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Subject: Invasione di droni nei cieli della Sicilia
Date: Tue, 12 Jun 2012 13:29:31 +0200
Con viva soddisfazione... e grazie ad un lavoro di vero team tra Antonio 
Mazzeo e l’associazione (Sicilia – Toscana) abbiamo portato alla luce... 
qualcosa di veramente importante.
Grazie ad Antonio per gli spunti e per il prezioso contributo. 
 
 
 
di Antonio Mazzeo
 
martedì 12 giugno 
2012
Invasione di droni nei cieli della Sicilia 
Droni, droni e ancora droni. Sarà 
intensissimo, in estate, il via vai di aerei militari senza pilota sui cieli 
siciliani. Decine di decolli ed atterraggi nella base USA e NATO di Sigonella 
che faranno impazzire il traffico aereo nel vicino scalo civile di Catania 
Fontanarossa. Grandi aerei spia del tipo Global Hawk e i Predator e i Reaper carichi di bombe e missili che 
sorvoleranno l’isola e solcheranno i mari, pregiudicando la sicurezza dei voli e 
delle popolazioni. 
Le notificazioni ai piloti di aeromobili (NOTAM) emesse 
lo scorso 4 giugno lasciano presagire tragici scenari di guerra in Siria e 
nell’intero scacchiere mediterraneo e mediorientale. Tre riguardano lo scalo di 
Fontanarossa e sono distinti dai codici B4048, B4049 e B4050. Impongono la 
sospensione delle procedure strumentali standard nelle fasi di accesso, partenza 
e arrivo degli aerei, tutti i giorni sino al prossimo 1 settembre, “causa 
attività degli Unmanned Aircraft”, i 
famigerati aerei senza pilota in dotazione alle forze armate statunitensi e 
italiane. “Le restrizioni sopra menzionate verranno applicate su basi tattiche 
dall’aeroporto di Catania”, specificano i NOTAM. Che le operazioni dei droni 
riguardino la stazione aeronavale di Sigonella, lo si apprende da un altro 
avviso, codice M3066/12, che ordina la sospensione di tutte le strumentazioni 
standard al decollo e all’atterraggio nel Sigonella Airport, dal 
4 giugno all’1 
settembre 2012, “per l’attività di Unmanned Aircraft militari”. Il grande 
scalo delle forze USA e NATO subirà inoltre “restrizioni al traffico aereo”, nei giorni 
19 e 20 giugno, per una vasta esercitazione aeronavale nel 
Mediterraneo. Gli ennesimi giochi di guerra alleati che potrebbero annunciare 
l’attacco finale al regime di Assad. 
“Quelle oggetto nei NOTAM relativi 
all’aeroporto di Catania, sono di aerei militari senza pilota italiani o 
americani a Sigonella?”, chiede l’Associazione 
Antimafie “Rita Atria” che per prima ha rilevato l’intensissima attività dei 
droni in Sicilia. “L’Amministrazione Obama usa questi velivoli 
anche per uccidere presunti terroristi e in queste missioni ci sono sempre i 
cosiddetti effetti collaterali: 
uccisioni di bambini, donne e uomini innocenti civili. Conta ancora qualcosa la 
volontà popolare in Italia? Noi non abbiamo dato mandato a nessuno in Parlamento 
di autorizzare gli aerei senza pilota a fare quello che vogliono in occasione di 
guerre come quella in Libia e in Afghanistan, volando nel nostro spazio aereo e 
ponendo gravi limitazioni al traffico aereo civile. Per questo dobbiamo 
mobilitarci contro i droni, per smilitarizzare i nostri territori e riprenderci 
la nostra sovranità che ci hanno dato i Padri 
Costituenti”.
“Con la trasformazione di Sigonella in capitale mondiale 
degli aerei senza pilota e l’installazione a Niscemi del terminale terrestre del 
MUOS, il nuovo sistema satellitare della marina militare USA, la Sicilia diviene 
l’epicentro delle guerre globali e permanenti del XXI secolo”, commenta Alfonso 
Di Stefano della Campagna per la 
smilitarizzazione. “Attualmente sono schierati a Sigonella due o tre Global Hawk dell’US Air Force. Entro il 
2015, però, diverranno operativi l’AGS, il sistema di sorveglianza terrestre 
della NATO e il Broad 
Area Maritime Surveillance (BAMS) di US Navy e i grandi aerei-spia saranno più di 
una ventina. Che ne sarà allora del traffico aereo civile nell’isola che già 
oggi è pesantemente limitato dalle spericolate operazioni belliche dei droni 
italiani e stranieri?”.
Due anni fa, l’Aeronautica militare e l’ente nazionale 
per l’aviazione civile (Enac) siglarono un accordo tecnico per l’attività di 
aeronavigazione nello spazio aereo italiano dei Global Hawk schierati a Sigonella 
nell’ambito dell’accordo Italia-Stati Uniti del 2008. Senza attendere una 
normativa europea che disciplini in via definitiva l’impiego degli aeromobili a 
pilotaggio remoto nel sistema del traffico aereo generale, l’accordo ha 
consentito l’impiego dei droni nell’ambito di spazi aerei “determinati” e con 
l’adozione di procedure di coordinamento tra autorità civili e militari “tese a 
limitare al massimo l’impatto sulle attività aeree civili”. All’Aeronautica 
militare è stata attribuita la “predisposizione degli spazi aerei necessari 
all’impiego operativo ed addestrativo dei velivoli militari a pilotaggio 
remoto”, mentre l’Enac dovrebbe curare in coordinamento con l’Enav (ente 
nazionale per l’assistenza al volo) gli aspetti di gestione e controllo del 
traffico aereo generale.
Il testo del documento è simile a quello che era stato 
siglato nel novembre 2008 per le operazioni di volo dei Predator in dotazione al 32° Stormo Ami 
di Amendola (Foggia), utilizzati nella guerra in Afghanistan e più recentemente 
in Libia. Secondo gli accordi, i profili delle missioni, le procedure operative, le 
aree di lavoro e gli equipaggiamenti, dovrebbero essere stabiliti “nel rispetto 
dei principi della sicurezza del volo”, anche se è poi precisato che in caso di 
“operazioni connesse a situazioni di crisi o di conflitto armato” l’impiego dei 
droni non può essere sottoposto a limitazioni di alcun genere. E questo 
nonostante i velivoli telecomandati rappresentino un rischio insostenibile per 
il traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze degli scali 
utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio.
“Effettivamente il rateo d’incidenti dei sistemi aerei 
senza pilota (UAS) non è incoraggiante per poter essere ottimisti sui tempi di 
integrazione di questi sistemi nello spazio aereo nazionale”, ammette il 
maggiore dell’aeronautica Luigi Caravita in una recente ricerca sui droni 
pubblicata per il Centro Militare di Studi Strategici (Cemis). “Da fonti 
ufficiali si apprende che nelle prime 100.000 ore di volo il tasso d’incidente 
del MQ-1 Predator ammontava a 28, 
oltre il doppio del cacciabombardiere F16. Altri sistemi a pilotaggio remoto 
come il Pioneer, l’Hunter e l’RQ-7 Shadow hanno invece un rateo di 
incidenti di almeno uno-due ordini di grandezza superiore”. 
“La mancanza di una capacità matura di sense & avoid (senti ed 
evita) verso altro traffico può diventare ancor più critica se 
associata alla vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra 
e segmento di volo: in più di un occasione un Predator è stato perso a seguito 
d’interruzione del data link”, aggiunge il maggiore  Caravita. “Ad oggi gli UAS 
militari non sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei segregati, perché 
non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora considerati 
sufficientemente affidabili, non sono dotati di una tecnologia sense & avoid matura, non hanno 
ancora totalizzato un numero di ore di volo sufficiente da costituire un safety case rappresentativo e 
convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da attacchi di 
cyber warfare”.
Analoghe considerazioni sono state fatte dal comando 
generale di US Air Force nel documento che delinea la visione strategica 
sull’utilizzo di questi sistemi di guerra 
(The U.S. Air Force Remotely Piloted 
Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision). “I velivoli senza 
pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle 
minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche”, scrivono i militari 
USA. “Il rischio d’incidente del Predator e del Global Hawk è d’intensità maggiore di 
quello dei velivoli con pilota dell’US Air Force, anche se al di sotto dei 
parametri stabiliti nei documenti di previsione operativa per questi 
sistemi”.
In verità, gli incidenti che vedono protagonisti gli 
aerei senza pilota stanno crescendo in numero e gravità. In particolare si 
annoverano due collisioni nei cieli dell’Afghanistan, la prima nel 2004 
tra 
un drone ed un Airbus 320 e più recentemente (agosto 2011) tra un aereo da 
trasporto militare C130 statunitense ed un RQ-7 Shadow. I Predator e i Reaper sembrano avere una certa 
predisposizione a perdere il controllo e precipitare rovinosamente al suolo o 
nei mari. E precipitano pure i Global 
Hawk: nel marzo 1999 un velivolo dell’US Air Force si 
è schiantato in California da un’altitudine di 12.500 metri dopo aver ricevuto 
un segnale spurio di “termine missione” dalla base aerea di Nellis. Ieri 11 
giugno, è toccato a un dimostratore BAMS di US Navy ad essere inghiottito 
dalle acque del Nanticoke 
River, vicino l’isola di Bloodsworth, Maryland. Il velivolo, 
una versione modificata del Global 
Hawk 
RQ-4 operativo con l’aeronautica militare, era stato 
schierato nella stazione aeronavale di Patuxent River, nell’ambito del 
cosiddetto programma di sviluppo Broad 
Area Maritime Surveillance che prevede il trasferimento a breve di cinque 
aerei UAV di US Navy nella base di 
Sigonella.