Il demone di Calabrò e la guerra delle poltrone Agcom
Arturo Di Corinto
Il 4 aprile, con una piroetta d'autore, Corrado Calabrò ha affermato
che varerà il tanto contestato regolamento sul copyright. Il
presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom)
ha dichiarato di volerlo fare “al di là delle sue propensioni
personali”, perchè glielo chiedono quattro commissari (Martusciello,
Mannoni, Savarese e Napoli) su otto presenti in consiglio.
E questo potrebbe accadere alla prima riunione utile, quella del
prossimo giovedì 19 aprile.
La dichiarazione, resa davanti alla Commissione d'inchiesta bicamerale
sulla contraffazione e la pirateria, rovescia le dichiarazioni del
giorno di primavera quando, in un'audizione al Senato richiesta da
Luigi Vimercati e Vincenzo Vita, Calabrò aveva sostenuto di essere in
attesa del via libera mai arrivato del governo per varare il
regolamento. Eppure Calabrò sostiene di essere pronto a licenziare la
delibera. Se questo intervento del governo non è pronto, il minimo che
si possa pensare è che “ci sta provando”.
Secondo il vicepresidente della commissione d'inchiesta che ha audito
Calabrò, Vico Ludovico (PD), il presidente Agcom soffrirebbe della
“sindrome di un fine mandato senza risultati” e questo sarebbe il
motivo della sua accellerazione. Ma probabilmente è un'idea molto
generosa, considerati gli interessi che il tema del diritto d'autore
nasconde e la necessità di mettersi in pole position per altri
incarichi.
Tra i sostenitori di una estensione delle norme esistenti sul diritto
d'autore (con aggravio di sanzioni e corresponsablità dei provider) e
i sostenitori di una riforma del diritto d'autore stesso, l'abisso è
fatto di cifre: per gli uni si perderebbero miliardi di euro in
mancati introiti e tasse non pagate, per gli altri di dati gonfiati
che non tengono conto dei cambiamenti sociali e tecnologici relativi
al consumo di film, musica e software che la lobby pro-copyright però
contesta. Salvo poi dover leggere i dati dell'incremento delle vendite
di musica online (gli italiani sono secondi in Europa) e vedere
sciorinata una tesi peculiare: “l'industria della musica favorisce
l'innovazione”, come ha fatto la Fimi il 13 aprile.
Queste schermaglie continueranno e sembra difficile che il draconiano
provvedimento minacciato da Calabrò veda la luce prima della scadenza
dell'attuale consiglio Agcom e perciò la sfida si sposta sulla nuova
composizione del consiglio. Perchè? Il nuovo consiglio Agcom dovrà
occuparsi di due temi scottanti in un anno elettorale, e cioè di
frequenze tv e par condicio.
Sulle frequenze tv la battaglia non è chiusa. Nonostante le intenzioni
dichiarate di Passera di annullare il beauty contest che regala
frequenze pregiate a Rai e Mediaset, il cui decreto sarebbe in arrivo
guarda caso il giorno 19 aprile, il nuovo Codice delle comunicazioni
prevede che un'ottima frequenza, finora utilizzabile solo per la tv su
cellulare ma che presto servirà anche per il digitale terrestre, venga
comunque data a ciascuno dei duopolisti quasi gratis in ottemperanza
al criterio di neutralità tecnologica. I ricorsi sono tuttavia già
pronti: quella destinata a Rai è peggiore di quella per Mediaset.
Perciò i nomi e gli interessi rappresentati in Agcom diventano
cruciali per le politiche di regolazione future.
I nomi in corsa sarebbero quelli di Roberto Viola, segretario generale
di Agcom e presidente del gruppo dei regolatori europei dello spettro
radio ed Enzo Pontarollo, economista della Cattolica di Milano. Ma
solo perché sarebbe tramontata la candidatura di Catricalà che per
avere la nomina avrebbe abbandonato il posto di sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio (a dimostrazione di quanto il posto conti) e
di Fabio Colasanti, già apprezzato collaboratore di Monti all'Unione
Europea e direttore generale della Società dell'Informazione che però
si è detto non disponibile per motivi familiari (ma si dice, di
prestigio e di carriera).
Fra tanti “tecnici” però i partiti non rinuncerebbero a indicare le
loro preferenze per i commissari ridotti a soli cinque dai nove che
erano. E così spuntano i nomi di Antonio Sassano docente
all’Università Sapienza di Roma, tra i pochi esperti di radiofrequenze
in Italia (ne fece il piano nel 2010), consulente di Agcom e già
direttore generale della Fub (di fatto braccio operativo del Mise sul
tema comunicazioni) non sgradito a una parte del PD e non amato
dall'altra; Rodolfo De Laurentiis, già deputato Udc e consigliere di
amministrazione Rai da ricollocare, e Deborah Bergamini. Quest'ultima,
berlusconiana di ferro, criticato direttore marketing Rai e
appartenente alla struttura Delta (che avrebbe lavorato a favorire
Mediaset dall'interno della Rai) e oggi deputato Pdl è anche
vicepresidente della Commissione anticontraffazione che ha sentito
Calabrò.
Già da questi nomi si capisce che è pronto l'ennesimo valzer di
poltrone, intricatissimo, perchè da nominare ci sono anche i vertici
dell'Autorità per la privacy (si era parlato perfino di Brunetta come
garante), con Giovanni Buttarelli già segretario generale
dell'Autorità di piazza Montecitorio e stimato magistrato in pole
position.
Per questo la Open Media Coalition rilancia l'iniziativa Vogliamo
Trasparenza con una richiesta senza precedenti: l'accesso agli atti,
ai sensi della legge 241 del 7 Agosto 1990, in merito al procedimento
di nomina del Presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni. Il 13 aprile infatti, la coalizione, a cui ha appena
aderito la Federazione Nazionale della Stampa, ha chiesto di
intervenire nella fase istruttoria e conoscere i curricula delle
personalità “di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel
settore”, candidate a ricoprire la carica di Presidente dell' Autorità
delle Comunicazioni.
http://vogliamotrasparenza.it