Autore: Antonio Bruno Data: To: veritagiustiziagenova, forumsege, forumsociale-ponge, Mailing list del Forum sociale di Genova, fori-sociali, versogenovaluglio2011 Oggetto: [NuovoLab] Decennale G8 Liberazione 23 luglio 2011
Non si può fermare il vento.
A Genova ricomincia l'autunno
Checchino Antonini
Genova - nostro inviato
C'è qualcosa di intenso e nuovo nel lavorìo seminariale delle reti tornate a Genova dieci anni dopo quel luglio. C'è qualcosa di idiota nell'ostinazione mainstream a vedere il dito e mai la luna. Così le agenzie ignorano che la città sia attraversata da centinaia di iniziative ma sprecano byte per l'appello del Pdl locale, tra i più frustrati d'Italia, a «ricordare anche le forze dell'ordine». Dire che sia impossibile dimenticarsele forse è poco. La vigilia del corteo è anche la giornata con la maggior densità di iniziative: dalla ripubblicizzazione dell'acqua all'altra Europa, dalla transizione all'altra economia fino alla giustizia climatica e alle rivoluzioni mediterranee i temi sono tutti scaturiti dalla riflessione dei primi social forum e ora ne sta maturando l'agognata connessione. S'è discusso di lavoro, di repressione, beni comuni, energia. «C'è uno spazio molto vasto occupato dai nostri contenuti - dice a Liberazione, Rita Lavaggi, portavoce del coordinamento promotore - siamo riusciti a ricreare uno spazio pubblico inclusivo per le nostre denuncie e per la nostra festa, una dimension internazionale reale, un vero laboratorio». Anche per questa capacità di inclusione Rita è tranquilla per il corteo dell'indomani. «Sarà un corteo del futuro - dice anche Paolo Scarabelli, segretario genovese di Rifondazione comunista - il primo contro la manovra. E' l'inizio dell'autunno caldo!».
L'atrio di Tursi è il luogo dove gli ospiti mediorientali e maghrebini incontrano la stampa prima delle assemblee sui "Venti del Mediterraneo", una promossa dall'Arci, l'altra da Sinistra critica. Sono venuti a dire che qualche riforma non placherà il loro desiderio di rivoluzione. E dai movimenti sociali si aspettano un contributo concreto. I tunisini ad esempio chiedono che la mobilitazione internazionale consenta lo svolgimento delle elezioni nella data prestabilita del 23 ottobre da cui verrà fuori l'assemblea costituzionale. Walid Elkaibi, delegato sindacale dell'Ugtt, spiega che ci sono pressioni fortissime perché il processo rivoluzionario sia frenato. La guerra alla Libia, secondo l'egiziano Yasser Shoukry, serve anche a questo: «Come potete pensare di liberare un popolo bombardandolo?». Lo sforzo dei movimenti su quella sponda del Mediterraneo è teso anche a non cadere nei tranelli delle divisioni etnico-religiose. Infatti, Majd Abusalama, giornalista palestinese, racconta come a Gaza la piazza chiede la fine delle divisioni tra Hamas e Fatah. Hamas, però, reprime le manifestazioni ma rallenta la fine dell'occupazione israeliana. Non sorprende ascoltare l'ospite marocchino, Hamouda Hsoubi, che spiega le radici profonde dei movimenti sociali dell'area, dalle lotte dei minatori tunisini contro la chiusura dei bacini decisa dall'«imperialsimo» fino ai social forum locali, ai coordinamenti regionali di sindacati, partiti della sinistra e associazioni antiliberiste. Una maturità di relazioni che nell'inverno del 2013 porterà il social forum mondiale in Marocco.
Il tendone del porto antico è quasi pieno, 400 persone almeno danno vita al debutto nel decennale del cartello "Uniti contro la crisi". Centri sociali del nord est, romani, genovesi e napoletani, esponenti Fiom e della Rete della conoscenza sono tornati per confrontarsi sulla "primavera italiana" consapevoli che le «docce fredde» (termine utilizzato dal romano Francesco Raparelli) sono già iniziate. L'intesa interconfederale, le cariche in Val Susa, la manovra e l'attacco ai referendum sono segnali che provano a frenare l'indignazione in Italia. Gli eredi delle tute bianche, oggi, provano a declinare il "conflitto e consenso" di dieci anni fa con il connubbio tumulto e istituzioni suggerito ieri dagli interventi nell'assemblea. Continua il percorso dell'alleanza tra generazioni, tra atipici e garantiti, tra precari e studenti, fra sindacato tradizionale e nuove forme della politica sul filo conduttore dei beni comuni. Spiega Luca Casarini che c'è bisogno di una piattaforma concreta che declini l'alternativa. In cantiere c'è una tre giorni a settembre che prepari una grande scadenza romana dell'autunno. In sala si nota la presenza discreta, in fondo, del presidente della Puglia che, forse, avrebbe qualche difficoltà a spiegare alla platea come lui ha recepito la lezione referendaria sull'acqua. L'autunno ci dirà se i movimenti sapranno emanciparsi dalla vecchia relazione strumentale che la politica mette in scena con le insorgenze sociali.
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Monica Di Sisto e Alberto Zoratti
Genova, venerdì 20 luglio
Monica Di Sisto e Alberto Zoratti
Genova, venerdì 20 luglio. L'onda lunga della violenza poliziesca arriva a lambire le aiuole di piazza Manin travolgendo persone e buone intenzioni. Manin era la piazza tematica gestita da Rete Lilliput che, assieme ad altre realtà come Legambiente o le organizzazioni del commercio equosolidale, aveva scelto di portare in piazza gli anni di campagne contro il debito, gli Ogm, per un'economia di giustizia. Una delle aree tra le più partecipate del movimento, spartiacque tra cittadinanza impegnata e vera militanza, era diventata anch'essa obiettivo da reprimere perché, e sia d'avvertimento, nessuno tanto meno un comune cittadino può permettersi di denunciare la nudità del re.
Dopo quelle violenze alcuni andarono a casa, richiudendosi in un privato oramai irriducibile. Ma la maggior parte più che il riflusso scelsero la risacca che come il mare si ritira leggermente per poi riavanzare. Quell'onda negli anni successivi ha permeato molta della società civile italiana, ha messo temporaneamente in un cassetto l'armamentario militante ma ha lucidato gli arnesi da lavoro e si è messa a costruire la transizione che vorremo. Nel miglior spirito lillipuziano, quello che secondo i sindacalisti americani Brecher e Costello avrebbe dovuto legare il gigante neoliberista con i mille fili della cittadinanza attiva, migliaia di persone tornarono nei propri territori con un po' di consapevolezza in più su conflitti sociali e modelli di sviluppo e decisero di costruire l'alternativa al neoliberismo seduta stante.
E' il momento della crescita dei Gruppi di acquisto solidali. Famiglie che scelgono di creare reti sociali per cambiare gli stili di consumo a partire dagli acquisti quotidiani. Un passo in più rispetto al commercio equo, che già tanto aveva seminato sulle questioni del giusto pagamento del lavoro e sulla trasparenza delle filiere, perché include l'idea di un mercato più locale, attento ai diritti ed all'ambiente anche qui oltre che ora. I Gas nascono, crescono, raggiungendo la cifra record nel 2011 di ben 850 Gruppi censiti dal Tavolo nazionale Res (Reti dell'economia solidale), il network informale che li connette, ma che si stima possano essere almeno il doppio considerando anche quelli più timidi. In media ogni Gas coinvolge decine di famiglie, a volte addirittura più di un centinaio, e per sapere quante siano le persone direttamente coinvolte si fa presto a fare i conti.
I Gruppi di acquisto favoriscono la diffusione di un nuovo immaginario, che avvicina produttori e cittadini che consumano e che crea le condizioni di vere e proprie sperimentazioni sociali. Sono i Distretti di economia solidale, con le loro reti territoriali di realtà di produzione sostenibile di cibo ed energia, di una mobilità alternativa ed una nuova socialità. Ricominciare dal rapporto tra le persone dentro le comunità andando controcorrente rispetto all'atomizzazione indotta dal neoliberismo, in cui tutti sono contro tutti mentre il più adatto se la svanga. E' un percorso per piccoli passi, ma che riconnette un tessuto sociale alienato e lo fa diventare terreno di sperimentazione ed è così che nascono filiere locali di produzione agricola, come Spiga e Madia, il progetto gestito dal Des Brianza che si propone un obiettivo concreto: ricostruire la filiera del pane, dalla coltivazione del frumento alla molitura alla cottura, di qualità biologica, nel raggio di pochi chilometri. Salvando così un territorio agricolo in Lombardia, terra cementificata per eccellenza, dalla speculazione immobiliare. Oggi quel progetto è minacciato da un nuovo svincolo della Tangenziale. E qui conflitto locale e transizione si fondono nuovamente.
E così per altri settori, in altri territori. Come la Comunità Agricola di Produzione che a Pisa coinvolge 137 famiglie che hanno scelto non solo di prendere in affitto ettari di terreno e coinvolgere due contadini, ma di andare a lavorare nei campi con loro per produrre in modo biologico e sostenibile. O il progetto Made In No che grazie al concorso di più di un centinaio di Gas sta consentendo a due piccole imprese ex terziste del tessile di emanciparsi dalle grandi imprese producendo intimo e abbigliamento bimbo biologico ed equosolidale.
Tutte queste esperienze e molte altre stanno costruendo la transizione al nuovo modello di sviluppo. Partendo dalle idee forza di Genova, modificando l'immaginario applicano l'alternativa al quotidiano. Ma tutto questo, ne siamo consapevoli, non basta. Perché per cambiare rotta è necessario cambiare le regole del gioco a cominciare dai territori, bloccando la cementificazione e le infrastrutture inutili, combattendo il cambiamento climatico ed un'economia di rapina a partire dal locale, ma con un occhio ai negoziati sul clima ed all'Organizzazione Mondiale del Commercio. Tutto si tiene, secondo la logica lillipuziana, dal cambiamento dello stile di vita alla lotta contro la Wto. E l'obiettivo è erodere il consenso ad un modello di sviluppo oramai fuori controllo.
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Genova 2001-2011. Ripartiamo da qui, da quel dolore, da quella rabbia
Lorenzo Ballerini*
Dieci anni fa centinaia di migliaia di persone arrivarono a Genova per contestare il G8, la riunione degli otto grandi della terra. Uomini, donne, lavoratori, studenti, migranti e tanti, tantissimi comunisti. Tutti, pur nelle loro diversità, avevano in mente un modo migliore, libero dallo sfruttamento e dal razzismo, fuori dalla guerra e dalle logiche neoliberiste.
Le giornate di Genova furono precedute da molte altre manifestazioni: Seattle, Praga, il "Global Forum" di Napoli e Goteborg.
Già a Napoli il governo di centro-sinistra guidato da D'Alema e Amato aveva represso con violenza le manifestazioni, ma a Genova con l'arrivo del nuovo governo di centro-destra capeggiato da Berlusconi ci fu di fatto un triste salto di qualità sulla gestione del cosiddetto ordine pubblico. Anche se di fondo veniva confermata la continuità dei due schieramenti (centro-sinistra e centro-destra sempre più simili).
Molto si è detto di quei giorni, tantissimi sono stati i libri pubblicati e le iniziative organizzate in questi anni. E' utile però continuare a ricordare e non dimenticare.
Ricordare le reazioni dopo gli scontri e l'omicidio di Carlo Giuliani dei dirigenti Ds (oggi Pd) che si affrettarono a condannare i manifestanti e ad esprimere la solidarietà alle forze dell'ordine.
Ma utile è anche ricordare i momenti in cui l'attuale Presidente della Camera Gianfranco Fini (allora vice presidente del Consiglio) dirigeva direttamente nei locali della questura di Genova le azioni delle forze dell'ordine contro i manifestanti.
E' importante ricordare la mattanza della scuola Diaz e della caserma Bolzaneto, è importante non dimenticare i pestaggi a freddo verso manifestanti inermi da parte delle polizie coordinate dal capo della Polizia Gianni De Gennaro.
E' importante non dimenticare i tanti premi e i tanti avanzamenti di grado che molti fra capi di polizia e commissari si sono "guadagnati" grazie a quelle giornate.
E ancora, è giusto non dimenticare le finte molotov confezionate per accusare di terrorismo i manifestanti, ed è fondamentale non dimenticare che la militarizzazione della città è stata opera della destra (il Polo) e della sinistra (l'Ulivo).
E' importante non dimenticare.. e infatti noi non lo faremo, mai. E' impossibile. I compagni non dimenticano. Dopo dieci anni siamo ritornati a Genova per ricordare quelle giornate di lotta e di passione e per ricordare Carlo. Ma anche e soprattutto per continuare a lottare.
Oggi, dopo dieci anni, molto è cambiato ma tanto altro è rimasto come allora. L'apparato repressivo del Governo ha continuato la sua opera di pulizia del dissenso verso il potere. Da dopo le giornate di Genova al Social Forum del 2002 di Firenze (preceduto dalle custodie cautelari verso i compagni della rete Sud ribelle), fino ad oggi con la repressione dei manifestanti che lottano conto la Tav in Val di Susa, ma nono solo. Si criminalizza il dissenso e si bastona chi lotta per i propri diritti e per il proprio futuro.
Gli operai che non accettano di essere ridotti a schiavi del capitale, i migranti che dicono no ai Cie, gli studenti che sognano una scuola e una università migliore. Ovunque in tutto il paese sono tantissimi gli arresti, le perquisizioni, le denunce che colpiscono quotidianamente i compagni e le compagne che lottano.
Per questo, memoria e lotta si intrecciano. Da Genova è passato molto tempo e molte ferite sono ancora dolorosamente aperte. Dobbiamo però ripartire da qui. Da quel dolore e da quella rabbia. Dalla voglia di cambiare e di costruire davvero un mondo migliore.
Allora è importante continuare a lottare e portare avanti le battaglie per i beni comuni e contro la privatizzazione. Restare a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici che lottano per i propri diritti e per costruire davvero un nuovo modello sindacale che sia democratico e partecipativo. Restare solidali con i popoli che lottano per la propria terra, continuare a dire no alla guerra senza se e senza ma. Infine lottare con forza e fermezza per una società che superi davvero il modello neoliberista e capitalista dei mercati. Questo in Italia, in Europea, nel mondo.
A Genova, forse, abbiamo perso una battaglia. Ma abbiamo imparato anche molto. La partita, compagni e compagne, è ancora aperta.
*segretario Circolo Prc "A. Gramsci", Campi Bisenzio (Fi)