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Auteur: aunchb -
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Sujet: [Forumlucca] FW: INTERVISTA a Christian Marazzi - di Ida Dominijanni (Il Manifesto)


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To: asa@???
Subject: INTERVISTA a Christian Marazzi - di Ida Dominijanni (Il Manifesto)
Date: Sat, 10 Dec 2011 09:45:58 +0100







INTERVISTA a Christian Marazzi - di Ida Dominijanni (Il Manifesto)




La missione impossibile del salvataggio dell'euro, la frana della
de-europeizzazione, il cataclisma geopolitico che ne può derivare. Ma con
l'austerità non si esce dalla crisi, si produce recessione e depressione.
Intervista a Christian Marazzi sulla penitenza dopo l'abbuffata neoliberale e
sull'antidoto del comune




Economista, docente alla Scuola universitaria della Svizzera italiana e, in
passato, a Padova, New York e Ginevra, militante e intellettuale di riferimento
dei movimenti della sinistra radicale, Christian Marazzi è uno degli analisti
più lucidi della crisi economico-finanziaria in corso. Fra i primi a
diagnosticarne il carattere storico e l'impatto globale, già nel 2009, quando la
crisi impazzava negli Usa, aveva previsto l'inevitabile coinvolgimento
dell'eurozona. Fine analista della finanziarizzazione come modus operandi del
biocapitalismo postfordista, non crede nella possibilità di uscire dalla crisi o
di contenerne le contraddizioni attraverso le politiche del rigore. Partiamo dal
salvataggio dell'euro per ragionare di quello che ci attende.


L'andamento della crisi ha dato ragione alle tue analisi. Nel
giro di due anni l'epicentro si è spostato dagli Stati uniti all'Europa, e nel
giro di poche settimane siamo passati dal rischio di default di alcuni paesi,
Italia compresa, al rischio del crollo dell'intera eurozona, che equivale al
crollo dell'Unione per come è stata fin qui (malamente) realizzata. Secondo te
come può evolvere la situazione?

Gli indizi della cronaca sono eloquenti. In Europa cresce l'astio nei
confronti della Germania e della rigidità di Angela Merkel, che non dà segni di
cedimento sulle due proposte che ormai tutti considerano indispensabili per
evitare il cataclisma di Eurolandia: la monetizzazione dei debiti sovrani da
parte della Bce, e l'emissione di eurobond per ridurre il peso dei tassi
d'interesse sui buoni del tesoro dei paesi più esposti alla speculazione dei
mercati finanziari.


Anche tu le consideri indispensabili?
Sono due
misure condivisibili, ma purtroppo fuori tempo massimo: la crisi ha subito nelle
ultime settimane una tale accelerazione da renderle inapplicabili. La
trasformazione della Bce in una vera banca centrale sul tipo della Federal
Reserve - che possa fungere da prestatore di ultima istanza per acquistare i
buoni del tesoro dei paesi-membri indebitati, strappando ai mercati il potere di
decidere come e quando intervenire - è un'idea sacrosanta, ma ormai
irrealizzabile a fronte della fuga di capitali dall'eurozona che è già in corso,
come dimostrano l'andamento dell'ultima asta di bond tedeschi e le 1500
tonnellate di oro che pare siano entrate in Svizzera ultimamente. Arrivati a
questo punto, la monetizzazione dei debiti da parte della Bce non farebbe che
alimentare questa fuga e accelerare il collasso dell'euro: non a caso, almeno
fino a oggi, anche Draghi si oppone a questa soluzione. Lo stesso vale per
l'istituzione degli eurobond, obbligazioni emesse e garantite dall'insieme dei
paesi-membri per "mutualizzare" o socializzare i vari debiti sovrani: anche
questa è una misura sensata, ma non ha alcuna possibilità di essere attuata,
perché i paesi forti, come la Francia, l'Olanda, la Finlandia, l'Austria e la
Germania si vedrebbero aumentare i tassi d'interesse in un periodo in cui le
imprese stanno già subendo aumenti proibitivi del costo del denaro per il
rarefarsi della liquidità in circolazione. In ogni caso, anche se al vertice di
giovedì a Bruxelles si trovasse un accordo parziale, i vincoli d'austerità
imposti ai paesi indebitati sarebbero tali da vanificare qualsiasi salvataggio
dell'euro. E' solo questione di tempo.


Dunque in prospettiva tu vedi un tracollo?
Il fatto è
che la crisi della moneta unica costruita secondo i precetti monetaristi e
neo-liberali è arrivata alla stretta finale. E a me pare del tutto verosimile
che la rigidità di Merkel sia una mossa tattica per rendere inevitabile l'uscita
della Germania dall'euro e il ritorno al marco. Circola già la data, fra Natale
e l'Epifania, mentre tutti saremo in altre faccende affaccendati; come
l'inconvertibilità del dollaro, che fu decisa a Ferragosto. E circolano già, qua
in Svizzera, leggende metropolitane su due stamperie che starebbero sfornando
marchi.


Se davvero andasse così, che tipo di scenario si
aprirebbe?
Nascerebbe una zona monetaria forte, con dentro la
Germania, l'Olanda, la Finlandia, l'Austria, con agganciati il franco svizzero e
la corona svedese. L'euro, fortemente svalutato e con l'effetto inflazionistico
conseguente, resterebbe la moneta dei paesi deboli, che in compenso avrebbero la
possibilità di ridurre il loro debito. L'incognita di questa ipotesi è la
Francia. Per i paesi più tartassati dai mercati, sul piano economico non sarebbe
un cataclisma. Ma il vero cataclisma sarebbe geopolitico. Di fatto, questa
spaccatura monetaria darebbe il via a un processo di de-europeizzazione, con un
asse fra la Germania, la Cina, la Russia e il Brasile, e un altro fra la Francia
e gli Stati uniti. Non è uno scenario fantascientifico, le grandi agenzie
finanziarie internazionali ci stanno già lavorando. Quello che nessuno dice però
è che può essere l'inizio di una nuova guerra fredda, con la Cina, la Russia e
la Turchia coordinate per schermare l'Iran dalle minacce israeliane. E'
inquietante che di questo non si parli: il rischio Iran è esplosivo. Ed è
inquietante pure che ormai si parli solo della crisi europea, rimuovendo la
situazione degli Stati uniti, dove nel frattempo la crisi dei subprime continua,
i poveri sono diventati 46 milioni, la disoccupazione è al 15%, Obama non riesce
a battere chiodo e per la sua rielezione può sperare solo nella litigiosità dei
Repubblicani.


Ci sono differenze, e quali, fra l'andamento della crisi negli
Usa e in Europa?
Sul piano economico nessuna: l'Europa dei debiti
sovrani è l'equivalente del mercato statunitense dei subprime, solo che al posto
dei singoli individui indebitati ci sono gli stati indebitati. Ma una differenza
c'è, a tutto svantaggio dell'Europa, ed è politica, anzi istituzionale e
costituzionale: in Europa non c'è Costituzione, e non c'è una banca centrale.
C'è la Bce che delega la monetizzazione dei debiti ai mercati, emettendo
liquidità su richiesta di quelle stesse banche che hanno contribuito a creare
debito pubblico e ora ci speculano sopra.


In questo quadro macroregionale e globale, che ruolo e che senso
hanno le politiche nazionali del rigore? In Italia sono state create molte
aspettative sul passaggio del governo da Berlusconi a Monti e alla sua squadra
di "tecnici", come se ne dipendesse non solo un recupero di credibilità, ma
anche un effettivo potere di intervento sulle dinamiche dei mercati. Ma quanta
efficacia possono avere i cosiddetti sacrifici sulla crisi del debito sovrano, e
relative speculazioni?
Non è così che si esce dalla crisi, e
infatti non ne usciremo: l'orizzonte dei prossimi anni è la recessione. Le
politiche di austerità hanno un effetto deflazionistico di compressione della
domanda interna, né a questo si può sperare di supplire con le esportazioni. Ma
le politiche di austerità sono le uniche contemplate dalla dottrina
neo-liberale, che in Europa e in tutto l'Occidente è tutt'ora imperante ed è
dura a morire. Dunque restano e resteranno in piedi all'insegna dell'emergenza,
o, per usare il termine di Naomi Klein, della shock economy, perché consentono
di fare quello che in una situazione normale non si può fare: compressione dei
salari, riduzione dell'impiego pubblico, depotenziamento dei sindacati; la
famosa macelleria sociale. E' la logica della governance della crisi: una
regolazione tecnica e tecnocratica dei rapporti sociali nello stato d'emergenza.
Ha detto bene il vicepremier cinese in un'intervista al Financial Times: quello
che ci aspetta è un nuovo Medio Evo finanziario e sociale.


Con quali caratteristiche politiche, e antropologico-politiche?Tu
non parli mai solo di economia...
Alcuni processi sono ormai
evidenti. Il primo è la precarizzazione della Costituzione. Il secondo - l'hai
scritto pure tu a proposito del ''passaggio Monti'' - è l'azzeramento
dell'autonomia del politico sotto lo stato d'eccezione. Il terzo è il passaggio
dal Welfare State al Debtfare State: uno Stato in cui il sociale si rappresenta,
e viene rappresentato, nella forma del debito, e si disciplina, e viene
disciplinato, nel segno del debito. Anzi, del debito e della colpa, secondo il
doppio significato della parola tedesca schuld: tema nietzschiano, che oggi
torna al centro del bel libro di Maurizio Lazzarato, La fabrique de l'homme
endetté. Il debito come dispositivo antropologico di autodisciplinamento
dell'uomo neo-liberale.


E' chiarissimo da quello che sta accadendo in Italia, dove in un
attimo siamo passati dall'etica del godimento del ventennio berlusconiano
all'etica penitenziale del governo Monti. Ma quanto pensi che possa reggere,
questo dispositivo? Il soggetto neo-liberale descritto da Foucault,
l'imprenditore di se stesso che si nutriva di consumo indebitandosi, ora può
nutrirsi del senso di colpa per i debiti contratti? Si tratta
di uno sviluppo o di una crisi dell'etica neo-liberale?
Per ora, io
ci vedo un inveramento: il neo-liberalismo si invera nella sua essenza di
fabbrica dell'uomo indebitato. L'imprenditore di se stesso produce il suo debito
che ora lo disciplina attraverso un dispositivo di colpevolizzazione. Del resto,
qui c'è anche un inveramento, o uno svelamento, dell'essenza del denaro: il
denaro è debito, la finanziarizzazione del capitale ci ha trasformati tutti in
soggetti debitori, e il valore viene prodotto in negativo, da una macchina
depressiva.


Però c'è chi si indigna, non ci sta, si ribella. Per fortuna. Che
pensi degli Indignados e di OWS?
Per restare nella scia di Foucault,
lui degli Indignados avrebbe detto che si tratta di un movimento parresiastico:
un movimento di persone che dicono la verità. Denunciare l'ipocrisia dei
mercati, svelare che i debiti sono tutti "odiosi", illegittimi, frutto di
rendita e di espropri, e dichiarare che questa crisi l'hanno prodotta le banche
e non possiamo pagarla noi, significa affermare la verità del punto di vista del
popolo su quella dei mercati. E poi, il movimento di Madrid ha funzionato come
uno spazio di democrazia assoluta, come una grande assemblea costituente del
comune basata sullo stare insieme nello spazio pubblico: una sorta di
ribaltamento dell'etica della paura hobbesiana, in cui mi pare molto visibile
l'impronta femminile delle pratica delle relazioni e di un'economia della cura
che diventa ecologia politica. La crescita del movimento su scala europea è
l'unico antidoto al processo di de-europeizzazione che dicevamo all'inizio. Ma
la spinta costituente deve darsi anche delle forme di autodeterminazione locale
concreta. Per spezzare il dispositivo cardinale del post-fordismo, lo
sfruttamento di saperi, conoscenza e relazioni, non c'è altro modo che
ribaltarlo in produzione del comune, tanto più ora che le politiche di austerità
comporteranno la privatizzazione ulteriore, la vendita e la svendita dei beni
comuni, dall'acqua al patrimonio culturale; ma produrre il comune significa
organizzarsi a livello locale, attrezzarsi a gestire nei quartieri l'acqua,
l'elettricità, i mezzi di trasporto, le banche stesse.


Loretta Napoleoni, che incontri oggi alla Libreria delle donne di
Milano, in un libro di due anni fa sosteneva che la funzione sociale delle
banche vive ormai solo nella finanza islamica, e che è da lì che dovremmo
riscoprirla: la finanza islamica non specula.
E' vero, nel senso che
dobbiamo reintrodurre la solidarietà al livello giusto, all'altezza delle
contraddizioni prodotte dalla crisi. E la ri-socializzazione del debito e della
funzione originaria delle banche è una strada per piegare a nostro vantaggio la
finanziarizzazione del capitale, lottando sul suo terreno.


Ma la finanziarizzazione si può interrompere, o invertire? Tu ci
hai spiegato molto bene che l'economia finanziaria non è più separabile
dall'economia reale e si basa sul coinvolgimento attivo di comportamenti e forme
di vita della gente comune: il consumatore che usa la carta di credito per fare
la spesa, il salariato alle prese con i fondi pensione, i ceti medi strozzati
dai mutui per la casa, i poveri che si indebitano fornendo come unica garanzia
la loro 'nuda vita'. Se è così, è possibile de-finanziarizzare, almeno in parte,
il sistema, o si tratta solo di bonificarlo dai soprusi delle banche? E se
produzione e consumo sono così intrecciati al debito, è possibile evitare un
esito recessivo e depressivo della crisi?
La de-finanziarizzazione
la sta approntando il capitalismo stesso nella forma recessiva della riduzione
del debito di cui abbiamo parlato poco fa, che deprime la domanda e i consumi, e
della disciplina della colpa, che deprime le esistenze. Noi dobbiamo lavorare
invece per riconvertire la rendita privata in rendita sociale: per la
socializzazione del debito, per il rilancio per questa via della domanda e dei
consumi di beni socialmente utili, per la riappropriazione dello spazio
pubblico, per la ricostruzione di socialità e di felicità collettiva. Il comune
è questo e non c'è altro modo per uscire dalla spirale autolesionista della
finanziarizzazione. Alcune parole d'ordine delle lotte di questi anni, dal
reddito minimo garantito alla Tobin tax, vanno già in questa direzione.


E della parola d'ordine del diritto all'insolvenza che cosa
pensi? Nei movimenti viene presentata come un diritto di resistenza alla
finanziarizzazione della vita, molti economisti la ritengono una mossa
demagogica, altri ci vedono una possibilità di ripristino della sovranità
nazionale cancellata dalla tecnocrazia europea.

Penso che sia giusta se diventa una pratica soggettiva e contestuale, non se
viene lasciata in mano agli Stati. Ti faccio un esempio: negli Stati uniti sta
maturando da tempo una bolla delle borse di studio, che equivale più o meno alla
metà del volume dei mutui subprime: in quel caso il diritto all'insolvenza va
senz'altro esercitato dagli studenti e dalle loro famiglie per distinguere il
debito illegittimo da quello legittimo. Ma non lo affiderei agli Stati, né alla
loro velleità di ritrovare per questa via la sovranità nazionale
perduta.


> Date: Sat, 3 Dec 2011 16:07:35 +0000
> From: swit@???
> To: asa@???
> Subject: [ASA] Nuova lista
>
> Ciao,
> ho creato questa lista ad uso "interno" dove ho inserito tutti gli
> indirizzi dell'asa che avevo.
>
> Per mandare un messaggio dovete scrivere a asa@???
> Rispondendo ad un messaggio inviato in lista risponderete
> automaticamente a tutta la lista.
>
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> m.
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