In tempi forse peggiori di questo, quando nei cortei si sparava, la parte migliore della sinistra aveva risposto in piazza con una parola d'ordine forte e chiara: la democrazia si difende con la democrazia. Questo era anche il titolo del manifesto il giorno del rapimento di Aldo Moro, ma questo soprattutto gridavano in quello stesso giorno gli operai di Mirafiori, in piazza San Carlo a Torino. E nel '77, un anno certo non facile per chi rifiutava drasticamente l'equazione conflitto uguale terrorismo, la Fiom manifestava in piazza per i diritti dei lavoratori e in difesa della democrazia. Una delle più liberticide leggi della storia repubblicana, la legge Reale, marciava nella direzione opposta e in nome della difesa dell'ordine pubblico restringeva le libertà, criminalizzava singoli e movimenti, provocava negli anni una strage con centinaia di morti e feriti. Oggi che quegli anni sono per fortuna alle nostre spalle, anche grazie alla difesa della democrazia e del conflitto sociale garantita da forze come la Fiom, spuntano neo-nostalgici di quella legge sciagurata persino tra chi si vuole in prima fila nella lotta contro Berlusconi.
Vietare il corteo di venerdì indetto dalla Fiom nel giorno dello sciopero generale della Fiat e della Fincantieri è un attentato alla democrazia, un atto suicida di chi non ha imparato nulla dalle centinaia di migliaia di manifestanti pacifici che sabato hanno invaso Roma; nulla della domanda di cambiamento democratico per liberarsi di un regime globale autoritario e classista alla cui cupola si sono autoinsediati organismi finanziari privi di qualsivoglia delega democratica. Quella manifestazione chiedeva più politica, e non è accettabile che la risposta sia solo repressiva contro tutti quelli che non sono disposti a mettersi in riga. Non è ai responsabili dei gravi disordini di sabato che si punta ma al cuore del movimento democratico. La Fiom, come il 99 per cento delle persone scese in piazza a Roma, non ha bisogno di dimostrare la sua estraneità alla violenza: fin troppe immagini oltre alla storia di questi anni ne sono testimoni. Gli operai che pretendono di esercitare i loro diritti, difendere il lavoro e riconquistare il contratto nazionale manifestando a Roma il giorno dello sciopero generale Fiat sono figli e nipoti di chi ha già salvato questo paese e l'ha fatto crescere nella democrazia. Sono i figli e i nipoti di quei carrozzieri, meccanici, verniciatori, lastratori che nel '72 erano scesi in treno da Torino e Milano tra le bombe fasciste disseminate lungo i binari per liberare Reggio Calabria dai boia chi molla.
Gli operai metalmeccanici, come gli studenti e coloro che si spendono generosamente per costruire un ordine sociale più giusto, dunque un nuovo modello socialmente ed ecologicamente compatibile, non sono una minaccia alla democrazia e all'ordine ma ne rappresentano il presidio. Ragioni politiche e senso di responsabilità chiedono che quel divieto venga ritirato.
fonte "il manifesto" 19/10/2011
Ugo Beiso
Non potendo rafforzare la giustizia si è giustificata la forza B. Pascal