La dimensione
europea
delle lotte
Nicola Vallinoto
"People of Europe rise up - popolo d'Europa sollevati": questo il grido delle proteste da Madrid ad Atene. "Loro la crisi, noi la speranza" è la consapevolezza emersa a Genova 2011; la speranza di un'altra Europa - pacifista, ecologista, democratica, federalista, aperta al resto del mondo, fondata sulla dignità di ogni persona nativa e non nativa; un'Europa che rifiuta ogni discriminazione e che prende a suo fondamento la differenza come valore; un'Europa che orienti sui valori pacifisti e di cooperazione con il Sud del mondo il suo impegno internazionale.
Contro la mercificazione delle persone e dei beni comuni, immateriali e naturali, sono sorti reti, coalizioni, movimenti che convergono tutti nel progetto di un'Europa dei diritti fondamentali degli esseri umani e animali e della salvaguardia della natura. Occorre promuovere la gestione democratica dei beni comuni e un'economia fondata sulla eguaglianza e la giustizia sociale. Alla crisi si può rispondere solo scegliendo l'orizzonte delle lotte a livello europeo. Occorre disarmare i mercati e la finanza. Attraverso l'assalto speculativo all'euro passa l'assalto al welfare state e alle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini e delle cittadine. Le misure assunte nei vertici europei, lungi dal combattere la speculazione, la alimentano e ne soddisfano le aspettative. E' necessario indirizzare le lotte contro le politiche neoliberiste dell'Unione europea e i suoi centri decisionali che vedono come attori protagonisti i governi, la tecnocrazia e i poteri forti sovranazionali escludendo i cittadini e le stesse rappresentanze politiche. E' necessaria un'Europa democratica per porre fine ai poteri delle élites europee.
Da Genova 2011 esce rafforzato l'impegno a una nuova dimensione dei conflitti, da portare avanti attraverso campagne europee utilizzando anche l'iniziativa dei cittadini europei, che permette di proporre un atto legislativo alla Commissione europea tramite la raccolta di un milione di firme in almeno sette paesi dell'Unione europea. Le campagne europee in cantiere sono sul reddito minimo garantito; la cittadinanza europea di residenza e la mobilitazione per l'adesione alla Convenzione Onu del 1990 sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici migranti; l'acqua come diritto umano, primo nucleo di uno Statuto europeo dei beni comuni e per una direttiva europea che lo sancisca; l'uso sociale dei beni confiscati alle mafie e alla criminalità; un piano di riconversione ecologica e sociale delle produzioni e dei consumi da sostenere con una tassa sulle transazioni finanziarie e sulla carbon tax; il diritto all'informazione, il pluralismo e la libertà di stampa.
Su
www.liberazione.it il documento finale di Genova 2011
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Da Genova a Durban
In ballo le sorti del pianeta
Giuseppe De Marzo
Quando il 23 luglio siamo entrati in corteo nel cuore di Genova, i nostri pensieri sono andati a ritroso nella memoria sino a toccare le emozioni mai dissolte dalla brutalità con cui dieci anni prima quegli stessi luoghi ci furono sbarrati. Oggi è l'Italia ad essere diventata una gigantesca zona rossa. Da una parte un blocco di potere che difende angosciato la propria rendita e dall'altra la grande maggioranza del paese confinata negli spazi inagibili lasciati dalla degenerata democrazia italiana.
Gli strumenti per tenere lontano il popolo questa volta sono più sofisticati dei manganelli, delle pallottole o dei gas lacrimogeni, non che questi non siano sempre attuali come dimostra la repressione autorizzata in Val di Susa. Giornalmente si alzano barriere culturali che vorrebbero il paese proiettato esclusivamente sulle urgenze e necessità dettate dalla crisi finanziaria e dalla politica di austerity. Nonostante la vittoria storica ai referendum del 12 e 13 giugno, l'autismo che caratterizza questa fase politica ha portato immediatamente alla chiusura della finestra di dialogo annunciata tra la società in movimento ed i partiti rappresentati in parlamento.
I dettami della Bce e le minacce delle agenzie di rating hanno reso carta straccia le dichiarazioni iniziali del centrosinistra legate alla volontà nuova di intercettare il vento del cambiamento tanto enfatizzato. Si è messo in moto un apparato mediatico, economico e politico che fa della crisi lo scudo con cui deviare qualsiasi richiesta di cambiamento sospinta da settori diversi nel corso degli ultimi mesi. Così mentre in Italia divampa la questione sociale, fotografata dai rapporti del Censis e dall'Istat che raccontano di un paese con il 14% di poveri, milioni di precari e disoccupati, abbiamo assistito sgomenti all'approvazione in tempi record della peggior manovra finanziaria degli ultimi decenni. Attraverso la regia del presidente della Repubblica è stata inflitta al paese una punizione che già a settembre mieterà le sue vittime. Una vera e propria macelleria sociale che porterà le classi medie e deboli a pagare la maggior parte della manovra, mentre le grandi rendite di posizione o i grandi capitali continueranno impunemente a sfuggire a qualsiasi criterio di progressività della tassazione come previsto dalla Costituzione. Le condizioni di milioni di persone e famiglie saranno ancora peggiori nel prossimo anno, senza che a questi sacrifici corrispondano maggiori investimenti o speranze di cambiamento concreto negli anni a venire.
Dinanzi a questa situazione ci appare evidente che dobbiamo ripartire da noi e dalla parte del paese che non ci sta a rinunciare ai propri diritti ed al proprio futuro. A Genova molte delle iniziative erano legate a come si esce da questa crisi. Rigas, la Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale, nel corso di un'affollata assemblea che ha visto la partecipazione di comitati territoriali, lavoratori, movimenti, associazioni, oltre che di don Gallo e padre Zanotelli, ha provato a declinare una serie di proposte pratiche ed un'agenda di lavoro che sappia incrociare i temi della vita con quelli della giustizia climatica. Del resto che ci sia un legame tra modello di sviluppo, democrazia e beni comuni è ormai un dato acquisito. Per questo oggi si tratta di agire su più fronti, a livello locale quanto globale, attraverso pratiche e proposte che contribuiscano a costruire attraverso la partecipazione un nuovo modello di sviluppo.
Eco efficienza ed eco sufficienza energetica, riconversione ecologica, innovazione del ciclo di prodotto, reddito di cittadinanza, difesa dei beni comuni, giustizia climatica, sono le questioni al centro dell'agenda politica del prossimo autunno. Le stesse che saranno incrociate dai movimenti a livello planetario nell'appuntamento sudafricano del Cop17 sui cambi climatici. Nell'incontro che si terrà a Durban a fine novembre sono in ballo le sorti del pianeta. La governance globale ci spinge velocemente verso la catastrofe ecologica continuando a proporre privatizzazioni, mercato e green economy. Si finanziarizza la natura e la crisi ecologica per fare cassa, con l'obiettivo di andare avanti con questo modello per altri 20 o 30 anni, sino all'inevitabile collasso planetario causato dall'aumento di 4/5° centigradi come previsto dagli scienziati in assenza di un cambiamento strutturale.
La sfida che ci attende è enorme ma possiamo vincerla se saremo capaci di spiegare a tutti e tutte che il cambiamento delle nostre condizioni materiali dipenderà dalla capacità di intrecciare a partire dai territori pratiche concrete che rispondano alla crisi a livello locale quanto globale. A Durban la necessità sarà costruire un'Internazionale della Terra che sappia sfidare sul piano dell'egemonia l'immaginario capitalista; a casa nostra invece dovremo impedire il saccheggio dei beni comuni, difendendoli attraverso le forme della democrazia partecipata e comunitaria. Realizzare il bilancio energetico nazionale, che manca da 25 anni, sarà il primo passo di Rigas a settembre per contribuire a liberare energie e proposte su ogni territorio.
*portavoce A Sud
27/07/2011
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I veri creditori siamo noi!
Dieci anni fa a Genova chiedevamo la cancellazione del debito estero dei paesi impoveriti e la fine degli aggiustamenti strutturali imposti su quei popoli dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale con insostenibili costi sociali ed ambientali. (...) Da quegli anni però qualcosa è cambiato: oggi siamo noi cittadini e cittadine d'Europa a dover chiedere conto del nostro debito pubblico e degli effetti delle manovre finanziarie imposte dal patto per l'euro e dalla Banca centrale europea sui nostri diritti.
Oggi la stragrande maggioranza degli aiuti del Fmi sono diretti ai paesi europei, mentre altri paesi quali l'Egitto hanno rifiutato gli aiuti delle istituzioni di Bretton Woods, perché le condizioni macroeconomiche annesse sono contrarie al pubblico interesse. Oggi i nostri diritti fondamentali ed i beni comuni subiscono un attacco senza precedenti, in nome del pareggio di bilancio e dell'uscita dalla crisi prodotta dallo strapotere dei mercati finanziari (...). Ci dicono che non c'è alternativa. I movimenti del Sud del mondo ci mostrano invece che un'alternativa esiste.
Abbiamo il diritto di sapere e rivendichiamo il nostro diritto di non pagare i debiti odiosi e illegittimi prodotti da chi ha costruito la propria ricchezza con la corruzione e la gestione del potere economico e finanziario con l'unico scopo di soddisfare ragioni private. Se per pagare il debito pubblico si accumula un debito sociale ed ecologico per queste generazioni e quelle a venire, questo debito non va pagato.
Abbiamo pertanto anzitutto il diritto di sapere come questo debito si è accumulato e quali sono le responsabilità politiche; di conoscere quale parte di questo debito non va pagata perché legata a corruzione, fughe di capitali, speculazioni finanziarie, investimenti fallimentari in infrastrutture inutili alla collettività, spese militari; quale può essere rinegoziata; e quale andrà pagata, facendo tesoro delle proposte alternative formulate da campagne quali quella di Sbilanciamoci.
Sia in Grecia che in Irlanda, come in Spagna e Francia, movimenti sociali e cittadini chiedono la convocazione di una commissione pubblica di "auditing" del debito, sulla scorta delle esperienze fatte in paesi quali l'Ecuador e il Brasile (...). Un "auditing" del debito italiano è il primo passo per costruire una soluzione politica alla crisi, (...) che deve necessariamente essere affrontata con maggior democrazia e partecipazione e dovrà essere improntata su principi di giustizia sociale, economica ed ambientale.
Per questo ci opporremo all'introduzione del vincolo di pareggio di bilancio nella Costituzione italiana, giacché quella Costituzione è alla base dei nostri diritti fondamentali che non potranno mai essere messi allo stesso livello degli interessi dei mercati finanziari. A questo sarà necessario aggiungere altre proposte a livello europeo, quali l'adozione di un'imposta sulle transazioni finanziarie, l'abolizione dei paradisi fiscali, la creazione di un'agenzia europea di rating, modalità di indirizzo e controllo politico sulla Banca centrale europea, un'agenzia fiscale europea, l'emissione di Eurobonds ed il sostegno a programmi virtuosi di spesa per il rilancio della piena e buona occupazione, una riconversione ecologica dell'economia, un welfare europeo fondato sul reddito di cittadinanza.
Crediamo che la soluzione al problema della crisi debba passare attraverso (...) un rilancio del progetto politico dell'Unione europea, un progetto incompiuto, mentre procede a gran forza l'altra Europa, quella del patto di stabilità, del patto dell'euro. Un rilancio che passa necessariamente attraverso maggior partecipazione e coinvolgimento diretto dei cittadini e cittadine d'Europa (...).
Per questo oggi crediamo che debba partire proprio da Genova un messaggio chiaro. Questa crisi provocata dalle speculazioni finanziarie noi non la vogliamo pagare né farla pagare alle generazioni a venire.
Primi firmatari:
Francesco Martone, Raffaella Chiodo, Nicola Vallinoto, Maurizio Gubbiotti, Luca Basile, Vittorio Agnoletto