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INTERVISTA di Geraldina Colotti
intervista
BOMBA Miami
Saul Landau, documentarista e scrittore statunitense di origine ebraica, parla del suo ultimo lavoro, «Prego si alzi il vero terrorista», girato fra gli attentatori anticubani della Florida, tutti liberi



«Miami è l'unica città che ha una sua politica estera, la si potrebbe definire la repubblica autonoma di Miami», dice al manifesto il regista statunitense Saul Landau. Scrittore, documentarista, autore teatrale pluripremiato, nella sua lunga carriera (è nato nel '37) Landau ha indagato alcuni dei momenti più oscuri della politica estera nordamericana in America latina: con sguardo critico e ironico, ma senza atteggiamenti manichei.
Lo abbiamo incontrato durante il giro di conferenze che ha compiuto in Italia (invitato dall'Associazione di amicizia Italia-Cuba) per presentare il suo ultimo lavoro, «Prego, si alzi il vero terrorista», girato tra l'Avana, Wasghington e la Florida, tra il fior fiore degli anticastristi di Miami: «Un'accolita di vegliardi - dice con il suo irresistibile umorismo ebraico - che fra una visita al gerontologo e un'orificenza ricevuta per l'"altissimo contributo alla libertà" trovano ancora il modo di cospirare. Ignorando le efficaci infiltrazioni dei servizi segreti cubani». Ancora poco tempo fa - racconta il regista - un gruppetto di anziani anticastristi inveterati «è approdato a Cuba su una barchetta. Uno ha avuto problemi cardiaci, l'altro si è rotto un ginocchio, l'altro ancora era stremato. I cubani hanno anche dovuto curarli».
Loro invecchiano, ma non così l'«ossessione» nordamericana contro Fidel Castro che tutt'ora s'incarna a Miami, ben documentata dal lavoro d'inchiesta dell'equipe di Landau. Parlano Posada Carriles, Orlando Bosch (poi scomparso), José Basunto, Antonio Veciana, ufficiali e uomini di mano della Cia, protagonisti della «guerra sporca» contro le opposizioni che si è dispiegata in America latina nel pieno '900.
Il documentario inizia con l'immagine di un uomo giovane che dorme tranquillo in una casa nel sud della Florida. L'Fbi irrompe in piena notte e lo trascina in carcere. È il settembre del 1998. Il giovane, un agente cubano infiltrato tra gli anticastristi di Miami, si chiama Gerardo Hernández. Da allora, si trova nelle carceri statunitensi, insieme ad altri 4 compatrioti, Ramón Labañino, Antonio Guerrero, Fernando González e René González. Per tutti, la loro diventerà la storia dei «Cinque»: ingiustamente condannati all'ergastolo o a lunghissime pene dai tribunali di Miami mentre cercavano di prevenire altri attentati mortali contro Cuba.
«A Miami, i Cinque potevano avere un processo giusto come un ebreo nella Berlino del 1938 - assicura Landau - I terroristi girano liberi, mangiano in ristoranti raffinati in compagnia delle autorità cittadine, si vantano delle loro imprese. Ricevono premi. I giurati hanno ricevuto pressioni e minacce». René González, uno dei Cinque, il 7 ottobre uscirà dal carcere in libertà condizionale. «Per tre anni - dice il regista - dovrà vivere a Miami con il pericolo di essere ammazzato. Per le bande di anticastristi, tutt'ora in attività, sarebbe un colpaccio: quale modo migliore per vedersi rinnovare i finanziamenti che compiere un gesto così audace? Tutti i pazzi di destra apprezzerebbero, tutti avrebbero paura e cederebbero ai ricatti mafiosi di questi gruppi che si guadagnano da vivere in modo criminale». La difesa di González ha chiesto che venga espulso a Cuba come «indesiderabile», ma ha ottenuto un rifiuto. E ora «resta solo l'intervento di Obama, che dobbiamo sollecitare con forza».
La politica di Washington verso Cuba non sembra però aver mutato indirizzo, anche sotto la presidenza di Barack Obama. «Obama, certo, ci ha deluso - risponde il regista, e Wikileaks ha mostrato i tentativi di ingerenza in paesi come il Venezuela o l'Honduras. Ma non siamo più nel '900, oggi la priorità degli Usa è il Medioriente. Diversamente dal secolo scorso, quando gli Usa ricevevano o imponevano un'obbedienza quasi assoluta, oggi abbiamo un impero che non può più dettar legge». Grazie alla «disobbedienza di Fidel Castro», ora vi sono altri capi di stato progressisti in America latina. E anche per conservarsi gli amici, «come il presidente della Colombia - il conservatore Manuel Santos - gli Usa devono concedere molto». L'atteggiamento verso Cuba, oggi è più che altro un problema di «bassi interessi di carattere interno. Non è la Casa bianca, né il Dipartimento di stato, ma il Congresso che autorizza milioni di dollari per creare una società civilea Cuba, ben sapendo che ne esiste una. Sprecano denaro pubblico che potrebbe essere destinato ai servizi sociali finanziando persone inaffidabili come i dissidenti, che spesso sono anche agenti cubani infiltrati. Gente che per avere un nuovo cellulare dice che glielo ha sequestrato il governo».
Il problema degli Usa, secondo Landau, è quello di un sistema politico «chiuso e disfunzionale, privo di una vera sinistra e prono agli interessi delle grandi corporations. Ci sono 50 milioni di ultrapoveri». A parte «un centinaio di deputati democratici della Camera bassa e una ventina al Senato - afferma -, tutti gli altri possono essere ricattati dalle lobby anticastrista o sionista, che agiscono come bulldog. Così capita che abbiano posizioni progressiste in politica interna, ma reazionarie in politica estera. E se dico queste cose nel mio paese, pur essendo ebreo, vengo accusato di incitare all'auto-odio verso gli ebrei».
Nel corso della sua lunga carriera di attivista, Saul Landau ha subito minacce e aggressioni, e ha rischiato parecchio anche durante le riprese di «Prego, si alzi il vero terrorista». Le persone che ha incontrato gli hanno aperto squarci su grandi delitti politici del '900, sulle attività del Condor, la rete di sostegno con cui le dittature sudamericane si scambiavano favori criminali. «Il Condor - spiega Landau - aveva tre compiti: la cooperazione tra servizi di intelligence dell'America latina a cui la Cia forniva supporto. L'eliminazione, al bisogno, degli oppositori ovunque si trovassero, e quello ancora più sinistro di ucciderli anche nei paesi che non appartenevano al Condor, come Europa e Usa. L'agente della Cia Bishop confessò che avrebbe dovuto uccidere Clodomiro Almeida e Carlos Altamirano, uno in Francia e l'altro in Spagna. Con il supporto dell'estrema destra italiana e degli anticastristi di Miami».
Oggi, le reti anticastriste come Alfa 66 - dice il documentario - godono ancora di molti appoggi, anche in Europa, possono vantarsi delle proprie imprese criminali «per dissuadere le persone dal recarsi a Cuba». Gruppi responsabili di attentati come quello che, nel '76, fece esplodere in volo un aereo civile, causando la morte di 73 persone. Nel '79, un'altra bomba all'Avana uccise il giovane imprenditore italiano Fabio Di Celmo: «Per questo omicidio - ricorda Landau - ci sono 3 testimoni salvadoregni, in carcere a Cuba, che accusano Posada Carriles di essere il mandante, impresa di cui egli stesso si è vantato con i giornalisti. Vi sono telegrammi desecretati della Cia e dell'Fbi. Dovrebbe essere sufficiente perché il governo italiano chieda l'estradizione. Nel nostro Parlamento e nel paese vi sono tante persone oneste che ritengono una macchia sul nostro sistema giudiziario la permanenza sul nostro territorio del bin Laden dell'America latina e che sarebbero d'accordo a estradarlo. Invece gira per conferenze a raccogliere soldi per la sua causa, ha persino ricevuto da un sindaco della Florida le chiavi della città».

fonte "il manifesto" 1/10/011



Ugo Beiso











Non potendo rafforzare la giustizia si è giustificata la forza B. Pascal