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SERVE UNA GRANDE MOBILITAZIONE

USB propone a tutti i sindacati conflittuali di decidere insieme le
necessarie iniziative



Mentre è ancora molto confusa la situazione della trattativa sul lavoro da
poco (forse) conclusa e rimane invece del tutto aperto lo scontro ed il
confronto in ambito sindacale e soprattutto politico, ci sentiamo in dovere
di iniziare una riflessione che per l'incertezza attuale non può chiaramente
essere completa e definitiva, ma che comunque parte da alcune semplici e
chiare considerazioni.



Il primo aspetto da sottolineare è che le misure oggetto della trattativa,
cioè ammortizzatori sociali, flessibilità in entrata e articolo 18, sono le
ultime di una serie di provvedimenti che i passati governi e l'attuale hanno
approvato ed in gran parte condiviso con Cgil, Cisl e Uil. Parliamo delle
leggi e degli accordi sulla precarietà che è diventata l'unica tipologia di
lavoro ad oggi utilizzata dalle aziende; del pesantissimo indebolimento
delle tutele previste a favore del lavoratore nell'ambito del Diritto del
Lavoro; dell'accordo del 28 giugno scorso che ha di fatto cancellato la
valenza del Contratto Nazionale e che ha permesso a Berlusconi di adottare
quel maledetto art. 8 delle misure del governo di settembre scorso che tra
l'altro prevede che un accordo aziendale possa modificare la contrattazione
nazionale e addirittura le leggi dello stato; della “controriforma delle
pensioni” che ha ottenuto il plauso dell'Europa economica ed ha colpito
l'esistenza di milioni di persone.



Tutto ciò in una crisi dove aumenta l'inflazione, i contratti sono bloccati,
i licenziamenti sono all'ordine del giorno ed ormai quasi la metà dei
giovani non trova lavoro o non lo cerca più, l'inflazione aumenta e porta
con se un incremento dei prezzi dei generi di prima necessità che colpiscono
i più poveri e avvicinano una fetta sempre più grande della popolazione alla
soglia di povertà.



La seconda considerazione riguarda il merito dei tre capitoli affrontati in
quest'ultima trattativa. Sinteticamente possiamo affermare che sulla
questione delle tipologie contrattuali si è stabilito di fatto che il
contratto di apprendistato (cioè una forma di precarietà che prevede
anch'essa peggiori condizioni di lavoro e salariali e la possibilità di
licenziamento a prescindere dall'art. 18) diventa il vero “contratto di
entrata” per le “nuove” assunzioni e non si è proceduto neanche a ridurre
drasticamente le altre forme di precarietà come pomposamente annunciato
dalla Fornero. L'aumento parziale e limitatissimo del costo dei contratti a
termine (mediamente meno dell'1% con esclusione delle sostituzioni e della
stagionalità – cioè quasi tutti i contratti a termine) diventa ridicolo a
fronte del minor costo complessivo e dell'assoluta flessibilità che
permettono all'azienda di utilizzare il lavoro precario nelle sue forme più
pesanti.



Sugli ammortizzatori sociali, spacciati per una riforma positiva,
riscontriamo invece la riduzione sostanziale dei periodi di copertura in
caso di perdita del lavoro. Una riduzione che in alcuni casi porta a molto
meno della metà il periodo previsto dalla precedente cassa
integrazione+mobilità. La cancellazione della cassa integrazione
straordinaria nei casi di cessazione di attività dell'azienda rappresenta
poi l'esclusione dal mondo del lavoro, dalla pensione e dal reddito di tutti
coloro che hanno un'età lavorativa avanzata e che si ritrovano senza azienda
e senza lavoro, con la pensione che si allontana sempre di più e diventa un
miraggio irraggiungibile. Anche qui si spaccia poi per positiva
l'istituzione dell'ASPI (assicurazione sociale per l'impiego) in
sostituzione anche dell'indennità di disoccupazione per i giovani.
Assolutamente falso! Sia perché non riguarda i disoccupati che non trovano
il primo lavoro, sia perché non può riguardare neanche la maggioranza dei
precari in quanto per l'ammissione esiste una condizione (due anni di
contributi con almeno 52 settimane nell'ultimo biennio) che non è
praticamente mai raggiungibile dai precari che lavorano ad intermittenza e
che non possono cumulare i periodi di lavoro precedenti.



Sulla cosiddetta flessibilità in uscita, cioè la modifica dell'Art. 18, che
sembra essere l'unico ostacolo alla firma almeno della Cgil, è bene chiarire
che qualsiasi modifica, anche parziale, non rappresenta soltanto la pur
gravissima ed inaccettabile assoluta libertà di licenziare da parte delle
aziende, ma l'impossibilità da parte dei lavoratori di far valere ed
esercitare tutti quei residui diritti previsti dalle attuali leggi e dai
contratti che in mancanza delle tutele dell'Art. 18, sarebbero sottoposti al
ricatto pesantissimo della perdita del posto di lavoro. D'altra parte le
differenziazioni che si stanno operando tra licenziamento discriminatorio,
disciplinare ed economico sono una grande mistificazione e presa in giro.
Nessun padrone licenzierà mai esplicitamente per motivi discriminatori e
riuscire a dimostrare in giudizio che dietro ai motivi economici o
disciplinari si nasconda un proposito discriminatorio, ottenendo quindi il
reintegro invece di “quattro denari”, sarà estremamente difficile.



La terza questione da evidenziare è come la maggioranza assoluta delle forze
politiche e la quasi totalità di quelle sindacali, siano di fatto ormai
assoggettate alla logica che spinge questo governo ad assumere in modo
sempre più chiaro e sempre più stringente le indicazioni che vengono
dall'Europa delle banche, dei padroni e della finanza, che ha fatto
dell'Italia, come della Spagna, come prima ancora della Grecia, del
Portogallo e dell'Irlanda, i mercati attraverso i quali continuare a fare
profitti anche nella crisi mondiale in cui ci troviamo.



Gettati al mare alcuni valori legati ad una visione della società basata su
solidarietà e welfare, si sta andando rapidamente verso una
finanziarizzazione completa dell'economia, ad un ulteriore spostamento di
denari e di diritti dai lavoratori ai padroni, ad una società che prevede
aumento della povertà e conseguentemente repressione del conflitto sociale.
Tutto in nome del dio mercato, tutto per rendere possibili maggiori profitti
a banche, aziende e finanza.



A tutto ciò è necessario dare una risposta determinata preparandoci ad una
lotta di lunga durata: sono ormai mesi che USB ripete che quello a cui
stiamo assistendo è il tentativo di modificare strutturalmente questa
società in termini economici e sociali.



Dobbiamo opporci proseguendo una mobilitazione generale che intercetti
l'ormai evidente opposizione sociale che sta cominciando a prendere piede
nel paese, che trasformi le perplessità ed i dubbi in certezze, raccolga il
dissenso e la rabbia che cresce ogni giorno di più tra i lavoratori, i
disoccupati, i precari, i pensionati, i migranti e la restituisca in modo
intelligente ed organizzato a chi ritiene che è possibile che la casta dello
0,1% prevalga sul popolo del 99,9%.



In questo senso USB in queste ore ha proposto a tutti i sindacati
conflittuali di decidere insieme le necessarie mobilitazioni ed iniziative
di lotta.



Non sappiamo ancora come si evolverà nelle prossime ore e nei prossimi
giorni la resa dei conti tra i poteri forti di questo paese, tra i partiti
ed i sindacati. Non possiamo prevedere se si instaurerà di nuovo un
instabile equilibrio o se il tutto sfocerà in una lotta di tutti contro
tutti, di falchi contro colombe, di pescecani contro lupi famelici per
spartirsi i resti del mondo del lavoro.



Dobbiamo opporci e dimostrare con i fatti che è giusto e possibile
ribellarsi a questo stato di cose: dopo lo sciopero generale indetto da USB
e da altri sindacati conflittuali il 27 gennaio scorso, ricominciamo con la
costruzione di una grande manifestazione a Milano il prossimo 31 marzo.



Costruire l'opposizione, il conflitto, l'organizzazione

e l'alternativa: questo è oggi l'obiettivo sindacale

e sociale che necessariamente dobbiamo perseguire.



USB Unione Sindacale di Base

Nazionale – giovedì, 22 marzo 2012