[NuovoLab] ARTICOLO 11

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Autor: ugo
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Temat: [NuovoLab] ARTICOLO 11
il manifesto 2012.04.07 -

UNA DELEGA DI GUERRA


COMMENTO - Giulio Marcon



La legge delega varata ieri dal Consiglio dei ministri per la riforma delle forze armate conferma le anticipazioni delle scorse settimane fatte dal ministro-ammiraglio Di Paola alle Commissioni Difesa di Camera e Senato e dal Consiglio Supremo della Difesa: tagli in 10 anni al personale militare e civile della difesa (33mila addetti in meno) per avere più risorse da destinare alle armi e alle operazioni militari all'estero.
Infatti non si parla complessivamente di tagli alla spesa ma - dice Di Paola - di «bilanciare la spesa militare in senso virtuoso» (cioè meno soldi per gli stipendi e più risorse per le armi) per una riforma da fare, bontà sua, «senza richiedere risorse aggiuntive». E Di Paola ha aggiunto che non si tratta di un intervento «lacrime e sangue»: quelle infatti le versano già operai e pensionati, mentre i generali possono sorridere ancora una volta. I tagli al personale delle Forze Armate sono buona cosa, ma se ne possono fare tranquillamente il doppio e non è necessario aspettare 10 anni per farlo, mentre un operaio a Pomigliano o a Termini Imerese il posto di lavoro lo perde in un giorno.
Mentre si tagliano, massacrandole, le spese agli enti locali, al welfare, al lavoro, alle pensioni dovremmo pure ringraziare il ministro della difesa perchè propugna una riforma «senza chiedere risorse aggiuntive». Ci mancherebbe pure che ne volesse altre di risorse oltre ai 25 miliardi che la Difesa spende ogni anno per le forze armate e ai 10miliardi che si sperpereranno nei prossimi anni per i 90 cacciabombardieri F-35. E mentre su un altro tavolo, quello della Fornero, è l'articolo 18 (quello dello Statuto dei lavoratori) ad essere sotto attacco, sul tavolo del ministro Di Paolo è l'articolo 11 della Costituzione che va a farsi benedire. Cosa hanno a che fare con quegli articoli della Costituzione che dicono che «l'Italia ripudia la guerra come mezzo per dirimere le controversie internazionali» (art. 11) e che compito delle forze armate è la «difesa della patria» (art. 52), i 90 cacciabombardieri d'attacco F35 (arma del primo colpo, il famigerato first strike, capaci inoltre di trasportare ordigni nucleari), fiore all'occhiello del nuovo modello di difesa proposto dal ministro della difesa?
Il bilanciamento della «spesa militare in senso virtuoso» significherà sostanzialmente un aumento della spesa per i sistemi d'arma (come appunto i cacciabombardieri F35, ma anche le fregate Fremm e Orizzonte, i sommerbili U-212) e per le missioni militari all'estero dentro un modello interventista delle forze armate italiane che segue fedelmente la logica e la strategia della Nato. Queste altro non sono che una sorta di «mobilitazione permanente» contro i «nuovi nemici»: Islam, nuove potenze globali (Cina, Russia, India, ecc.), terrorismo internazionale, detentori (da cui dipendiamo) delle materie prime, come il petrolio e il gas. Invece di investire nella prevenzione dei conflitti, nella cooperazione internazionale e nella sicurezza comune, continuiamo ad armarci fino ai denti, per la felicità di Finmeccanica e di tutta l'industria militare italiana.
Più che una riforma, questa è una controriforma. Altro che «grossa innovazione» come l'ha definita il Ministro-Ammiraglio, che più tecnico non si può. È una controriforma perché spenderemo tanti soldi in più per le armi, perchè le nostre forze armate avranno sempre di più un ruolo interventista, perchè saremo a ricasco della Nato e perchè in questo modo l'articolo 11 della Costituzione sarà svuotato di senso, nella forma e nella sostanza. Di Paola e i generali saranno soddisfatti, ma c'è poco da cantar vittoria. Sicuramente non lo fa il paese e non lo fanno le tante persone (operai, pensionati, giovani) che non sanno come far fronte a questa crisi così drammatica. L'unico modo per affrontare «la spesa militare in senso virtuoso» è ridurla, destinando i risparmi al lavoro, al welfare e ai giovani. Il premier Monti, così attento al rigore e alla lotta alle corporazioni, di fronte agli interessi della «casta delle stellette» ha alzato arrendevolmente bandiera bianca. E questo non è un bene per il paese



Scheda/ AFFARE PER I PRIVATI E SPRECO PER LE CASSE PUBBLICHE
Un pozzo senza fondo: i 90 F-35 costeranno oltre 10 miliardi di euro



TAGLIO BASSO - Manlio Dinucci, Tommaso Di Francesco



Monti, con sostegno bipartisan, si è limitato a ridurre da 131 a 90 il numero dei caccia da acquistare
La crisi economica, ha documentato il Censis, ha colpito in Italia soprattutto i giovani, un milione dei quali ha perso il lavoro negli ultimi tre anni. Tranquilli, perché al loro futuro ci pensa la Lockheed Martin: «Proteggere le generazioni di domani - assicura nella sua pubblicità - significa impegnarsi per la quinta generazione di oggi». Si riferisce all'F-35 Lightning II, «l'unico velivolo di quinta generazione in grado di garantire la sicurezza delle nuove generazioni».
Sono stati dunque lungimiranti i governi che hanno deciso di far partecipare l'Italia alla realizzazione di questo caccia (prima denominato Joint Strike Fighter) della statunitense Lockheed Martin. Con il sostegno di uno schieramento bipartisan, il primo memorandum d'intesa venne firmato al Pentagono nel 1998 dal governo D'Alema; il secondo, nel 2002, dal governo Berlusconi; il terzo, nel 2007, dal governo Prodi. E nel 2009 è stato di nuovo un governo Berlusconi a deliberare l'acquisto di 131 caccia che, a onor del vero, era già stato deciso dal governo Prodi. L'Italia partecipa al programma dell'F-35 come partner di secondo livello, contribuendo allo sviluppo e alla costruzione del caccia. E ora arriva il governo «tecnico» di Monti a confermare tutto con il ministro-ammiraglio Di Paola. Vi sono impegnate oltre venti industrie: Alenia Aeronautica, Galileo Avionica, Datamat e Otomelara di Finmeccanica e altre tra cui la Piaggio. Negli stabilimenti Alenia verranno prodotte oltre mille ali dell'F-35. Presso l'aeroporto militare di Cameri (Novara) sarà realizzata una linea di assemblaggio e collaudo dei caccia per i paesi europei, che verrà poi trasformata in centro di manutenzione, revisione, riparazione e modifica. A tale scopo sono stati stanziati oltre 600 milioni di euro, presentandolo come un grande affare per l'Italia. Ma non si dice quanto verranno a costare i pochi posti di lavoro creati in questa industria bellica. Non si dice che, mentre i miliardi dei contratti per l'F-35 entreranno nelle casse di aziende private, i miliardi per l'acquisto dei caccia usciranno dalle casse pubbliche.

Spesa militare: 25 miliardi
Per partecipare al programma, l'Italia si è impegnata a versare un miliardo di euro, cui si aggiungerà la spesa per l'acquisto ora di 90 F-35 (inizialmente ne erano previsti 131). Allo stato attuale, essa può essere quantificata in oltre 10 miliardi di euro. Va inoltre considerato che l'aeronautica sta acquistando anche un centinaio di caccia Eurofighter Typhoon, costruiti da un consorzio europeo, il cui costo attuale è quantificabile anche quesyo in oltre 10 miliardi di euro. E, come avviene per tutti i sistemi d'arma, l'F-35 verrà a costare più del previsto.
Il prezzo dei primi caccia prodotti - documenta la Corte dei conti Usa - è risultato quasi il doppio rispetto a quello preventivato. Il costo complessivo del programma, previsto in 382 miliardi di dollari per 2.443 caccia che saranno acquistati dagli Usa e da otto partner internazionali, sarà dunque molto più alto. Perfino il senatore John McCain, noto «falco», ha definito «vergognoso» il fatto che il prezzo dei primi 28 aerei sfori di 800 milioni di dollari quello preventivato. Nessuno sa con esattezza quanto verrà a costare l'F-35. La Lockheed aveva parlato di un prezzo medio di 65 milioni per aereo, al valore del dollaro 2010, ma poi è stato chiarito che il prezzo non comprendeva il motore né i costosissimi sistemi elettronici e all'infrarosso.
L'Italia si è dunque impegnata ad acquistare 90 caccia F-35 senza sapere quale sarà il prezzo finale. Anche perché differisce a seconda delle varianti: a decollo/atterraggio convenzionale, per le portaerei, e a decollo corto/atterraggio verticale. L'Italia ne acquisterà circa 50 della prima variante e circa 40 della terza, che saranno usati anche per la portaerei Cavour. E, una volta acquistati, dovrà pagare altri miliardi per ammodernarli con i sistemi che la Lockheed produrrà. Un pozzo senza fondo, che inghiottirà altro denaro pubblico, facendo crescere la spesa militare, già salita a 25 miliardi annui.

Arma per la guerra d'attacco
Non ci si poteva illudere che il governo Monti cambiasse rotta, sganciando l'Italia da questo costosissimo programma: si è limitato solo a ridurre il numero dei caccia da acquistare.
L'ammiraglio Di Paola, oggi ministro della difesa, è infatti il maggiore sostenitore dell'F-35: fu lui, in veste di direttore nazionale degli armamenti, a firmare al Pentagono, il 24 giugno 2002, il memorandum d'intesa che impegnava l'Italia a partecipare al programma come partner di secondo livello. E l'F-35 Lightning (Fulmine) - che, assicura la Lockeed, «come un fulmine colpisce il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente» - è il sistema d'arma ideale per la strategia enunciata da Di Paola quando era capo di stato maggiore della difesa: trasformare le forze armate in uno «strumento proiettabile», dotato di spiccata capacità «expeditionary» coerente col «livello di ambizione nazionale». Che l'F-35 garantirà insieme alla «sicurezza delle nuove generazioni».

NUOVO MODELLO - Ecco gli «esodati» di Di Paola: 40mila militari a casa. Ma per loro il governo gli «ammortizzatori» li trova
Per la Difesa più armi meno soldati


APERTURA - Matteo Bartocci



APERTURA - Matteo Bartocci
Il governo approva una legge delega che blinda le scelte militari fino al 2024. Di Paola: «E' la riforma più importante dalla fine del servizio di leva». Gli esuberi saranno tutelati. E più investimenti in mezzi
È «la «più importante riforma della difesa italiana dopo l'abolizione del servizio di leva del 2000». L'ammiraglio Giampaolo Di Paola, ministro «tecnico» della Difesa, non risparmia gli aggettivi per annunciare il varo ufficiale del modello militare italiano del terzo millennio.
Il consiglio dei ministri di ieri ha approvato la legge delega che ridisegna da cima a fondo organizzazione, operatività, investimenti e pianta organica della difesa italiana. In sintesi: meno uomini, più aerei. Meno «marmittoni» ma più forze speciali e cybersoldati. Dal punto di vista militare: meglio meno ma meglio. E' un ridisegno complessivo che - una volta approvato dal parlamento ma non dovrebbe trovare opposizione - condizionerà le scelte politiche militari da oggi al 2024 (avete letto bene, almeno 12 anni).
I progetti del governo Monti sono noti da tempo, concordati in sede Nato e soprattutto con gli Stati uniti. Di Paola ha già detto quasi tutto in un'audizione alle commissioni Difesa riunite di camera e senato del 15 febbraio scorso. Gli Usa - ha ricordato il ministro - stanno ridimensionando la loro presenza in Europa e «si riorientano verso l'area del Pacifico». Gli europei, quindi, «devono fare di più». Con maggiore «capacità operativa» e «piena integrazione» con gli assetti Nato, Ue e Usa. Certo il nostro debito pubblico è quello che è, e dunque il governo ha messo sul tavolo la riduzione degli F35 americani da 131 a 90 velivoli e un taglio del personale della Difesa del 20%. Per quanto riguarda gli aerei, oggi l'Italia ne ha 160 divisi in 3 tipi (Tornado, Amx, Av-8 Bravo). Con l'F35 ci sarà solo una «linea» con «modelli» diversi. Tutti fatti dalla Lockheed Martin e non dal consorzio europeo che doveva produrre gli Eurofighter.
In cifre, dal 2012 al 2014 il bilancio della Difesa sarà tagliato di 2,8 miliardi. Tanti, forse, ma molto meno rispetto ad altri dicasteri. L'anomalia tutta italiana è una spesa abnorme per il personale, pari al 70% del totale (media Ue 2010: 51%). Gli investimenti previsti sono pari a 16,4 miliardi (media Ue 26,4 mld). Secondo il ministro è una Difesa «ipertrofica» come personale ma «sottofinanziata» come capacità «operative». Il nuovo modello è coerente con le considerazioni strategiche attuali. «La difesa della patria oggi non si fa più all'interno dei sacri confini», avvertiva Di Paola il 15 febbraio. Perciò i nuovi armamenti devono essere tecnologicamente più avanzati, più offensivi, più integrati (legati) agli Usa e quindi costano anche molto di più.
Per questo Di Paola è pronto a licenziare progressivamente oltre 40mila «esuberi»: 33mila militari e 10mila civili. Dai 183mila militari più 30mila civili attuali si passerà nel 2024 a 150mila soldati e 20mila civili (-23%). E' una misura «inevitabile» che per Di Paola però non sarà «lacrime e sangue» per il personale. A differenza dei 350.000 «esodati» da Fornero, infatti, i 40mila militari in esubero avrebbero già pronti quattro tipi di ammortizzatori sociali: mobilità volontaria verso la pubblica amministrazione e gli enti locali (addio alle assunzioni dei giovani), il part time ma soprattutto l'«aspettativa per riduzione quadri» (una specie di super Cigs al 95% dello stipendio), oltre a incentivi fiscali per l'assunzione degli ex soldati in imprese private.
L'esercito passerà da 11 «brigate di manovra» a 9 ed entro 6 anni le caserme saranno tagliate di un terzo e vendute. Sono riduzioni, certo, di cui il ministro si duole. Ma di sicuro non incontrerà ostacoli. Il «nuovo modello» militare è già stato discusso con Napolitano nel Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio e in parlamento solo l'Idv è critico con i nuovi programmi e con l'acquisto dei 90 F35 (tutti gli altri partiti, Lega inclusa, sono a favore). L'unica preoccupazione di Pd e Pdl, per esempio, è tutelare almeno parzialmente il comparto «difesa e sicurezza» dalle asprezze della riforma Fornero delle pensioni. Un impegno su cui Di Paola però, almeno pubblicamente, non ha fornito molti dettagli.
Secondo l'ammiraglio-ministro «la Difesa italiana resta la meno finanziata d'Europa». Peccato non sia vero. Secondo gli stessi dati Eda (un'agenzia specializzata europea) citati parzialmente dal ministro, l'Italia nel 2010 era il quarto paese dei 27 dell'Unione per spesa militare: 21,6 miliardi, pari all'1,4% del Pil (la media dei 27 è 1,61%). Per fare un confronto, solo Francia e Gran Bretagna (che però sono potenze nucleari e siedono nel consiglio di sicurezza dell'Onu) spendono più di noi (il 2% del Pil la Francia e il 2,6% Gb). La Germania - ben più ricca dell'Italia e un po' meno interventista all'estero - spende per la Difesa circa l'1,34% del Pil.








Ugo Beiso














Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere sempre Mahatma Gandhi