[NuovoLab] 483° ora in silenzio per la pace

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著者: norma
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To: forumgenova@inventati.org
題目: [NuovoLab] 483° ora in silenzio per la pace
Rete controg8
per la globalizzazione dei diritti
Mercoledì 31 agosto dalle 18 alle 19 sui gradinid el palazzo ducale di
genova, 483° ora in silenzio pe rla pace.
Incollo il volantino che verrà distribuito
Altre info su www.orainsilenzioperlapace.org

La favolosa guerra dei media. E quella vera.

Il figlio di Gheddafi che viene catturato e poi ricompare baldanzoso
nella notte. Tripoli che insorge, mentre invece la città èassalita da
combattenti venuti da fuori. Festeggiamenti a Bengasi fatti passare per
l'esultanza dei tripolini.

Più che di «nebbia della guerra» si dovrebbe parlare di una guerra
televisiva che ha ben poco a che fare con quello che succede, ma rientra
in una strategia mediale mirata a confondere le acque sia agli occhi
dell'opinione pubblica occidentale, sia a quelli del regime di Tripoli.

Ma la guerra vera è tutt'altra cosa da quella raccontata in prima pagina.

Basta analizzare i servizi più meditati sulle pagine interne dei grandi
quotidiani internazionali.

L'avanzata dei ribelli è stata resa possibile dalla Nato, con tanto di
istruttori e forze speciali in prima linea (francesi, inglesi,
americani) E poi, anche se i gheddafiani smettessero domani di
combattere, nessuno ha un'idea di quelle che succederebbe dopodomani,
con un paese diviso in fazioni armate, inferocito, pullulante d'armi,
con una quantità di conti da regolare con i perdenti e tra i vincitori
(l'eliminazione dell'ex-comandante Younes insegna).

Come tutto questo sia fatto passare, anche a sinistra, per una mera
lotta di liberazione o un risultato della primavera araba si spiega
solo, anche da noi, con la confusione che regna in un'Europa preoccupata
da un'economia traballante e guidata da un paio di leader ossessionati
dalla rielezione (Sarkozy) o che hanno le loro gatte da pelare (Cameron).

Saranno bastati i bombardamenti «mirati» o umanitari, come straparlano
gli Henry-Levy o i giustizialisti da prima pagina di casa nostra, a
gettare le premesse di una società civile o democratica in Libia?

Non c'è da crederci molto.

Ci rallegriamo quando cade un dittatore, certamente. Qualsiasi cosa è
meglio di Gheddafi, forse. Ma, come ha scritto un commentatore sul
Guardian, se i mezzi sono sbagliati, questo alla fine influisce sul
risultato. Inglesi e americani hanno creato un'instabilità senza fine in
Iraq. La Nato si è impantanata in Afghanistan. In attesa che qualche
anima bella proponga di intervenire in Siria, ecco che si suggerisce a
mezza bocca la permanenza di forze Nato in Libia per «stabilizzare» il
paese.

Tutto questo ha a che fare con la «rivoluzione»?

Ma non è solo una questione di parole. Quello che semmai stupisce è che,
ben pochi in Italia, e soprattutto a sinistra, si interroghi sulle
prospettive di questa crisi libica. E cominci a interrogarsi
sull'incredibile distonia tra una guerra magnificata dai media e quella
vera, in cui gli uomini muoiono, anche se non ne sapremo mai il numero.

Tratto da un commento di Alessandro Dal Lago (il manifesto 25082011)