tuttavia evidente che se questa 
storia ha trovato la sua fonte editoriale, il pur "pazzo" editore 
ha ricevuto quella documentazione che ha ritenuto necessaria e 
sufficiente per esporsi all'onere ed al rischio della pubblicazione. A 
lui va una sincera gratitudine ed il senso di una forte amicizia.
Nella mia vicenda, e dunque nel libro,
 è presente con forza la figura di un grande uomo e di un grande 
Vescovo, Giuliano Agresti Vescovo di Lucca. Egli mi è stato accanto con 
tutto l'affetto e la preoccupazione di un Padre. Tuttavia un padre che 
non voleva e sapeva di non poter sottrarre il suo figliolo alle esigenze
 di un Vangelo che non fa sconti a nessuno e chiede la responsabile 
fatica della testimonianza operativa e non solo declaratoria, cercando 
di non rompere la unità. Mai, anche quando avrebbe forse voluto, mi ha 
offerto soluzioni o ricette. Aiutandomi solo ad essere leale fino ad 
essere spietato nella verifica con me stesso sulla genuinità della mia 
ricerca. Nel 1990 quando si andava ad aprire una rinnovata stagione di 
lotte e di sofferenze la sua presenza come luogo di
verifica e di confronto mi è venuta 
meno, quasi un segno che l'ultimo tratto di strada va sempre fatto da 
soli. Ma anche la sua morte umana è stata una terribile e meravigliosa 
lezione di vita.
Ognuno di noi, credo, è stato una 
persona normale. Con gli stessi normali desideri e le stesse piccole 
aspirazioni dei più: di vita, di carriera e di serenità. Ciascuno di noi
 è stato sconvolto, in questi ordinari progetti di vita, da situazioni 
per lo più inaspettate, sempre diverse per ciascuno di noi. Ed ognuno ha
 dovuto scegliere, la prima volta, senza poter prevedere ciò che quella 
scelta avrebbe potuto determinare. Ciascuno di noi si è trovato lanciato
 in un campo minato, in cui l'unica possibilità di salvezza è quella di 
andare avanti. Con cautela, ma avanti. Quasi tutti, alla fine, 
siamo saltati in aria.
Senza alcuna presunzione, e piuttosto 
con il rammarico ed il rimpianto per la consapevolezza di quello che la 
vita di ciascuno poteva essere e non è stata, siamo tuttavia consapevoli
 che abbiamo bonificato un tratto di cammino all'interno del campo 
minato. Chi volesse sa di poter percorrere in sicurezza quello stesso 
tratto, per ricominciare da lì l'opera di bonifica. Così è oggi per 
tutti i militari e per le loro rappresentanze elettive, che godono 
diritti per i quali ci battemmo noi, quando rivendicarli era considerato
 un crimine contro la Gerarchia Militare e contro le Istituzioni. 
Ma questi diritti vengono vissuti a volte con la superficialità e la 
sciatteria di chi ha trovato tutto già fatto. Accade anche agli 
studenti, a volte, per gli spazi di partecipazione nella scuola, accade a
 volte ai cittadini per le libertà costituzionali.
Ma nulla ci è stato ottenuto 
gratuitamente. E la perdita della Memoria Storica è un colpevole 
alibi che ciascuno si crea per evitare di sentirsi chiamato a bonificare
 nuovi tratti di campi minati "E' impossibile pentirsi". Sono le ultime 
parole, della mia ultima memoria difensiva nell'ultimo procedimento 
disciplinare militare. Era il Maggio 1983 e sedevo davanti alla 
Commissione di Disciplina che avrebbe proposto, ai responsabili 
politici, la mia radiazione. Una squallida
commissione presieduta dal Gen. Zauli 
[...]. Una commissione che aveva violato ogni regola, negato ogni 
garanzia, evitato ogni indagine ed accertamento pur di certificare la 
mia indegnità a rivestire il grado. Ma l'Ufficiale Segretario non 
potette esimersi dall'obbligo rituale di leggere a voce alta ed 
integralmente la mia memoria che era piuttosto un atto di accusa e di 
congedo: "Anche senza il volo, anche senza divisa, continuerà la mia 
fiducia nelle istituzioni, il mio limpido impegno di Uomo Libero. E' impossibile pentirsi".
E' impossibile perchè ciascuno di noi 
ha conosciuto il volto del potere, deformato in violenza insindacabile e
 sanguinaria. Abbiamo visto il ghigno dei Gen. Tascio di fronte alle 
stragi di cittadini inermi, lo abbiamo visto e sentito mentre dileggiava
 il Parlamento e le Istituzioni, impunito e consapevole della garanzia, 
anche politica, di impunità. Io ho visto la menzogna elevata a sistema 
di fronte ai corpi smembrati di 38 ragazzi, allievi della Accademia 
Navale, morti con il loro Ufficiale accompagnatore, con i quattro uomini
 dell'equipaggio ed il loro stesso carnefice, nella tragedia del C-130 
sul Monte Serra. Ho visto la verità sulla loro morte occultata dal Gen. 
Tascio, e di nuovo tradita con squallide menzogne dai suoi successori 17
 anni dopo, in nome di una incomprensibile "onorabilità" dell'Arma 
Aeronautica. Ed ho visto il Giudice Sciascia imporsi di "non-vedere" 
e "non-capire", forse compreso del grave rischio che questo avrebbe 
potuto comportare. Non so se alla sua persona od alla sua carriera.
Noi tutti abbiamo visto i nostri 
colleghi ed amici di ventura carcerati, processati, sospesi per 
anni dall'impiego e dallo stipendio, scippati di ogni diritto per quanto
 questo fosse ribadito da successive sentenze di Tribunali Ordinari ed 
Amministrativi. Portati via con la camicia di forza, minati 
nella serenità personale e familiare. Uccisi con cinica determinazione, 
come io credo - ed ho ribadito in esposti, ricorsi e pubbliche 
trasmissioni - sia avvenuto per Sandro Marcucci, cui mi legò una 
senso di fraternità ancor più che di amicizia e di militanza. E sempre 
abbiamo dovuto registrare la sicurezza di una "superiore" garanzia di 
impunità. Ogni lettore infatti potrà verificare se mai un qualsiasi 
generale Tascio, incriminato per uno qualsiasi dei tanti reati 
individuabili intorno ad una strage, o che abbia mentito spudoratamente 
al Governo ed al Parlamento venendo successivamente smentito da fatti e 
documenti incontestabili, abbia poi trascorso un solo giorno in carcere o
 sospeso dall'impiego. Ricordate? Il Gen. Tascio venne messo a 
disposizione del Capo di Stato Maggiore,
cioè di quel Gen. Nardini che due anni
 dopo sarebbe stato incriminato per il medesimo reato - 
"Alto Tradimento" - contestato al suo "affidato". Una procedura che 
assomiglia dunque più ad un "protettorato" per il criminale, che non ad 
una funzione di "controllo" e di garanzia per il Paese.
(oggi-gennaio 2007 - per a strage di Ustica sono stati assolti tutti, n.d.r.)
A Sandro Marcucci, alla sua famiglia, 
alle famiglie di tutti noi è dedicato lo sforzo di raccogliere in questo
 libro la Memoria del nostro impegno.
Alla Aeronautica Militare Italiana, ai
 suoi tanti splendidi uomini e colleghi, umiliati ed offesi da anni di 
volgari menzogne ed ancor più dalla incapacità di reagire e liberarsi 
dei pesi che criminali e delegittimati occupanti dei suoi vertici 
istituzionali hanno posto sulle loro coscienze e sulla loro immagine, è 
dedicato il desiderio di offrire una memoria in cui possano ritrovare la
 storia di altri colleghi, ma anche e soprattutto la loro storia di 
dignità, senza la quale forse neppure noi avremmo potuto essere quel che
 siamo stati.
A Luciana, Sasha, Leonardo e Talitha -
 la mia famiglia - che più di tanti altri hanno resistito rocciosamente 
accanto a me, nonostante tutto, prima che colpo dopo colpo anche la loro
 fiducia e resistenza fosse piegata, nella amarezza incolmabile a cui le
 minacce e le azioni vili contro la vita e la serenità dei figlioli li 
ha condotti, ingenerando il coinvolgimento di una "indifferenza" 
mia personale alla loro sorte pur di portare avanti comunque il mio 
personale "delirium", è dedicata questa Memoria.
Perchè ciascuno di noi possa avere un 
giorno qualcosa di cui poter essere "orgoglioso" in una qualche misura. 
Senza potersi vantare di nulla, perchè non è possibile farlo della 
sofferenza che si è costretti a portare direttamente o come riflesso e 
conseguenza delle azioni di chi ci è accanto. Ma non credo giusto che 
solo i figli dei grandi corruttori di Stato possano pubblicamente 
attestare il loro orgoglio per genitori che si sarebbero persi, cioè 
corrotti, "a causa della politica sporca".
Piuttosto che denunciarla loro, quella
 corruzione, per salvarla, quella politica. Mentre hanno usato della 
corruzione, distruggendo la politica, per garantire a se stessi ed ai 
propri figlioli benessere e sicurezza di vita. Nè più, nè meno, di ciò 
che ha fatto e farà sempre ogni "capo-mafia", di cui è nota la devozione
 al concetto di "famiglia". I figli di Totò Riina ed i figli di De 
Lorenzo, ognuno secondo il suo stile, ognuno con i mezzi che sono stati 
loro offerti, hanno potuto rivendicare il grande amore per i propri 
padri, dimenticando che l'uno e l'altro avevano costruito il proprio 
potere, e dunque anche la loro condizione sociale ed economica di figli 
del "boss", sul sangue dei poveri. E la scelta di farlo con la tutela 
della attività politica è ben più infame di chi comunque è rimasto un 
"bandito" dalla società civile, anche quando era nella pienezza del suo 
potere criminale.
No, non credo giusto che i nostri 
figli possano averci rinnegato a causa di ciò che hanno dovuto subire 
per la Verità e la Giustizia, senza avere nulla che, nel momento in cui 
le ferite saranno meno vive ed i dolorosi strappi potranno essersi in 
qualche misura ricomposti, possa loro consentire di rileggere la propria
 storia come una storia di dignità.
Voglio che essi sappiano e ricordino 
che tanti Ufficiali argentini tornavano a casa a preoccuparsi con 
dolcezza ed amore dei loro figli e del loro futuro, dopo aver 
terribilmente torturato uomini donne e bambini, in nome di una 
obbedienza dovuta che non ha invece - non deve avere - alcun diritto di 
cittadinanza nella civiltà dell'uomo. Voglio che sappiano che costoro 
hanno gettato vivi, da aerei in volo, tanti di quegli uomini che avevano
 preventivamente torturato. E che questo è avvenuto sotto gli occhi di 
cappellani militari, anch'essi dichiaratisi impotenti ad intervenire per
 non creare difficoltà ai rapporti tra la Chiesa ed il Potere. Rapporti 
che si riassumevano, in quei giorni, in accanite partite di tennis e 
successive docce, prima di lauti pasti, del nunzio apostolico 
con qualche generale golpista.
Voglio che sappiano che costoro, per 
tacitare forse le loro coscienze, hanno aggiunto orrore ad orrore 
adottando come figli i bambini delle loro vittime, sottraendoli ai loro 
parenti superstiti.
Voglio che ricordino che si narra che 
sul fondo di uno dei campi di sterminio, Auschwitz o un altro poco 
importa, ci fosse una casetta con fiori e tendine alle finestre, dove un
 uomo rientrava a sera accolto dai figlioli che abbracciava teneramente.
 Quell'uomo era il comandante, che aveva trascorso il giorno a far 
condurre altri bimbi ed altre madri verso i forni crematori, dopo averli
 divisi ed umiliati e torturati. E che questo, non altro, ha fatto ogni 
militare italiano il quale, avendo visto, abbia taciuto, avendo ordini 
criminali abbia eseguito per paura e complicità, ed abbia continuato 
a vivere come persona ordinaria, senza nulla rischiare del suo onore e 
della sua sicurezza di vita, giustificando se stesso con l'alibi della 
famiglia, con l'alibi che "al superiore potere non è lecito opporsi e 
comunque non ci si può opporre". Oppure con il rischio della vita che 
sarebbe derivato dall'opporsi. Quello stato di costrizione, derivante 
dalla subordinazione gerarchica ad un criminale, con il quale alcuni - 
troppi - cercano di convincersi che le azioni dei Priebke della storia 
possano essere in qualche maniera riconosciute "non colpevoli".
Questa terribile cultura dice allora 
che basta ad ogni criminale riuscire a scalare l'ordine 
gerarchico-funzionale per garantirsi una passiva e cieca obbedienza. E 
non è forse quello che ha fatto e fa ogni mafia criminale? Essa almeno 
non si cela dietro costituzioni e leggi. Ma questa cultura è anche 
falsa da un punto di vista strettamente militare. Perchè, secondo questo
 paradigma, un qualsiasi militare, di fronte ad un nemico che non deve 
rispettare alcuna garanzia nei suoi confronti, se non l'obbligo di 
ammazzarlo, potrebbe giustificare la sua diserzione nello "stato di 
costrizione" determinato dal pericolo di vita determinato 
dall'avversario. Non vi sembra? E' questa miserevole cultura che 
ha costruito i tanti nostri 8 Settembre. Anche, se proprio da ogni 8 
Settembre, laddove sembra che si sia raggiunta la conclamazione di una 
cultura di viltà, possono poi nascere le espressioni più lucide di una 
piena capacità di responsabilità, come fu per la Resistenza ed i 
tantissimi militari che vi aderirono immediatamente, sebbene 
tardivamente rispetto alla precedente oggettiva complicità 
e funzionalità ai progetti devastanti del Fascismo. Ma ciò testimonia 
che tutti possono "riscattare" il poco coraggio e la passività, con una 
ritrovata dignità di persone e di popolo - che tale è infatti chiamata ,
 cioè riscatto, la nostra stagione di Resistenza -. Sarebbe criminale 
lasciare che questa capacità di ritrovare una dimensione umana venisse 
lasciata ai soli "pentiti di mafia", killer di centinaia di omicidi, 
senza riuscire a riconoscere quanto la nostra singola e personale 
passività sia stata complice di quegli stessi delitti.
A loro, i miei figli, che 
l'hanno ascoltata tante volte da me, ed a tutti coloro che avessero la 
ventura di confrontarsi con questa storia non posso non ricordare una 
"massima" che ha sempre guidato la mia vita da quando uno degli 
educatori della mia giovinezza me la inchiodò nella pelle: "Abbiamo una o
 due volte, nella vita, l'occasione di essere eroi; ma tutti i giorni 
abbiamo la opportunità di non essere vigliacchi" Qui si gioca, 
molto semplicemente, la possibilità che altri raccolgano il testimone, 
là dove noi siamo stati costretti a lasciarlo, per continuare a 
bonificare altri tratti di terreni minati, e rilanciare la corsa di una 
storia di civiltà. E' tutta qui la storia dell'Uomo, del suo cammino di 
liberazione dai miti della
violenza e della guerra verso la ricerca della civiltà fondata sul diritto, e degli strumenti di Pace.
Qui si gioca questo rinnovato equivoco
 dell'eroe. Perchè non esistono eroi. Essi erano solo persone normali 
che non hanno voluto essere vigliacchi, e che sono divenuti eroi perchè 
gli altri li hanno lasciati soli. E soli sono morti, facendo solo ciò 
che era giusto e doveroso fare.
Certo potremmo chiederci "che senso 
abbia" bruciare così la vita propria e quella dei propri cari, ed avere 
la amara sensazione che si tratti soltanto di gocce inutili in un grande
 ed arido deserto.
Potrebbe sembrarci lontano ed 
insignificante quello che scrissero con tanta serena dignità e forza 
- senza nascondere nè le paure, nè la amarezza, umanissime - i tanti 
condannati a morte della Resistenza, di ogni ceto sociale e di ogni 
livello culturale.
Ma può essere utile pensare che, se 
ogni goccia compie con fedeltà il suo percorso, è indubbio che le gocce 
finiranno per incontrarsi e diverranno sorgente e poi ruscello e poi 
fiume ed infine mare.
Tutto questo non è poesia ma la 
Legge fondamentale della Vita, immutabile. Dove essa viene tradita tutto
 diviene arido ed infecondo. Questa semplice certezza è stata la pelle 
ed il sangue di ciascuno di noi. La sofferenza e la consapevolezza di 
"aver perso" non possono mutare il giudizio finale: "E' impossibile 
pentirsi".
Mario Ciancarella