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Se si dimenticano gli interessi della città
COMMENTO - Alessandro Dal Lago
Non si sa se ridere o se piangere davanti alle dichiarazioni a caldo del sindaco Marta Vincenzi dopo la vittoria di Marco Doria alle primarie genovesi. Passi per le frecciate al Pd, che non l'ha sostenuta e ha realizzato il capolavoro di perdere in una sua storica roccaforte mettendo l'uno contro l'altro quattro candidati. Passi per le ironie sul popolo dei «beni comuni», dei «predicatori» e degli «intellettuali» che si sono schierati contro di lei. Ma paragonarsi a Ipazia, martire della scienza nell'Alessandria del quarto secolo, vittima di fanatici cristiani, sembra davvero la reazione emotiva di chi, invece di calarsi nelle ragioni della sua città, ha vissuto per troppo tempo sulle nuvole.
No, sindaco Vincenzi, il voto per Doria non è stato contro le donne, lei e la sua principale antagonista Pinotti, ma contro un sistema di potere e un modo di amministrare che i suoi elettori, persino gran parte di quelli del Pd, non sopportavano più. Votando per l'outsider o restandosene a casa, gelo o non gelo. E soprattutto, non si è trattato soltanto di un voto di protesta, ma di un segnale per un nuovo rapporto tra cittadini e amministratori. Il messaggio è cristallino. Gli interessi della città sono più importanti del ruolo supponente e altero di decisori che i dirigenti del Pd si sono attribuiti da almeno vent'anni. La voce dei cittadini conta più di quelli che dovrebbero servirli e invece pretendono, come severe maestre, di educarli.
Su tutte le questioni di pubblico interesse i cittadini di Genova si sono convinti, anno dopo anno, che la loro voce non contasse nulla. La gronda di ponente, e cioè l'autostrada o bretella, contro cui si erano schierati i municipi, gli ambientalisti e i comitati di cittadini. La cementificazione inarrestabile delle vecchie aree industriali. I progetti faraonici di risistemazione del porto. Le iniziative tutte legge e ordine a opera dell'assessore dell'Italia dei valori, un partito che a Genova, più che altrove, insegue i fantasmi e i proclami sicuritari. La strombazzata bonifica dei vicoli, come se il problema del centro antico fossero le prostitute. La caccia agli homeless. Il «braccialetto antistupro», una bizzarria di cui, oltretutto, dopo la propaganda iniziale, nessuno ha più sentito parlare. Il taglio dei servizi assistenziali ed educativi, in una città piena di anziani, poveri e disoccupati. E non parliamo dell'alluvione. E così via.
Certo, anche l'avversione per un partito che va cocciutamente al centro, in una città storicamente di sinistra, conta. L'angoscia per la disoccupazione, giovanile e no, in un panorama di de-industrializzazione più grave che nel resto del nord, ha avuto un ruolo determinante nel voto. E questo non vale solo per Marta Vincenzi, ma per la sua concorrente Roberta Pinotti, nota soprattutto per aver difeso sempre le spese militari e per aver cercato i voti tra i benpensanti che non vogliono la moschea. Queste cose a Genova si pagano, come nel resto di un paese in cui la sinistra non è morta, mentre invece i cosiddetti politici di centrosinistra si sono schierati con Monti, con Fornero e con Marchionne.
Ora, non per questo il cammino di Doria è meno impervio. In una città in cui il Pd è saldamente radicato tra i poteri forti, si tratterà di vedere se il candidato sindaco sarà capace di mobilitare un elettorato che in gran parte non si è espresso alle primarie. E se il Pd sceglierà di appoggiarlo lealmente (in tutta questa vicenda il governatore Burlando si è ben guardato dal prendere posizione). E se Doria sarà capace di sconfiggere una destra obiettivamente indebolita, ma vogliosa di rivalse. E se, nel caso fosse eletto, riuscirà a sfuggire ai mille condizionamenti dei poteri pesanti, in primo luogo il partito trasversale del mattone, che gli presenteranno inevitabilmente il conto.
Ma, per il momento, questo voto è un segnale di cambiamento analogo a quello di Milano e quindi godiamocelo in attesa degli eventi. C'è poco da ironizzare sul popolo dei beni comuni, cara Marta Vincenzi. Perché un sindaco non è il maestro che bacchetta una città, come è successo nei giorni dell'alluvione, ma qualcuno che dovrebbe ascoltare la sua voce e operare modestamente per il bene comune.
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Genova si tuffa nell'onda arancione
APERTURA - Alessandra Fava
GENOVA
La vittoria del candidato di Sel, Marco Doria, terremota il Pd. Il segretario regionale e quello provinciale si dimettono. Marta Vincenzi: io come Ipazia. Roberta Pinotti: forse lascio la politica
«Siamo contro l'idea che si possa essere politici a vita. La politica è un servizio e deve avere una durata. Quando finisce, bisogna tornare serenamente alle nostre attività ed essere cittadini come gli altri»: è questa la novità di Marco Doria, vincitore delle primarie genovesi del centro-sinistra, secondo uno dei fautori del suo comitato. Pietro Iozia, psichiatra, una sola campagna elettorale nel 1972 come ironizza lui stesso - «quella per il manifesto in Sicilia con lo slogan 'Valpreda libero, vota Manifesto'» - vive a Genova dal 1980. «L'unica cosa che ho capito è che in quattro mesi abbiamo saputo leggere una parte di Genova - commenta Iozia - Abbiamo trovato un sacco di gente nuova che non avevo mai visto all'opera. Molti non avevano mai sentito parlare di Doria. Abbiamo avuto una grande pazienza nello spiegare il senso della candidatura e nel dire che per noi c'è una concezione diversa di fare politica come servizio ai cittadini e alla città. Ora c'è un grande pronunciamento che va nel senso di un cambiamento e si colloca anche in una prospettiva nazionale: dalle città sta venendo un segnale importante per tutta la politica italiana. E' una situazione di svolta che conferma gli esiti della precedente campagna amministrativa con le esperienze di Cagliari, Milano, Napoli. Insomma c'è quest'onda arancione che va avanti».
Su Twitter tutti cinguettano senza sosta, Facebook esulta. Centinaia passano dal point, altre migliaia chattano a distanza. Per questo Doria ha ramazzato oltre 11 mila voti su 21.500, con punte bulgare come il centro storico (709 voti su 1.012). Al point in salita Santa Caterina, un ammezzato dentro la libreria della comunità di San Benedetto, l'euforia si tocca con mano. Anche se tutti sanno che il bello viene ora. Prima ignorato dai media locali e nazionali, ora tutti lo vogliono. E intanto c'è da preparare le amministrative. Luigi Cornaglia è un altro dei deus ex-machina di questa campagna, si è occupato della rete e dei social network curando una buona fetta di comunicazione: «Siamo riusciti a raggiungere molti genovesi dai 50 anni in giù che frequentano la rete. Abbiamo integrato tutti gli strumenti 2.0 che ormai sono strumenti di comunicazione di massa ottenendo riscontri ottimi di partecipazione soprattutto su Facebook. Mentre le nostre ricerche suggerivano che i nostri sostenitori hanno un'età media più alta di Facebook, abbiamo incrociato molti 40-50enni che usano questo strumento quotidianamente. Solo su Twitter abbiamo 7 mila follower».
Le coalizioni si toccano con mano. Arriva Rifondazione col segretario provinciale Sergio Triglia che commenta «alle primarie non abbiamo partecipato perché le abbiamo definite una cambiale in bianco. Non tutti i candidati erano dello stesso valore e alcuni erano per noi indigeribili. Marco Doria ci piace e si è espresso contro la Gronda». Alle elezioni però un pezzo di Rifondazione, Sinistra critica, ha intenzione di appoggiare un candidato presentato da un gruppo di lavoratori. Intanto esultano quelli di Sel. Il portavoce in città, Simone Leoncini, dice che «una grande parte dei genovesi aveva voglia di cambiare, non un cambiamento di plastica, ma di contenuti e programmi» ed è certo che intorno a Doria si ricomporrà il centro-sinistra compresa la Federazione della sinistra su un programma che abbia più attenzione al mondo del lavoro, all'ambiente e ai bisogni sociali. «Sel non ha mai avuto la cifra delle poltrone degli assessorati - conclude Leoncini - cercheremo di fare in modo che Doria abbia una squadra capace di parlare alla gente e ai bisogni popolari, non teste d'uovo».
Il silenzio a piazza della Vittoria, dove c'è la sede del Pd, ieri era invece assordante. I segretari provinciale e regionale in mattinata erano irreperibili anche sui cellulari. I portavoce smentivano le voci di dimissioni. Ma nel pomeriggio è uscita la conferma: i vertici del Pd ligure sono azzerati. Si sono dimessi sia Lorenzo Basso che Victor Rasetto. Anche lì inizia una nuova pagina che forse risanerà la spaccatura dolomitica che si è creata nella campagna delle primarie tra chi appoggiava il sindaco uscente Marta Vincenzi e chi la senatrice Roberta Pinotti. Come e con chi entreranno in giunta è tutto da vedere.
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«Ha vinto la politica come passione Ora ci serve una coalizione solida»
INTERVISTA - A. F.
Il curriculum è scarno. Il personaggio sintetico come la Lanterna. Asciutto come un'acciuga. Professore universitario nominato con regolare concorso. Sposato, tre figli. Vive nel centro storico. E' un esperto di storia economica genovese essendosi anche occupato di storia industriale vedi Ansaldo, poi confluita in Fincantieri e Fincameccanica. All'indomani della vittoria si è eclissato fino a metà pomeriggio a fare esami ai suoi studenti. Poi è riemerso.
Doria, fino a pochi mesi lei era un perfetto sconosciuto. Quali sono gli ingredienti del suo successo alle primarie?
Prima di tutto voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno sostenuto, a cominciare dai primi firmatari. A mio avviso, abbiamo intercettato una voglia di cambiamento fatta di due componenti fondamentali. Il primo è un nuovo modo di intendere l'impegno politico come passione, come servizio alla comunità. I cittadini hanno un forte bisogno, almeno quelli che partecipano alle primarie, di vedere candidati che siano riconoscibili per questo. Secondo, è importante il modo di porsi, il linguaggio che si usa, un linguaggio che sia comprensibile, non criptico, non stantio. Poi i cittadini hanno anche bisogno di valori, c'è come la necessità che sia chiaro che si fa politica perché si è animati da valori forti: serietà, niente fughe demagogiche né populismo, ma una politica fatta nel disinteresse personale. Io ho l'impressione che questo mi sia stato riconosciuto.
Dica la verità, pensava davvero di vincere?
Sono sempre stato fermamente convinto che non si trattava di una candidatura di testimonianza ma capace di raccogliere consensi larghi. Questo da sempre. Sulla vittoria, per la verità no. Ho avuto la percezione che fosse possibile solo nelle ultime settimane.
All'indomani della vittoria tutti profeti. Ma visto con l'occhio di un mese fa, non era più semplice fare una lista civica e andare direttamente alle elezioni con una squadra sua?
Il quadro politico nel quale mi riconosco è il centro-sinistra, con le mie idee e i miei valori. Sto bene dentro una coalizione. E poi non sono così presuntuoso e non ho le forze, i mezzi.
Ora arriva il momento di scrivere un programma vero e proprio. Che cosa proporrà?
Il programma dovrà essere costruito e dovrà essere il programma del centro-sinistra. Si costruirà tutti insieme mobilitando il popolo del centro-sinistra e naturalmente anche i partiti e le tante competenze. Non si tratta di azzerare quanto di buono hanno fatto le amministrazioni che hanno governato questa città. Io non parto dall'idea che tutto quello che è stato fatto non vada bene. Anzi. Certo, bisogna andare avanti con problemi che sono nuovi e drammaticamente complessi.
Cosa cambia da qui alle elezioni?
Niente, la sostanza non cambia. Dobbiamo continuare con serietà. Credo che i cittadini abbiano bisogno di un messaggio di serietà e la dimostrazione sono stati quei 25 mila che sono venuti a votare. E' un fatto importantissimo che le primarie si siano fatte e vorrei che fosse una pratica abituale. Le primarie si sono rivelate una volta di più un elemento di democrazia. Sono servite per individuare il candidato sindaco del centro-sinistra col concorso e la partecipazione di migliaia di genovesi. Se non ci fossero state le primarie il candidato sarebbe stato deciso da 8-10 persone chiuse in una stanza, che avrebbero deciso anche il vicesindaco e altre cose ancora. Non è quello che i cittadini si aspettano. Detto questo, non sono un anti-politico, i partiti ci sono e dialogherò in maniera costruttiva. Che abbiano sottoscritto le primarie è importante. È un'onda che c'è nel paese ed è importante non sottovalutare.
Venticinquemila elettori alle primarie sono sempre un campione rispetto a 512 mila aventi diritto al voto a Genova. Come riuscirà a convincere un numero più ampio a votarla sindaco?
L'elettorato di centro-sinistra è più ristretto. Dalle scorse regionali possiamo individuare 160 mila elettori. Detto questo, come candidato del centro-sinistra spero di intercettare un consenso allargato.
Allargato quanto? Roberta Pinotti aveva ipotizzato alleanze con l'Udc. Burlando è andato al governo con l'Udc. Lei che cosa farà?
Parto dall'idea assoluta di cercare di costruire una buona, solida coalizione di centro-sinistra. Aprioristicamente non mi interessa fare ammiccamenti, né alchimie. Giuliano Pisapia a Milano ad esempio ha in giunta Bruno Tabacci e a me non dà fastidio anche se non sono di Milano. Per il resto ad allargare le alleanze per ora non ci penso. Io lavoro per centro-sinistra.
In campagna elettorale lei ha espresso contrarietà su un'opera infrastrutturale molto appoggiata dal Pd, la variante autostradale, detta Gronda. Se sarà sindaco non farà la Gronda?
Ho espresso contrarietà sulla Gronda. Non cambio posizione. Quindi andrò avanti convinto delle mie posizioni.
Se dovesse fare la giunta domani, che spazio avrebbero i partiti?
Parliamo meno di poltrone e più di contenuto. Questo è un consiglio per tutti. Questo è un vecchio modo di far politica. Non c'è da parlare di posti in giunta. Ora c'è da parlare con i cittadini in modo diverso.