Ha ragioni da vendere Rossana Rossanda (Il Manifesto di ieri 26 aprile) quando afferma che[...] "più si dilata la distanza di reddito fra le classi, più sale la sfiducia nella capacità e nella stessa volontà della sfera politica di fungere da compensatore o moderatore della tendenza sfavorevole alle classi subalterne. PIU' si è costretti a constatare che non siamo siamo "nella stessa barca", nel senso che i più possono esserne sbattuti fuori a ogni momento, MENO i partiti, specie quelli che si dicono di sinistra, appaiono credibili. Ma meno la sfera politica è credibile, più la cosiddetta "economia" diventa dominante [...]"
Questo avvertimento, oltre a valere per i fanatici cultori delle ingegnerie istituzionali e delle riforme elettorali (contrabbandate come panacea di tutti i mali) vale anche, a mio avviso, per quanti cianciano a ogni piè sospinto di "partecipazione" senza precisare e chiarire il limite semantico del concetto, il suo campo di applicazione. (Esiste pur sempre la nozione di sovranità popolare e, se mi si consente, roussoianamente, quella di "volontà generale"). Fenomeno terminologico "inflattivo", questo, che va di pari passo all'attribuzione della valenza di "bene comune" a qualsivoglia (o quasi) bene naturale, materiale o ideale, a "tutto e il contrario di tutto" (Stefano Rodotà), facendo perdere alla parola la "sua capacità di individua[zione]...".
E inoltre: la crisi della rappresentanza è emendabile con potenti iniezioni, non già di "partecipazione", ma di "democrazia diretta", come la sinistra PCI ipotizzava negli anni '60? Non ne sono più tanto convinto: derivando i governi la loro legittimazione, più che da labili consultazioni elettorali, dall'alto dei poteri internazionali della finanza, forse il confronto è diretto tra governance sovranazionale e movimenti antisistemici (o, se volete, rivolte sociali).
giacomo casarinostoricogenovacontatto skype: gicasarino