Autor: Antonio Bruno Data: Para: veritagiustiziagenova, forumsege, forumsociale-ponge, Mailing list del Forum sociale di Genova, fori-sociali, versogenovaluglio2011 Assunto: [NuovoLab] Decennale G8: IL manifesto 20 luglio
DEMOCRAZIA VIOLATA - Il decennale del G8 riporta a galla la campagna per l'introduzione del reato di tortura. Appello a Napolitano: «Chieda scusa a nome dell'Italia per la vergogna di Genova»
Tortura e diritti umani, in arrivo l'Authority
Amnesty: «Una macchia intollerabile, il governo si assuma la responsabilità»
Che cos'è la tortura? «Gli arresti arbitrati nel carcere provvisorio di Bolzaneto con maltrattamenti e minacce di stupro e di morte, gli schiaffi, i pugni, la privazione di cibo, acqua e sonno, le posizioni forzate per tempi prolungati. Il raid nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 alla scuola Diaz. Le aggressioni indiscriminate verso manifestanti pacifici e giornalisti. Cos'altro sono?». Per Amnesty international, che ieri è stata sentita dalla Commissione di tutela dei diritti umani del Senato sullo stato di salute della nostra democrazia, sono «una macchia intollerabile nella storia italiana dei diritti umani». Una vergogna che ancora attende, a dieci anni dal G8 di Genova, «un'assunzione di responsabilità e le pubbliche scuse alle vittime e a tutti gli italiani».
Nel nostro codice penale il reato di tortura non è mai stato inserito perché governi di destra e di sinistra hanno sempre sostenuto, senza tema del ridicolo, che da noi «non serve». Ma secondo la definizione della Convenzione Onu ratificata dall'Italia nel 1988 ma mai attuata, è l'atto commesso da persona agente da pubblico ufficiale per «infliggere intenzionalmente» ad un'altra persona «dolore o sofferenze forti, fisiche e mentali», al fine di ottenere informazioni o confessioni, di punirla, di intimorirla o di far pressione su di lei o su terzi, o «per qualsiasi altro motivo fondato su forme di discriminazione». Il reato di tortura non si prescrive. E invece, ha spiegato in conferenza stampa al Senato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, «le sentenze di appello sulle violenze alla Diaz e a Bolzaneto emanate nel 2010 e le decisioni emerse in altri procedimenti riconoscono responsabilità di agenti e funzionari delle forze dell'ordine per violenze fisiche e psicologiche, calunnie, falso. Ciononostante, il riconoscimento giudiziario degli abusi non è stato accompagnato da sanzioni penali che ne riflettessero la gravità, a causa della mancanza del reato di tortura e della prescrizioni dei reati minori, conducendo così in molti casi all'impunità».
Nel frattempo, poi, come fa notare Lorenzo Guadagnucci, una delle vittime della Diaz, «nessuno dei condannati è stato sospeso dal servizio, al contrario di quanto impartito dalle direttive europee. Anzi, sono stati confermati e spesso promossi. Un messaggio terribile. Ed è incredibile anche il diniego all'introduzione di strumenti utili soprattutto alle stesse forze dell'ordine per operare in trasparenza e fare pulizia al proprio interno, come ad esempio un codice alfanumerico sulla divisa degli agenti». E in effetti dall'uccisione di Carlo Giuliani in poi, «la ferita alla garanzia costituzionale e alla credibilità delle istituzioni si è trasformata in piaga e rischia di propagare l'infezione a tutto l'organismo dello Stato» come dimostrano, aggiunge Giusy D'Alconzo, ricercatrice di Amnesty international, «l'omicidio colposo di Federico Aldrovandi, quello volontario di Gabriele Sandri, le morti di Aldo Bianzino, Giuseppe Uva e Stefano Cucchi mentre si trovavano in stato di custodia. C'è un vulnus legislativo e culturale ma una polizia moderna si gioverebbe moltissimo di un approccio più avanzato di quello corporativo fin qui dimostrato».
L'unico spiraglio di speranza arriva dal ddl in via d'approvazione al Senato che istituisce un'Authority indipendente per i diritti umani facente anche funzione di garante nazionale per i detenuti e di una bicamerale che sostituisca le attuali due commissioni parlamentari. «Un atto dovuto, dopo 20 anni dalla delibera Onu», spiega il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione, che aveva presentato un primo ddl. Quello che stamattina otterrà l'ok del Senato, prima di passare alla Camera, è invece firmato dal ministro Frattini e prevede una commissione di tre membri nominati secondo i «principi internazionali di Parigi». È già qualcosa.
Nel frattempo Amnesty, unendosi al Comitato Verità e giustizia per Genova che ha scritto una lettera al presidente della Repubblica, fa appello a Giorgio Napolitano affinché colga quest'«ultima occasione per rimediare a un'omissione che ha menomato la credibilità delle istituzioni democratiche». Porgendo le scuse alle vittime degli abusi di polizia e a tutti gli italiani.
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L'impossibilità di una polizia democratica
Tutte le informazioni di cui si dispone indicano che non c'è stato alcun processo di risanamento democratico nelle polizie italiane dopo i fatti del G8 di Genova, come del resto non ce n'è stato dopo la legge di riforma del 1981 e neanche dopo il fascismo. È vero che, in particolare nell'ultimo ventennio e dopo l'11 settembre, in tutte le polizie dei paesi democratici c'è stata una chiara tendenza all'involuzione autoritaria. La documentazione è agghiacciante, basta sfogliare i rapporti annuali di Amnesty international, Statewatch e altre associazioni di difesa dei diritti umani. Tuttavia, l'Italia appare palesemente un caso estremo: in nessun altro paese democratico i condannati non solo non sono né sospesi né destituiti, ma anzi promossi ai più alti ranghi. È stato così per i responsabili del massacro al G8 di Genova, per il generale del Ros Ganzer, per i dirigenti della questura di Bologna durante i crimini della "Uno bianca" e ancora per decine di altri casi. Un esempio è emblematico: su tutti i reati commessi da operatori delle polizie non è mai esistita una statistica ufficiale!
Perché? I democratici nei ranghi delle polizie italiane sono una piccola minoranza; sono isolati, spesso oggetto di angherie e persino di persecuzioni. La stragrande maggioranza dei parlamentari ed eletti negli enti locali (e lo stesso vale per gli intellettuali) non s'è mai interessata a come funzionano le polizie e non s'è mai preoccupata del controllo democratico delle pratiche di queste istituzioni. Come s'è visto in occasione dei recenti servizi di ordine pubblico in Val di Susa e come è avvenuto in altre precedenti occasioni, gli attestati di sostegno all'operato delle polizie sono stati condivisi all'unanimità, dal Presidente della Repubblica a tutti i partiti. Così il ministro Maroni ha avuto gioco facile ad additare i valsusini di terrorismo e di tentato omicidio, osannando un blitz che effettivamente ha rischiato di uccidere e ha usato armi da guerra illecite (fra i quali il gas al Cs).
Sappiamo che l'Italia non ha mai avuto una tradizione effettivamente liberal-democratica (e non liberista). I rari democratici coerenti sono sempre stati marginali e isolati mentre si è spesso acclamata la legalità innanzitutto per punire i "dannati della terra" (come dimostra la grande maggioranza degli incarcerati italiani e stranieri). È nel 1939 che Edwin Sutherland aveva proposto di occuparsi dei crimini dei colletti bianchi, per non parlare di tutta la letteratura storica sui crimini dei potenti. Ma chissà perché nessuno ha mai guardato i reati delle divise, benedetti da un'impunità che uccide. Così è stato per Carlo Giuliani. Ma questo non sembra interessare nessuno. Quand'è che, intellettuali e non, ci si mobiliterà seriamente per il risanamento democratico delle polizie?
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di Pierluigi Sullo
GENOVA + 10
La Grande Frattura
Attesa. Magari curiosità, o ansia. Erano i sentimenti che presumibilmente molti provavano, lunedì mattina, quando ci si è ritrovati per la conferenza stampa sul decennale di Genova 2001. Si rivedevano le facce, invecchiate di dieci anni (inclusa la mia), di quelli che allora formavano il Genoa social forum. Non si sono riviste alcune facce che hanno preso strade parallele (come gli allora Disobbedienti, oggi in un più ampio Uniti contro la crisi) o si sono inabissate (la Rete di Lilliput). La domanda è: oltre a dire «avevamo ragione noi», questo decennale saprà proporre, in un modo originale, quel che anche Genova 2001 produsse (insieme a Seattle e ai Forum sociali mondiali, allo zapatismo messicano e al movimento globale per la pace) ma che poi è cresciuto altrimenti e spesso altrove? Già, perché all'indomani di Genova ognuno, più o meno, tornò nella sua casella, chi a cercare di "egemonizzare" i Forum sociali nati in tutte le città, a colpi di "mozioni"; chi rivendicando una sua diversità irriducibile; chi, come la Rifondazione comunista mutante di quegli anni, concludendo (Bertinotti) che "i movimenti" non potevano alla fine cambiare davvero le cose, e che si doveva tentare di farlo dal governo del paese, e Prodi fu: governo da cui la sinistra politica uscì avendo chinato la schiena sulla Tav in Val di Susa, sulla base di Vicenza, sulle "missioni" all'estero, e senza più un deputato.
Nel frattempo, accadevano fatti inediti, alla fine enormi. Ieri pomeriggio, nell'ambito decennale, Transform ha messo in scena una discussione sulla "società dei beni comuni": orizzonte reso reale dai referendum sull'acqua pubblica e il nucleare. Ma se "bene comune" e "decrescita" sono diventate parole così popolari da scalare le classifiche dei sondaggi, questo lo si deve a coloro - migliaia di comitati e movimenti e liste locali, milioni di cittadini - che hanno rifiutato di combattersi a colpi di "mozioni", hanno reso le loro diversità "riducibili" e hanno il sospetto molto forte che la politica, lo Stato, hanno cessato di lavorare per loro e si accaniscono sul territorio, come ha scritto Salvatore Settis sulla Repubblica, con grandi opere di cui nessuno vede l'utilità o la convenienza (tranne, aggiungono i valsusini, i politici stessi e le imprese), e depredano i nostri redditi e servizi perché i "mercati" pretendono che i nostri vitelli grassi vengano sacrificati sui loro altari. Che legittimità hanno Stati che obbediscono in fretta e senza discutere a potenze finanziare oscure, e che perciò impoveriscono i cittadini, macellano l'ambiente, mettono in vendita ciò che appartiene a tutti?
Si può dire che Genova 2001 è stato l'inizio della Grande Frattura oggi diventata incolmabile, come si vede bene dalle piazze di Barcellona e da quelle di Atene, o nelle urne dei nostri referendum, tra la società e lo Stato-economia-media, ormai fusi in un mostro con più teste e infiniti tentacoli. Genova 2011 saprà mostrare, nei prossimi giorni, quelli più fitti di incontri e manifestazioni, questa straordinaria evoluzione di Genova 2001?
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antonio bruno.
capogruppo Sinistra Europea - PRC Comune di Genova
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