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TUTTO E' COMINCIATO A SIDI BOUZID.......
dalle rivoluzioni della dignità al 15 ottobre a roma
Il 17 dicembre 2010 un giovane diplomato tunisino Mohamed Bouaziz, si è dato fuoco a Sidi Bouzid, città tra le più povere del suo paese, un atto di disperazione e di “dignità”, contro le umiliazioni subite dalla polizia, con il sequestro della merce che era costretto a vendere per sbarcare il lunario.. Il 4 gennaio muore. La rivolta divampa in tutto il paese costringendo, alle dimissioni il presidente Ben Ali, despota quarantennale.
E' l'avvio delle “rivoluzioni della dignità”, che ben presto dilagano in tutto il Medio Oriente.
Il 25 gennaio 50.000 persone occupano Tahrir Square al Cairo e la tengono per 18 giorni , fino a diventare oltre un milione. Anche Mubarak deve andarsene. Anche a Gaza e nei territori occupati palestinesi i giovani provano a scendere in piazza, repressi dalle rispettive autorità di Governo, per una politica dell'unità! In altri paesi, Siria, Bahrein, Yemen, la rivolta è oggetto di repressione violenta da parte dei rispettivi regimi. In Libia, prima Gheddafi, poi l'intervento Nato, trasformano l' inizio di rivolta civile in uno scontro militare sanguinoso.
Reclamare pacificamente, occupando le piazze, attraverso i networks sociale, la dignità, il lavoro, la libertà, diventa una pratica anche per migliaia di giovani in Europa. Nasce w si diffonde il movimento 15M (maggio) in Spagna, Puerta del sol diventa come Tahrir. Square. .
Nell'estate il movimento emerge anche in Grecia, dove scioperi generali e manifestazioni contro le misure di austerità e i dettami di UE e Fondo monetario internazionale, sono in corso da mesi. A sorpresa, anche in Israele migliaia scendono in piazza a rivendicare giustizia sociale, cominciando a vedere il nesso tra l'impoverimento progressivo della popolazione e le enormi spese per sostenere l'occupazione dei territori palestinesi .
Dal 17 settembre, un piccolo gruppo, poi dilagato negli Stati Uniti, assedia la finanza, Wall Street . Occupy Wall street si definisce “ movimento di resistenza senza leader, con persone di tanti colori, generi ed opinioni politiche. L'unica cosa che abbiamo in comune è essere il 99% che non tollererà più la avidità e corruzione dell'1%. Usiamo la tattica rivoluzionaria della primavera araba per conquistare i nostri fini e incoraggiamo l'uso della nonviolenza per garantire al massimo la sicurezza dei partecipanti”.
Il movimento degli indignad@s attraversa l'Atlantico e si avvia a diventare globale. L' appello per una giornata di azione internazionale il 15 ottobre parte dalla Spagna, la democrazia reale, al primo posto! “Sotto la pressione dei poteri finanziari i nostri dirigenti politici lavorano a beneficio di pochi, senza considerazione per i costi sociali, umani, ambientali che questo comporta. Le nostre classi dirigenti, promuovendo guerre per il profitto ed impoverendo intere popolazioni, ci stanno privando del diritto ad una società libera e giusta. È per questo che vi invitiamo a unirvi a questa pacifica lotta e a diffondere il messaggio che insieme abbiamo la capacità di cambiare questa intollerabile situazione. “
Arriva in Italia, su un terreno preparato ad accoglierlo: il 13 febbraio un milione di donne avevano manifestato la propria indignazione contro l'insostenibile Governo Berlusconi. Dopo l' esperienza ricca e partecipata di Genova 2011, la grande lotta No Tav, la vittoria del referendum per l'acqua pubblica e contro il nucleare, le varie organizzazioni, reti, associazioni, si avviano verso il 15 ottobre, scegliendo la strada della massima pluralità e unitarietà, come a l'appello globale. “Uniti per un cambiamento globale” “....Uniti con una sola voce, faremo sapere ai politici e alle elites finanziarie che servono, che ora siamo noi i popoli che decideremo il nostro futuro. Non siamo merci nelle mani di politici e banchieri che non ci rappresentano.”
Dopo che molte realtà si sono riunite, hanno scritto i propri appelli, una lettera aperta della Rete italiana per il Forum sociale mondiale, invita a verificare le possibili convergenze di tanti attori sociali (movimenti spontanei non ci sono). Il 13 settembre nasce il coordinamento 15 ottobre, con l'obiettivo di “favorire la massima inclusione, convergenza, convivenza e cooperazione delle molteplici e plurali forze sociali, reti, energie individuali e collettive che stanno preparando e prepareranno la mobilitazione con i propri appelli, le proprie alleanze, i propri contenuti”. Si fanno molte, faticose, riunioni. Il conflitto interno, tra alcune sigle, ha occupato ampia parte delle discussioni secondo dinamiche obsolete, ma non “mature”, la rincorsa a chi è “più radicale”! Alla fine sembra che si raggiunga un consenso importante: sul percorso, continuamente contestato da alcuni perché “non tocca i palazzi del potere”, sulle caratteristiche della manifestazione – unitaria, pacifica, plurale -, con alcune innovazioni: pratiche diverse ma conviventi e compatibili, “accampate”, nessun comizio in piazza, ma solo brevi testimonianze di lotta, speak corner per dare voce a chi vuole........!
La “chiamata” unitaria ottiene una grande risposta di popolo: contro le imposizioni delle banche, il debito, le politiche di austerità, i tagli sociali, ai diritti,alla cultura, all'istruzione, gli attacchi al lavoro di Governo e Confindustria.....per una vita e una società sostenibili.
E' la manifestazione più grande nel mondo, ma anche la sola in cui un 1% di “demolitori”, che entrano ed escono dal corteo, a viso coperto, bruciano auto, spaccano vetrine, infilano bombe carta nei cassonetti, mettendo in pericolo l'incolumità delle persone, e facendosi scudo di esse. Non interessati alla manifestazione, vogliono farne fallire l'obiettivo di grande incontro popolare, che dia voce all'indignazione, alle lotte, al bisogno di cambiamento radicale. Falliscono anche le “innovazioni” convenute, durante il corteo e a Piazza San Giovanni. E qui contribuisce alla distruzione, l'azione sconsiderata della polizia, con le cariche e i lacrimogeni, le camionette che sfrecciano avanti e indietro, seminando panico tra i manifestanti, costringendoli a rifugiarsi dove possibile....Non ci saranno né il grande incontro di centinaia di migliaia di persone, né le voci delle lotte, delle resistenze, del cambiamento. Ci sarà solo una battaglia di pochi.
Il bilancio è amaro: distruzione e dispersione di una enorme manifestazione popolare, plurale e pacifica ; divisione, confusione e disorientamento tra i movimenti ; restrizione delle libertà di tutti. Per la Fiom c'è il divieto al corteo del 21 ottobre, di lavoratori e lavoratrici Fiat e Fincantieri, che rischiano di perdere il posto di lavoro.
Adesso si discute sulle forme con cui è più efficace manifestare...Continua ad avere senso il grande corteo, di tradizione democratica – in Italia delle organizzazioni sindacali e politiche di sinistra, ma anche del movimento contro la guerra, tra i più forti nel mondo... Il movimento cresce di più diventando ”occupy everything” come il nuovo movimento americano?
Ma la “forma” è “sostanza”. Vietare il corteo di operai e operaie, più che indignati/e, è un attacco, di parte istituzionale, alla democrazia, e lo è stato anche quello dei demolitori del 15 ottobre, che non volevano né corteo né manifestazione. Partecipazione, libertà, comunicazione, inclusione...: sono aspetti essenziali della democrazia. E allora non ci sono buoni e meno buoni, cattivi e meno cattivi: c'è chi sceglie di praticare e sviluppare questi aspetti, e chi non è affatto interessato. La discriminante non è la forma, ma la sostanza.
Quelle centinaia di migliaia di giovani e meno giovani, donne e uomini, con o senza sigle, che denunciavano banche e debito, multinazionali come la Fiat, le politiche della Banca centrale, della Unione Europea e del Governo, reclamano una sempre più necessaria democrazia reale in Italia e nel mondo. Allora, per chi ha a cuore la vita stessa dei movimenti, locali e globali, la prosecuzione della lotta per una società e un mondo migliori, è necessario fare chiarezza, discutere, dialogare, rifiutando la penosa tentazione del “tutti a casa, e ognuno a casa sua”!
Se non vogliamo solo indignarci, ma anche cambiare, cominciamo da noi stessi, cercando di capire, respingendo ambiguità e retorica, ponendo discriminanti nette, con fermezza: democrazia, partecipazione, inclusività; mettendo al lavoro il senso stesso di “spazio pubblico”. Che cos'è la sua costruzione, se non quella di un “luogo comune”, dove coloro che lo vogliono, possano stare, protestare, denunciare, proporre, costruire e inventare insieme, avere la forza di farsi ascoltare, dove si discuta di alternative e non di posizionamenti, in cui prevalga la radicalità dei problemi e delle soluzioni, che una politica profondamente in crisi di rappresentanza e di strategie, non è in grado di proporre: non è forse questo il messaggio passato dal Mediterraneo all'Atlantico?