[cm-Roma] ultima pagina del manifesto di oggi

Delete this message

Reply to this message
Author: felipe
Date:  
To: critical mass Roma
Subject: [cm-Roma] ultima pagina del manifesto di oggi
DIECI ANNI DI MASSA CRITICA
Fonte: LUCA FAZIO - il Manifesto | 23 Febbraio 2012

Il 23 febbraio del 2002, a Milano, la prima Critical Mass cominciò a
pedalare controcorrente facendo della bicicletta il mezzo più efficace
per pensare un'altra idea di città. Parla Giovanni Pesce, fomentatore
della prima ora
MILANO - Dieci anni fa, a Milano, un gruppo di pazzi senza meta cominciò
a pedalare di sera stravolgendo il ritmo di una città che è cambiata (in
meglio) anche grazie all'uso della bicicletta - che è ben altro
dall'essere «solo» il mezzo per muoversi più moderno e intelligente del
mondo. Se qualcuno pensa che Critical Mass sia stata solo un'allegra
apoteosi di ruote, telai e manubri per fancazzisti a spasso si sbaglia
di grosso. Ne parliamo con Giovanni Pesce, un fomentatore degli albori
che questa sera, con un po' di nostalgia, inforcherà il suo mezzo per il
solito appuntamento in piazza Mercanti (ore 22,30). Portate le candeline.
La bici è un'arte e i primi agitatori della Critical Mass l'avevano già
capito dieci anni fa. Da allora come si è modificato l'immaginario della
bicicletta?
Ciclismo e Artivismo improvvisamente erano diventati la stessa cosa.
Critical Mass fin da subito si nutriva di immagini e arte. Flyer,
poster, musica, poesia, illustrazioni, performance. Ricordo che a una
delle prime CM milanesi si è presentato con la sua bici anche Berry
McGee, uno dei padri della street art di San Francisco, adesso è
diventato una star. Tra gli Artivisti di CM di tutto il mondo era
costante un fitto interscambio di immagini per poster e di altri
manufatti artistici che disegnavano una nuova estetica della bici. A
Milano, e in seguito anche nelle altre città italiane, nascevano mostre,
contest di poesia, rave, video installazioni, l'obiettivo era creare un
nuovo immaginario e direi che la missione è perfettamente riuscita. I
nuovi ciclisti hanno creato una nuova idea di bicicletta e di società
che ha lasciato il segno, contagiando viralmente artisti, illustratori,
grafici, designer, il tutto poi si è riversato nella moda, su youtube,
nella pubblicità, direi che è stato un tassello molto importante per la
creazione di un nuovo stile di vita. Non è un dramma se la bicicletta è
di moda, anzi.
La prima sgambatella velorivoluzionaria è stata organizzata in inverno.
Geniale questa cosa dell'epica invernale, la bicicletta per domare la
città inospitale, non solo per rilassarsi con una scampagnata
primaverile in compagnia dei bambini.
Era il 23 febbraio 2002. Dieci anni fa. Uno dei messaggi era che è bello
vivere tutte le stagioni senza avere paura, prendendosi anche il vento
gelato in faccia, fitness e rivoluzione, urban wilderness dicevamo per
scimmiottare gli americani. L'idea era: perché fare gli sportivi solo in
palestra o alla settimana bianca e non mentre si va a scuola o a
lavorare? Milano è una città nordica che ha perso la propria identità
locale fagocitata dal piattume climatizzato del tubo catodico,
godiamocela lo stesso, saltando sulla bici anche al freddo e al gelo.
I ciclisti più fichi adesso le biciclette se le costruiscono da soli.
Autoriparazione come filosofia scaccia crisi e meccanica ridotta
all'osso per puntare all'essenziale, un'altra intuizione geniale questa.
La cultura D.I.Y. (do it yourself, fai da te) ha cambiato radicalmente
l'uso e l'immaginario delle biciclette soprattutto nelle aree urbane.
Gli esemplari autocostruiti sono bellissimi, la bicicletta è un
esemplare unico, da collezione, un oggetto artistico ma alla portata di
tutti, ognuno può farsi o ripararsi la sua in una ciclofficina pubblica.
Non è un caso se la cultura del fai da te e dell'autocostruzione adesso
è in piena esplosione anche commerciale.
Non mi sembra che CM abbia mai avuto a che fare con la politica
ufficiale, insomma il vostro cavallo di battaglia non erano le piste
ciclabili.
Direi di no. Invece di chiedere le cose direttamente al sindaco - e che
sindaco avevamo... - Critical Mass si rivolgeva direttamente agli altri
cittadini praticando una sorta di lobbying orizzontale. Non era una
manifestazione rivendicativa, ero «solo» un gruppo di persone che usciva
alla sera per bersi un bicchiere di birra o di vino, sempre in
bicicletta e sempre partendo dallo stesso punto, proprio per darsi un
appuntamento fisso senza tanti sbattimenti, se ci sei vai ti aggreghi e
ti diverti... Sembra una cosa solo giocosa ma non lo è, perché così
facendo i ciclisti agivano, e agiscono, sui modelli di consumo: un gesto
individuale come quello di prendere la bicicletta e uscire, reso
visibile e importante facendo «massa critica», è un gesto molto
politico, è servito anche, o meglio dovrebbe servire, ad abbattere un
tabù. Anche a sinistra.
Cioè?
Il tabù della supremazia «metalmeccanica». Critical Mass ha aperto un
doloroso ma necessario dibattito anche a sinistra, laddove l'automobile
è ancora considerata un feticcio, come se questi ultimi decenni di
(im)mobilità insostenibile non avessero ancora insegnato niente. Il
movimento - mai come in questo caso la definizione è perfetta - ha
inaugurato un nuovo repertorio di argomentazioni, che sposta l'accento
sulla nostra condizione esistenziale di schiavitù dell'automobile. Lo
definirei ambientalismo estetico esistenziale: parla di esistenze
recluse (ore e ore per rientare dal lavoro), interi popoli (il nostro
soprattutto) che vivono incapsulati in ridicoli salottini semovibili,
alienati dal territorio, bambini privati della propria libertà di
deambulazione. In fondo lo smog è solo uno dei problemi, forse il
minore. La civiltà dell'auto è un modello esistenziale, industriale,
antropologico. CM ha cercato di alzare il livello del discorso,
altrimenti sempre appiattito solo sulla questione sanitaria, lo smog
appunto.
Direi anche che ha sprovincializzato il modo di vivere le nostre città.
Tieni presente che tutti i nuclei di CM erano collegati tra loro, e
tutti in particolare con la città madre del movimento, San Francisco,
non a caso una delle capitali mondiali dell'arte e del movimentismo. E'
un movimento non strutturato totalmente locale e globale al tempo
stesso, un network di città costantemente collegate tra loro. Questa
continua connessione è una tendenza del panorama culturale e mediatico
contemporaneo, insomma è diventata roba per sociologi ed esperti di
marketing. Sono passati dieci anni, ecco un'altra anticipazione dei tempi.
Un caso pionieristico di comunicazione virale, ma tra fanatici delle due
ruote.
Oggi guerrilla marketing e viral communication sono diventate parole
alla moda, le si studiano sui manuali di comunicazione aziendale. Per la
CM, nata sull'esempio di Seattle, una comunità di ciclisti a
inclinazione digitale, questo era il terreno naturale fin dal 2002.
Giocare a nascondino con i media, farsi inseguire piuttosto che
bombardare di comunicati le redazioni.
Lo spontaneismo puro del movimento su due ruote non è anche il suo limite?
C'è una profonda differenza rispetto ai tanti movimenti strutturati in
comitati, esecutivi, assemblee. CM è una coincidenza organizzata, non
una manifestazione tradizionale. La testa della CM non esisteva,
decideva chi era presente in quel momento. Lo spontaneismo di strada
aveva i pro e i contro, ogni tanto si scivolava nella provocazione pura
e semplice, c'era sempre un piccolo atto di prepotenza, ma mai niente di
importante, occupare la stada era un po' come giocare a Davide contro
Golia, con uno spirito giocoso, almeno una volta alla settimana.
Questi ultimi dieci anni valgono un secolo, il mondo è cambiato. Credi
davvero che CM abbia lasciato il segno?
Sì, la «massa critica», almeno quella su due ruote, ha mostrato il volto
epico e poetico della bici, ha ridato dignità ai ciclisti urbani uscendo
dal territorio delle rivendicazioni politiche classiche (niente
petizioni, presìdi sotto il municipio, lettere al sindaco...). E questo
atteggiamento, paradossalmente, le ha dato ancora più peso politico.
Come è successo negli anni Sessanta per i Provos di Amsterdam. Sono
loro, gli artivisti olandesi che hanno creato le condizioni di consenso
per inventare la Amsterdam moderna che ancora oggi è un punto di
riferimento per tutte le città che si vogliono europee. A Milano, per
esempio, la bici cresce del 20% ogni anno, e questo successo lo si deve
anche a Critical Mass.