«Memoria è impegnarci tutti di più»
Checchino Antonini
Genova - nostro inviato
Cominciamo dalla fine, dalle ultime parole di Haidi: «Non siamo mai andati via da questa piazza senza ricordare tutti gli altri». Stavolta la mamma di Carlo ne cita due: Vittorio Arrigoni e Carlo Salerno. Il primo è stato ucciso lontano da qui, in Palestina; l'altro è morto in carcere, lontano dalle prime pagine. «Non ha qualcuno che lotti per lui».
Dieci anni dopo. Piazza Alimonda da allora è un crocevia di passato e di futuro, conserva la memoria delle lotte e il dolore delle ferite e riesce anche a regalare qualche attimo di allegria a chi è voluto tornare, a chi non si è mai mosso di qui, a chi è venuto da lontanissimo come la ragazza di Gaza che sale sul palco dopo tutti gli altri che hanno ricordato Carlo con poesie, parole, appelli, canzoni. «Memoria è impegnarci tutti di più», spiega Luigi Ciotti a chi va ad abbracciarlo nel retropalco dove si incontra anche il fratello di Peppino Impastato, Giovanni, e Lino Aldrovandi, le mamme di Dax e di Renato, la sorella di Iaio, i portavoce del Genoa Social Forum di allora, Andrea Rivera, Alessio Lega, e Mark Covell che esibisce il certificato di cittadinanza onoraria. «Ma il processo per il suo tentato omicidio è fermo - ricorda Vittorio Agnoletto - i testimoni, per favore, adesso parlino. Per esempio il poliziotto che quella sera alla Diaz chiamò l'ambulanza».
C'è molta più gente degli anni precedenti. Chissà per quale motivo la memoria si leghi alle scadenze decennali. Più facile trovare il filo tra quei giorni e i conflitti in corso. Più tardi si parlerà di questo nell'incontro con Paolo Ferrero (c'è una buona presenza nazionale e locale del Prc) sulla democrazia dei beni comuni. Ci sono bandiere rosse, striscioni sulla grata della chiesa Girasoli. E finalmente c'è una targa nel giardino della piazza, una cosa così semplice che la piazza dovrebbe chiamarsi così: Carlo Giuliani, ragazzo. Giuliano, suo padre, continua a chiedersi perché siano ancora impunite le cariche di via Tolemaide e la menzogna infame del calcinaccio.
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La giustizia dopo i fatti del G8
Una riflessione lunga dieci anni
Gilberto Pagani*
Torniamo a Genova dieci anni dopo il G8 del 2001 e tre settimane dopo la grande manifestazione della Valsusa. Non è la celebrazione di un decennale; ritrovarci qui è l'esito della riflessione che tutti stiamo compiendo da quando abbiamo lasciato Genova avendo negli occhi e nel cuore Carlo riverso sull'asfalto di piazza Alimonda e i ragazzi della Diaz uscire sanguinanti dalla macelleria messicana. Siamo tornati ai nostri affetti, alle nostre lotte, alla nostra vita, gravati da un peso dal quale ancora stentiamo a liberarci.
Per noi praticare l'avvocatura non è esercizio neutrale di tecnica giuridica, ma un impegno che si basa sui motivi profondi che spingono gli avvocati democratici a sostituire la toga con la pettorina del legal team e difendere i diritti ovunque. Genova è uno spartiacque. Decine di libri e video hanno approfondito tutti gli aspetti, soprattutto quello militare e quello giudiziario, di Genova 2001 ed uso volutamente il termine "militare" perché parlare di ordine pubblico, allora come oggi, è riduttivo.
La piazza è stata gestita con modalità militari, con lo scopo di disarticolare i cortei, con attacchi mirati e violenti di reparti appositamente formati ed addestrati. Una serie di azioni scellerate e criminali hanno portato all'uccisione di Carlo.
In generale un'azione di annientamento, una strategia terroristica in senso tecnico, che mirava, con l'uso brutale della violenza, a infondere terrore in persone inermi e sgomento in chi lo vedeva in tv o lo sentiva alla radio, e pensava: «Meno male che non ci sono andato». Eliminazione perpetrata nel modo più infame nell'assalto e nel massacro della Diaz. Infine, le torture di Bolzaneto, con gli arrestati trattati da non-persone, che non sapevano se e quando sarebbero usciti da quel girone dantesco.
Molte cose si sono apprese nei processi; l'omertà, le falsità e le calunnie dei vertici della Polizia e le innumerevoli violenze sono emerse in totale evidenza. Molto meno si è saputo dei fatti per cui non sono stati tenuti processi, gli attacchi dei carabinieri in via Tolemaide, la morte di Carlo, il black bloc.
La mancata istituzione della Commissione Parlamentare è conseguente alla gestione bipartisan e alla comune volontà di nascondere la verità e di non punire i responsabili, ma, al contrario, di promuoverli, come in effetti è avvenuto da parte dei vari governi, mentre non sono stati ancora pagati i risarcimenti liquidati alle vittime nei processi di Bolzaneto.
Questi dieci anni sono iniziati a Genova (con il prologo di Napoli nel marzo) e vedono il loro sbocco nella militarizzazione della Valsusa, ma molte cose sono avvenute nel frattempo. La strage dell'11 settembre ha portato alla "Guerra Infinita" e a una legislazione d'emergenza globale incentrata sul "Patriot Act" degli Usa, che ha permesso Guantanamo (e i relativi orrori), legalizzato la tortura, diminuito o eliminato molte garanzie, fino all'omicidio di Bin Laden, avvenuto in spregio a tutti i principi basilari della legge, osannato da tutti i media del mondo come vittoria della civiltà.
Con la "Direttiva antiterrorismo" del 2002 e una serie di norme direttamente ispirate al concetto di "tolleranza zero" è iniziata una deriva securitaria che ha minato il sistema di garanzie che era o doveva essere alla base dei sistemi giuridici propri delle società occidentali nel dopoguerra. La perdita di diritti nei paesi europei ha avuto il principale impatto sui diritti sociali, in stretta connessione con l'azione dello stato che tende a rendere inoffensivi le persone ed i gruppi che ne contestano le basi sempre più ingiuste. Di questo parleremo nel convegno del 22 luglio (
http://aed-eldhgenova2001.sytes.net), con particolare attenzione ai diritti politici.
Nelle aule di giustizia deve entrare la critica a un sistema che trasfonde nell'esercizio quotidiano del potere giudiziario quello viene definito "diritto penale del nemico", basato su di una giustizia a due facce. Da una parte la sostanziale impunità per chi commette reati all'interno e nel nome del potere; dall'altra la massima severità e la mancanza di garanzie nei confronti di persone e gruppi sociali che vengono perseguiti non per azioni che hanno commesso, ma per ciò che sono (migranti, rom, emarginati, disoccupati, abitanti della Valsusa, cittadini dell'Aquila... e via elencando). E' importante che questa riflessione non sia limitata agli avvocati, ma diventi confronto collettivo, dal quale possano scaturire proposte utili per tutto il movimento.
*presidente Aed (Avvocati europei democratici)
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Genova, una metafora: volevano umiliare
il movimento, ma non ci sono riusciti
Giovanni Russo Spena
Genova ci parla del futuro; e proprio per questo non possiamo cancellare la memoria storica: Carlo Giuliani, i ragazzi e le ragazze della Diaz e di Bolzaneto, la feroce repressione della strategia internazionale che indirizzò il centrosinistra (a Napoli) e il centrodestra (con Fini e Castelli presenti, a Genova, nei centri del comando militare repressivo). Il decennale di Genova, in ricordo del movimento altermondialista che ha rimesso a tema l'attualità della rivoluzione contro la globalizzazione liberista significa, per me, inoltre, ritornare con la mente anche ai momenti drammatici in cui ho conosciuto Haidi Giuliani. Ho avuto, poi, la fortuna di averla come splendida collega nel gruppo parlamentare di Rifondazione comunista che alla memoria di Carlo dedicò i luoghi fisici, le stanze della sua attività. Per me, però, come per tutti i parlamentari garantisti, è stata sempre una vergogna (che oggi si rinnova) non essere riusciti, come parlamento, ad introdurre il reato di tortura nel codice penale. Lo ricordo oggi perché sono passati dieci anni da quando fu praticata una tortura sistematica contro il movimento. Grazie anche al lavoro importante dei collegi di avvocati che hanno con coraggio portato avanti le tesi del movimento, gli stessi giudici hanno riconosciuto esserci stata tortura contro i manifestanti, ma senza poterla porre al centro delle proprie sentenze, né nella individuazione del reato (che è inesistente), né della pena. Hanno dovuto usare reati più lievi e più generici semplicemente perché il reato di tortura nel nostro sistema giudiziario non esiste. Anzi, l'ultima vergogna di stato è che tutti i torturatori sono stati non rimossi dai loro incarichi, ma promossi ad alti gradi. Senza che nessun capo dello Stato, garante della Costituzione, intervenisse per bloccare l'infame impunità. La tortura è diventata sistematica nelle nostre carceri. Sono morti di tortura di Stato Aldrovandi, come Cucchi, come chissà quanti altri di cui nemmeno conosciamo i volti e le sofferenze. Molti processi, come quello di Carlo Saturno, vanno in prescrizione perché il reato di violenza prevede la prescrizione, mentre per la tortura non vi è prescrizione perché è crimine contro l'umanità. Anche in nome della impunità dei torturatori, quindi, il parlamento non ha voluto approvare il crimine della tortura, nonostante le diffide ripetute che ci vengono dalle organizzazioni europee. Non è un caso che l'Italia sia uno dei due paesi europei che non riconoscono la tortura come reato e che non hanno, nel proprio codice, una legge sul diritto d'asilo dei migranti (in base all'articolo 10, comma 3 della Costituzione). La tortura allude allo stesso fondamento primo dello Stato di diritto. Non esiste infatti Stato di diritto se non vi è garanzia che il funzionario dello Stato tuteli come la sua stessa vita l'esistenza e la salute della persona detenuta che ha nelle sue mani. «Tu poliziotto hai il corpo del prigioniero nelle tue mani; egli non può più difendersi; tu hai l'obbligo di tutelarlo». Questo è un limite inderogabile al potere dello Stato. Nell'anno successivo ai massacri di Genova il parlamento tentò di introdurre il reato di tortura nell'ordinamento, ma fu bloccato da un emendamento leghista, squisitamente nazista, in base al quale, perché vi fosse tortura, essa doveva essere reiterata. Pagine indegne della civiltà giuridica. Con il governo di centrosinistra passi avanti non vi furono, grazie anche alla presenza di parlamentari giustizialisti nelle file della sinistra. Nel parlamento attuale la proposta è stata bocciata pressoché all'unanimità. Occorre dire, allora, anche a Genova, che l'Italia è fuorilegge: la tortura è crimine definito universalmente dalla convenzione Onu del 1984. Nessun governante, nessun parlamento può indicare tipologie specifiche e fantasiose: la tortura è inflizione di sofferenze psicologiche o fisiche da parte di un pubblico ufficiale che vuole umiliare o estorcere informazioni. Genova è stata una metafora: volevano umiliare e distruggere il movimento, ma non ci sono riusciti.