Rete controg8
per la globalizzazione dei diritti
Mercoledì 2 novembre dalle 18 alle 19 sui gradini del palazzo ducale di
genova, 492° ora in silenzio per la pace.
Mancano solo otto settimane alla cinquecentesima ora in silenzio, che
cadrà il prossimo 28 dicembre: ci auguriamo di essere in tanti/e
Incollo il volantino che verrà distribuito
Altre info su di noi su
www.orainsilenzioperlapace.org.
“Giornata delle Forze Armate e dell’Unità Nazionale”. Continua ad essere
chiamato così il 4 novembre, cent’anni dopo la fine del primo terribile
conflitto mondiale del secolo breve. Celebrata dai cappellani militari
nelle piazze di tutta Italia, caserme e unità navali aperte alla visita
di civili, giovani e studenti, donne e uomini armati nel nome della
difesa del suolo patrio, dell’onore, di libertà sempre più effimere e
intangibili. Eppure mai come quest’anno ci sarebbe tanto bisogno di
riflettere sui soffocanti e deleteri processi di militarizzazione della
società, dell’economia, della vita di milioni di italiani. Siamo in
guerra, una guerra fatta di morti invisibili, in Afghanistan, Iraq,
Pakistan, Libia, Somalia, Africa centrale, Filippine, Kurdistan, Yemen e
chissà ancora in quanti posti ancora. Una guerra che nelle periferie
delle megalopoli è fatta di disperazione, abbandono, emarginazione,
morte per fame e malattie. Una guerra alle risorse del pianeta, ai beni
comuni, alle migrazioni, all’ambiente. Guerre che vedono l’Italia
protagonista, complice, responsabile, vittima.
I numeri sono entità fredde, astratte, spersonalizzanti. Ma ci sono
numeri che il 4 novembre ministri, generali e cappellani si guarderanno
bene a menzionare.
Anche perché, sempre secondo la Nato, l’80% delle missioni aeree della
coalizione anti-Gheddafi sono state lanciate da basi italiane
(Decimomannu, Trapani-Birgi, Sigonella, Gioia del Colle, Aviano,
Amendola e Pantelleria, con l’apporto di altre infrastrutture Usa, Nato
e italiane come Camp Darby, Pisa, Napoli-Capodichino, Poggio Renatico,
Augusta, ecc.).
Il 4 novembre dovrebbero riscendere in piazza gli indignati che si
oppongono al modello globale neoliberista e al conseguente
smantellamento dello stato sociale. Sì, perché la guerra, anzi le guerre
del complesso militare-industriale nazionale, stanno dilapidando enormi
risorse finanziarie, dissanguando i bilanci dello Stato e annientando le
politiche di redistribuzione sociale. Per la Libia assistiamo a un
tragico balletto delle cifre di spesa.
Senza contare la guerra a Gheddafi, le missioni militari all’estero
costeranno a fine 2011 un miliardo e mezzo di euro. Un insostenibile
spreco di denaro imposto dai fabbricanti d’armi del complesso
Finmeccanica e dal colosso degli idrocarburi ENI, le due holding che con
il loro potere finanziario condizionano pesantemente le scelte di
politica industriale, estera e della difesa. Come insostenibile è il
livello raggiunto dalle spese militari: sempre nel 2011, il solo
bilancio del Ministero della difesa ammonta a 20.556.850.000 (venti
miliardi e mezzo) di euro, 192 milioni in più del bilancio 2010. E
questo mentre istruzione, università, sanità, ambiente, pensioni e
assistenza sociale hanno subito tagli draconiani.
Festeggeremo il 4 novembre a Vicenza, splendida città del Palladio
convertita in alloggio-caserma per i parà Usa pronti all’uso in Africa e
Medio oriente;
Lo festeggeremo a Sigonella, dove in 15 anni è stato speso un miliardo
di dollari per trasformare lo scalo in un Hub, movimentare uomini, armi
e munizioni in mezzo mondo e ospitare i famigerati Global Hawk, gli
aerei senza pilota che disumanizzeranno ulteriormente le future guerre
planetarie.
Lo festeggeremo infine con i corpi armati a cui è stata affidata
l’ultima delle guerre all’umanità, quella contro le migrazioni e i
migranti: la Guardia costiera, le Capitanerie di porto e la Guardia di
finanza, che accanto alla Marina militare, all’Aeronautica,
all’Esercito, all’Arma dei Carabinieri e alla Polizia, presidiano i mari
per impedire con ogni mezzo gli sbarchi di chi sogna ancora di poter
sfuggire ai conflitti, ai disastri sempre meno naturali, alla fame e al
sottosviluppo.
No, noi non festeggeremo il 4 novembre. Lo vivremo come un giorno di
dolore e di lutto. E mostreremo indignati tutta la nostra rabbia, contro
le guerre, le armi, i militarismi e le militarizzazioni.
Pubblicato in Telegrammi della nonviolenza in cammino, n. 721 del 27
ottobre 2011.
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500 ma ora*Siamo in piazza contro la guerra ogni settimana da dieci anni.*
*Il 28 dicembre sarà la cinquecentesima volta*
*Vorremmo sottolineare questa “cinquecentesima volta” con una
manifestazione pubblica che veda la partecipazione di semplici
pacifisti, intellettuali ed artisti/*
*Chiediamo a tutti/e di formulare un pensiero contro la guerra e
inviarcelo all’indirizzo mail genova@???
<
mailto:genova@orainsilenzioperlapace.org>Questi pensieri saranno resi
disponibili e letti durante la manifestazione *