“Non mi chiamare straniero perché sono nato lontano o perché ha un nome diverso la terra da dove vengo.
Non mi chiamare straniero e non pensare da dove vengo, meglio sapere dove andiamo, dove ci porta il tempo.
Non mi chiamare straniero, il tuo grano è come il mio grano, la tua mano come la mia
il tuo fuoco come il mio fuoco e la fame non avvisa mai, vive cambiando padrone.
E mi chiami straniero perché mi ha portato qui un viaggio, perché sono nato in un altro Paese,
perché conosco altri mari e salpai un giorno da un altro porto, ma
sempre sono uguali al momento dell’addio i fazzoletti e le pupille
confuse di chi lasciamo lontano, gli amici che ci chiamano per nome
e sono le stesse preghiere e l’amore di colei che sogna il giorno del ritorno.
Non mi chiamare straniero, portiamo lo stesso grido, la stessa vecchia
stanchezza che viene trascinando l’uomo dall’inizio dei tempi, quando
non esistevano frontiere, prima che venissero loro,
quelli che mentono, che vendono i nostri sogni, quelli che inventarono un giorno questa parola: straniero.
Non mi chiamare straniero che è una parola triste, è una parola gelata, ha il puzzo dell’oblio e dell’esilio.
Non mi chiamare straniero, guardami bene negli occhi molto più in là dell’odio, dell’egoismo e della paura.
E vedrai che sono un uomo. Non posso essere straniero!”
-Rafael Amor-