[Lecce-sf] L’Italia che dimentica: quando untempo ci disinfe…

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Author: gabriele1985@virgilio.it
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To: lecce social forum
Subject: [Lecce-sf] L’Italia che dimentica: quando untempo ci disinfettavano
Da: www.ilcorsaro.info
http://ilcorsaro.info/index.php?option=com_content&view=article&id=30:litalia-che-dimentica-quando-un-tempo-ci-disinfettavano&catid=16:editoriali&Itemid=121
L’Italia che dimentica: quando un tempo ci disinfettavanodi Gabriele Caforio

Piazza
Dalmazia a Firenze, il campo Rom di Torino, i pomodori di Rosarno, la
gru di Brescia, il filo conduttore è sempre uno. Il sentimento è il
razzismo, gli strumenti sono la violenza e lo sfruttamento lavorativo.
La benzina sul fuoco è l'indifferenza. Le nostre leggi, la nostra
vergogna.Per andare
oltre i colpi di una pistola e oltre i forconi contro i Rom la strada da
fare è tanta, ma è necessaria. Il sentimento deve essere l'etica, lo
strumento l'ospitalità.Due
secoli e mezzo fa, Kant rifletteva su concetti di “storia universale” e
“cittadinanza globale”, delineava quale orizzonte ultimo della storia
umana l'unificazione di tutta la specie in un'unica cittadinanza. Un
destino che ci viene imposto dalla natura stessa. La terra è una sfera.
Se ci muoviamo e ci troviamo su una sfera siamo destinati a vivere l'uno
a fianco all'altro. Banale ma cruciale. Dunque se gli spazi si riducono
è la natura stessa ad imporci il precetto dell'ospitalità.
Un'ospitalità planetaria.Passano
decenni, generazioni e popoli e l'etica dei comportamenti umani, delle
nostre istituzioni, delle nostre leggi non ha nulla a che vedere con il
concetto di ospitalità, ne continuiamo ad avere prova ogni giorno, da
Torino, a Firenze alla rivolta di quest'estate a Nardò.Gli
Italiani erano clandestini! Abbiamo dimenticato la storia o forse non
l'abbiamo mai saputa. Tanto quella lontana quanto quella vicina. Si
ignora colpevolmente quella storia che narra che fino ad un passato non
tanto lontano, molti italiani hanno ricoperto il ruolo dei clandestini.
Morendo da clandestini, venendo sfruttati da clandestini. Terre del
Nord, oggi geograficamente vicine alle scelte politiche del governo
Berlusconi in materia di immigrazione, hanno visto clandestini italiani
nel secondo dopoguerra tentare la fortuna attraversando le Alpi,
speravano di arrivare in Francia e ci lasciavano la pelle su un letto di
disperazione.Altri
italiani in altre epoche hanno solcato i mari, hanno annusato la
speranza in altri continenti. Venivano disinfettati all'arrivo. Lo
straniero che arriva oggi in Italia, se la fortuna lo fa arrivare sulle
sue gambe, si trova catapultato direttamente di fronte ad un bivio, non
sceglie lui la strada ed anche se lo facesse entrambe le strade
sarebbero vicoli ciechi. Quella più corta ti bolla subito come
delinquente, colpevole del reato di clandestinità. Con questa legge è la
disperazione che diventa reato. O ritorni subito in patria o vieni
rinchiuso in un Cie, carcere ad hoc in cui i diritti fondamentali
dell'uomo sono spesso calpestati. Nell'era vittoriana erano
criminalizzate le persone al margine della società: vagabondi e
indulgenti. Oggi lo sono i migranti. Recentemente nel Cie di Bologna ci è
finita anche Adama, rea di aver denunciato alle forze dell'ordine il
branco di connazionali che la stuprava.La
seconda strada, lentissima e piena di ostacoli, passa per la
Bossi-Fini, una legge che lega la possibilità dello straniero di stare
in Italia ad un lavoro regolare e che va al più presto abolita. Sullo
sfondo di Rosarno, dei caporalati nel sud agricolo e nel nord edile,
qual è il datore di lavoro che riesce ad assumere una persona ancor
prima di entrare in Italia conoscendone nome e cognome?Il
concetto di giustizia, elemento fondante della civiltà di un popolo,
per queste persone non esiste, le leggi che dovrebbero garantire il
giusto legittimano l'ingiustizia. Lampedusa e Manduria sono delle
esperienze ancora aperte. I 6 lavoratori migranti sulla gru a Brescia lo
scorso anno, sotto il freddo e la fame, ci chiedevano “solo” giustizia.Italia,
il Mediterraneo, l'Europa. Sono questi i tre luoghi fondamentali che
devono ricollegarsi tra loro umanamente ancor prima che politicamente.
L'Italia è il cuore geografico del Mediterraneo. L'Europa è un mercato
sviluppato che si affaccia sul mediterraneo. Lo stesso Mediterraneo che
ha visto sotto il suo naso le “primavere arabe” che chiedono ancora
“pane e libertà”. Un mare bellissimo che bagna paesi e persone
diversissime, un mare che sta diventando il cimitero della disperazione.Non
servono gli accordi bilaterali con stati che democratici non sono. Non
serve la militarizzazione delle isole, l'aumento del personale degli
uffici europei d'immigrazione, non serve un test di italiano per entrare
in Italia se ancora non hai parlato con nessun italiano, non serve
militarizzare dispendiosamente mari e coste. Ci siamo distinti in altri
tempi e in alcuni luoghi per solidarietà ed accoglienza, dobbiamo
ripartire da li. Assunto a priori che nessuno è illegale, non possiamo
presentare le vittime della globalizzazione come minaccia per la
sicurezza quotidiana e l'intelligence dello Stato piuttosto che come
persone che necessitano aiuto, asilo e prima di tutto dignità. Deve
essere riconosciuto uno status giuridico, da subito, a chi emigra in
cerca di lavoro. Serve che il recente appello di Napolitano sullo ius
soli, il diritto di essere cittadino italiano se si nasce sul suolo
italiano, entri da subito a far parte dell'agenda politica e si traduca
in realtà. Servono leggi che facilitino realmente la tanto sbandierata
mobilità delle persone fra i paesi. In Europa merci e capitali circolano
liberamente, tutte le barriere sono state abbattute. Lo stesso deve
valere per la mobilità e la circolazione delle persone. Servono leggi
che rendano i migranti persone uguali ai cittadini dei paesi ospitanti.
Deve essere eliminata la possibilità di sfruttare economicamente e
“lavorativamente” la disperazione delle persone offrendo loro pari
dignità e possibilità lavorative.Ripartire
dai concetti di comunità e integrazione è fondamentale e necessario per
garantire a questo Paese uno sviluppo, un salto di qualità, una
crescita, un'alternativa. La nostra arma deve essere un abbraccio,
quello tra le culture.