Re: [NuovoLab] [forum Sinistra Europea GE] da paeacereporter

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Autor: giacomo casarino
Datum:  
To: forumsege, forumgenova inventati
Betreff: Re: [NuovoLab] [forum Sinistra Europea GE] da paeacereporter

Apprendo ora che il prof. CARDINI, da giovanile esponente del FUAN (MSI), era nel frattempo diventato estimatore del socialismo (sì, ma di quello arabo).

giacomo casarinostoricogenovacontatto skype: gcasarino

To: forumSEGE@???; forumgenova@???
From: coscione43@???
Date: Sat, 27 Aug 2011 09:34:24 +0200
Subject: [forum Sinistra Europea GE] da paeacereporter































Inoltro come un altro elemento di riflessione su una problematica
che occorre affrontare senza pretese da parte di ciascuno/a di noi di avere
l'unica visione possibile e sapendo che avremo il tempo di scoprire ancora
tante cose.
Saluti solidali.
Peppino.

onewsletterarchiviovideo




26/08/2011



Intervista al professor Cardini, tra appoggio
occidentale alla rivoluzione e un futuro tutto da decifrare

La situazione libica domina i media di tutto il mondo. La
frenesia degli ultimi accadimenti e le incertezze sul futuro concorrono a creare
uno scenario poco chiaro su quello che capita nel Paese
nordafricano. PeaceReporter ha intervistato Il professor Franco
Cardini, storico e saggista, docente di Storia medievale all'Istituto
italiano di Scienze umane a Firenze ed esperto di Medio Oriente e
Islam, che commenta quello che succede in Libia, alla luce dei
fattori storici, politici - interni ed internazionali - e
culturali che hanno portato al collasso, o quasi, del
regime di Gheddafi.
Come si è arrivati, in Libia, alla situazione attuale?
La
situazione attuale in Libia si è generata in seguito alle oscillazioni del
colonnello Gheddafi in politica internazionale e per la scarsa chiarezza delle
sue posizioni, con i continui spostamenti rispetto ai possibili protagonisti
della scena mondiale e rispetto al potenziale petrolifero libico. Anche, forse,
per la situazione geopolitica generale, sia africana che mediterranea. Voglio
dire che non ci si può continuamente spostare da simpatie panafricane ad
ammiccamenti con quelli che noi, a torto o a ragione, riteniamo fondamentalisti,
passando per atteggiamenti superficialmente filo Nato o filo statunitensi
dell'ultima ora e poi, come ha fatto Gheddafi a partire dallo scorso anno, dopo
esserci avvicinato ai paesi della Nato e soprattutto alla Francia, tornare sui
suoi passi.
Come è accaduto in passato con Saddam Hussein, amico
dell'Occidente, osannato e foraggiato in chiave anti iraniana, anche se sapevamo
benissimo che sterminava i curdi, scaricandolo subito dopo quando ha minacciato
di sostituire l'euro al dollaro come unità monetaria di riferimento nelle
transazioni petrolifere irachene, abbiamo scoperto che era un dittatore quando
non ci faceva più comodo. Questa volta non abbiamo commesso l'errore fatto in
Iraq, con un intervento diretto, ma abbiamo sostenuto un intervento
indiretto.
Cosa intende per intervento indiretto?
All'inizio del
2010 Gheddafi ha scoperto le carte, allontanandosi dalle potenze occidentali,
lanciando segnali di vicinanza al blocco che si contrappone all'egemonia
statunitense.
Le differenze con i blocchi della Guerra Fredda, con
schieramenti molto netti, sono tante. In primo luogo il fatto che il potere
decisionale è molto più nelle mani delle lobbies economiche che in
quelle dei governi. Le divisioni, però, esistono. La Russia, la Cina, l'Iran, il
Venezuela, piuttosto che paesi emergenti come Brasile e India, rappresentano un
blocco alternativo rispetto a quello egemonizzato dagli Stati Uniti. Non si può
parlare di Guerra Fredda, certo, ma una divisione esiste. E' un mondo che si
muove, i blocchi interstatali e sovrastatali esistono e contano ancora. La Nato,
ad esempio, esiste ancora e non sono neanche troppo chiari i suoi fini. La Cina,
parlando chiaro, si sta mangiando l'Africa. La Libia, in questo gioco, con le
sue riserve petrolifere, non poteva lasciare indifferente i paesi occidentali.
Come nel 1956 a Suez. Per chi ha memoria di storia della diplomazia del
Mediterraneo la similitudine con l'intervento anglo-francese contro il
panarabismo di Nasser è evidente. Sono intervenuti anche questa volta. Con i
finanziamenti, con i media, con la politica. Hanno sostenuto il movimento degli
insorti in Libia, nato a Bengasi, dove è partita la rivolta. Gheddafi ha pagato
la sua svolta dell'inizio del 2010, il suo ultimo cambio di campo. A caro
prezzo. Francia e Gran Bretagna sono intervenute - e qui c'è un altro
parallelismo con il 1956 - contro o senza l'assenso degli Usa. Le prove di
questo appoggio ai rivoltosi ci sono, anche se in Italia non ne parla nessuno.
La stampa francese, invece, lo sta denunciando con chiarezza. Lo scenario non è
roseo. Potrebbe arrivare la guerra civile. Ma senza l'appoggio della Nato, che
ha fatto la forza d'interposizione solo per un paio di giorni, poi è passata a
bombardare unilateralmente i lealisti, non ce l'avrebbero mai fatta.
E l'Italia?
i nostri osservatori, ammesso e non concesso
che ne abbiamo di validi, sapevano già come stavano andando le cose. Quando
abbiamo firmato il Trattato di Amicizia, che poi altro non è che un trattato di
non aggressione, e lo abbiamo fatto per una serie di motivi contingenti che ci
hanno portato anche a tollerare le sue buffonate a Roma, sapevamo che stavamo
cercando un piccolo vantaggio per le nostre imprese petrolifere, per un certo
nostro business, pur consci di essere su un piano inclinato.
Quel
trattato, firmato nonostante tutto, è stato disatteso. La nostra posizione
attuale è quella di un Paese che dopo aver firmato un trattato di amicizia l'ha
rotto unilateralmente e non bisogna dimenticarsene facendo finta di niente.
Quando si parla di fedeltà alla parola data e agli impegni non si può
privilegiarne alcuni rispetto ad altri, Noi siamo membri della Nato, ma siamo un
Paese sovrano e avevamo stipulato un patto con la Libia governata da Gheddafi.
Oggi il tiranno è in prima pagina, ma nessuno può dire che non si sapeva cosa
faceva Gheddafi. L'abbiamo sempre saputo. Non sono d'accordo con il presidente
della Repubblica Napolitano, e mi spiace, perché lo stimo molto, ma citando la
nostra fefeltà ai trattati si dimentica che ancora una volta, come nel 1915 e
nel 1943, l'Italia è venuta meno a un impegno internazionale. Come cittadino
italiano mi sento in imbarazzo, in difetto.
Ma la Libia quanto è davvero un Paese unito?
La Libia non
è mai stato un Paese unitario. I turchi lo sapevano benissimo e, fino
all'aggressione militare italiana del 1911, tenevano ben distinti i
governatorati di Tripolitania e Cirenaica. Il resto non è storia, sono
chiacchiere. Tripolitania e Cirenaica son due cose diverse, nel mezzo c'è la
Sirte, un deserto che separa queste due realtà molto più di quanto non farebbe
un braccio di mare. La Cirenaica è un'appendice dell'Egitto, la Tripolitania è
già area berbera, è già Maghreb. Son due cose distinte, diverse, abitate da
tribù diverse. Se una vita nazionale condivisa in Libia c'è mai stata, è
esistita solo durante il governo di Gheddafi. Adesso sta andando in onda il
solito film della fine del tiranno, sempre uguale. Dietro questa storia c'è la
solita retrobottega di smemoratezza. Dietro l'unità della Libia c'è
quell'ufficiale affascinante, il bell'uomo che all'epoca della Rivoluzione
stregava il mondo e che oggi è quel grottesco vecchietto in fuga. Sono la stessa
persona. Per anni, in tutto il mondo arabo, Gheddafi ha goduto di un consenso
secondo solo a quello goduto da Nasser. La Libia è, in definitiva, un Paese
abitato da tribù arabe e berbere. Prima della rivoluzione era una terra di
pastori e città costiere con un minimo di attività commerciale. Una borghesia
libica non esisteva, se non nella componente ebraica della società, influenzata
per vicinanza dall'Italia e dall'Egitto. Meno della Francia, attraverso la
Tunisia. La Libia non è mai stata una nazione indipendente, con una sua identità
forte. Poi è arrivato prima Graziani con i crimini di guerra, altro che
'italiani brava gente', e in seguito Balbo con una politica più accorta, a
creare la Libia unita. Un regime coloniale, non uno Stato unito. La stessa
parola Libia è una definizione moderna. Si tornerà alla situazione dell'impero
turco? Non credo. Dopo il 1945 le potenze vincitrici hanno assegnato la Libia al
Gran Senusso, il leader della famiglia tribale che godeva del prestigio
religioso, i Senoussi, appunto. E' diventato il re della Libia. Una monarchia
fasulla, che si reggeva su un sentimento religioso abbastanza condiviso, ma
politicamente debole appoggiata soprattutto dagli inglesi. Fino alla rivoluzione
socialista di Gheddafi. Se la Libia esiste come Paese, e forse non esiste
neanche adesso, lo si deve alla rivoluzione. Tutto questo è stato travolto,
perché anche il socialismo arabo è fallito.
Alla fine della guerra che Libia ci sarà alle porte
dell'Europa?
Difficile dirlo. Quello che gli stati occidentali
stanno cercando di fare è appoggiare un governo di coalizione tra le diverse
anime e le diverse tribù della Libia. Ci sono elementi vicini all'Occidente, ma
anche elementi che guardano con favore a un Islam radicale, compresa quell'area
che un po' genericamente da noi viene definita al-Qaeda. In questo momento,
tutte queste forze hanno un interesse comune, un nemico comune. La fine di
Gheddafi, qualunque sia, è l'obiettivo condiviso. Ucciso, processato, suicidato
non è importante...è finita. Difficile che non vada così. Dopo? Nessuna analisi
seria è stata fatta fino a ora. Una borghesia illuminata, nella storia della
Libia, manca. Nessun paragone con le società civili di Tunisi, del Cairo, di
Damasco o di Amman. Siamo davanti a uno dei paesi arabi più arretrati da questo
punto di vista. Anche perché, come detto, la Libia non è mai esistita prima
della colonizzazione italiana. C'è una gran confusione e ciascuno tenta di
accaparrarsi quello che può della Libia del futuro. In questo brilla la Francia
di Sarkozy, senza intralci di sorta da parte dell'opposizione. Le potenze
occidentali tenteranno in tutti i modi di tenere unite queste anime, per non far
scivolare il Paese nella lotta tra bande. Anche se, in questi giorni, alcune
fazioni dei ribelli si sparano già tra loro. Ma di questo sulla stampa italiana
non c'è traccia. Lo scenario più probabile è quello di un governo di coalizione,
a grandi linee filo occidentale e - almeno per i nostri mass media -
democratico. Che si occuperà di spartire le ricchezze del Paese, come dimostra
l'Italia, che in tutta fretta ha voltato le spalle a Gheddafi. Riusciendo, come
l'Eni, a raccogliere le briciole lasciate dai francesi.
Christian
Elia







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