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Szerző: Antonio Bruno
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DAL DECENNALE DEL G8 A GENOVA UNA GRANDE LEZIONE DI VITA

La manifestazione pacifica e festosa di sabato 23 ha fatto giustizia di ciò che avvenne nel 2001, quando furono chiaramente sospesi i diritti costituzionali
DON PAOLO FARINELLA


Le celebrazioni ufficiali del decennale del G8, svoltesi a Genova nel 2011 sono terminate; restano intatte le conseguenze del famigerato G8 del 2001 che, per programmazione politica dello scellerato governo di Berlusconi e per esecuzione della polizia di De Gennaro, segna in modo indelebile non solo la vita della città di Genova, ma anche e soprattutto la vita di centinaia di migliaia di cittadini. A costoro sono stati sospesi i diritti civili ed è stata menomata la stessa salute a rischio permanente della vita fino alla conclusione tragica che fu la morte di Carlo Giuliani. La morte di Carlo fu la conclusione logica dopo la scelta antidemocratica del governo che volle ferire Genova per dimostrare che con Berlusconi e Fini nella stanza del comando, tutto sarebbe cambiato. A distanza di dieci anni, oggi scopriamo sempre più che in quei giorni si volle fare la prova generale di un colpo di Stato indolore, sospendendo di fatto la Costituzione e mostrando i muscoli della Polizia.
Non ci sono riusciti perché un ragazzo, Carlo Giuliani, si mise di traverso e cadendo sotto il peso violento di un governo ignobile, svelò la volontà liberticida di una manciata di omuncoli, che giocavano a fare i capi di StatoCarlo non andò in piazza per morire, ma la sua morte fu il sacrificio che salvò tutti dalla deriva poliziesca nella quale l´Italia tutta e non solo Genova stava precipitando.
Ricordo che all´epoca dei fatti scrissi un articolo su la Repubblica/Il Lavoro, in cui feci alcuni rilievi sulle modalità di partecipazione di Carlo alla manifestazione, suscitando una risentita reazione da parte dei ragazzi suoi coetanei.
A distanza di dieci anni, devo chiedere scusa a Carlo, perché oggi c´è la lucidità della storia e la freddezza degli eventi, provati e documentati in modo inoppugnabile. Ora sappiamo che i capi della Polizia istigarono alla menzogna, falsificarono prove, contrastarono la ricerca della verità in giudizio e in fase preliminare dei pm. Condannati e forse proprio per questo promossi, essi non furono né sono oggi servitori dello Stato, ma traditori di quel popolo che li paga per difenderlo da soprusi e prevaricazioni. Essi invece nei giorni dell´apocalisse, bastonarono i figli del loro popolo, violentandoli senza motivo fino alla morte, cantando «Faccetta nera».
In questi anni, nulla è rimasto come prima, perché tutti siamo cambiati. Nel nome di Carlo Giuliani, i suoi genitori prima e il comitato che si è formato sulla sua viva memoria poi, hanno segnato un cammino di civiltà e di democrazia, obbligando istituzioni e singole persone a crescere, facendo maturare la coscienza democratica nella consapevolezza che solo con l´impegno personale e generoso si può difendere e proteggere. Se il decennale del G8 dell´orrore è stato una festa di pace e un tripudio di contestazioni civili e festose (NoTav, No Gronda, ecc.), che sono stati agli occhi di tutti, non solo a Genova ma in ogni parte del Paese, lo si deve anche al lavoro ordinario e quotidiano di chi in nome di Carlo ha dato e continua a dare se stesso con l´obiettivo di poter vivere in un mondo veramente diverso, altro e, senza eccessivo sforzo, migliore.
Resta un solo cruccio, anzi una maledizione. Come è possibile che in tutti questi anni siano rimasti al governo dell´Italia gli stessi Berlusconi, Fini, Bossi, nonostante la macelleria di Genova, la dissoluzione avvenuta in quei giorni della democrazia costituzionale e della distruzione del sistema sociale che è costato una Resistenza, una rivoluzione giovanile, un sommovimento ecclesiale dovuto al concilio e all´impegno di generazioni di uomini e donne? Come mai l´Italia si è lasciata ammaliare da una manica di saltimbanchi di quart´ordine dando loro in mano la Nazione e i destini di un popolo? Possiamo, dobbiamo, siamo obbligati a rimediare, a riparare anche in nome dei nostri morti